Lutto
martedì 17 Settembre, 2024
Addio a Micaela Vettori, pioniera del management culturale
di Anna Maria Eccli
Due anni fa un romanzo a coronare una vita spesa nel mondo della cultura. Diceva: «Sono emotiva, assolutamente empatica nonostante l’apparenza»

Quando, nel dicembre 2022, l’andammo a trovare per parlare del suo primo romanzo, destinato a restare anche ultimo, “Tres Vidas”, Micaela Vettori ci accolse davanti a un caffè fumante e quando ci congedò, dopo un’intensa chiacchierata, a sfoderare anche vecchi pastrani che se uno vive necessariamente si porta sulla groppa, lo fece vergando una dedica che a rileggere oggi mette i brividi. Nulla si sapeva della maledetta malattia che, ieri, a 72 anni, ha avuto la meglio sulla sua tempra ribelle; a onore del vero, forse nemmeno a lei era ancora nota. Nella dedica ci ringraziava per essere stati a sentirla facendola stare “bene”. E per lei, estroversa e fantasiosa donna di lettere (tra le altre cose è stata coautrice di “Adolescenti digitali”, con Franco Battistotti ha pubblicato il bellissimo “A come africa” e, più di recente, “Medjugorje”), già infaticabile e creativa Relationship Manager per la Fondazione Bruno Kessler, quel “bene” aveva un significato profondo, estraneo al triviale fatto biologico, che ci tiene tutti impietosamente sotto scacco. Con noi era tornata con la memoria ai giorni in cui, con quella sua forza malandrina tipica dei folletti dotati di carisma, stringeva in mano il cartellino d’immatricolazione nel neonato Dams di Bologna. Lei era il numero 162 e ne era orgogliosa; ad attenderla c’era un ventaglio inimmaginabile di gente non comune: Umberto Eco, Luigi Squarzina, Renato Barili, Fabrizio Cruciani… Li snocciolava l’uno dietro l’altro quei nomi, in un crescendo che raccontava di come le avessero riempito la vita, di come anzi le avessero permesso di impostarne una finalmente tutta sua. Una vita eccellente dal punto di vista lavorativo: operatore culturale in Comune, poi alla Vallis Agri (pioniera, nel 1992, degli eventi culturali in cantina oggi tanto diffusi), quindi alla Fondazione Bruno Kessler. Sempre in trincea con quel suo modo severo di osservare la realtà con cui ha ingannato tutti: «Mi credono tutti forte perché sono un’organizzatrice che ha sempre amato moltissimo quello che faceva – ci ha detto – ma sono emotiva, assolutamente empatica». Intelligente, spiritosa, diretta, scherzava sulla vita da pensionata che l’aveva trasformata in una brava casalinga che rifà il letto prima di uscire. In verità Micaela era anche un’insospettabile generosa, molte persone sono ricorse a lei, esperta di forma e di rapporti con il pubblico, per sistemare domande da indirizzare ad enti o soggetti pubblici. Era sempre a disposizione di chi aveva bisogno della sua penna. La vita con lei è stata prodiga di tante cose, anche di dolori, come quando dovette lasciare l’incarico di direttore dell’Ufficio Cultura perché ci fu chi mise in dubbio che la sua laurea al Dams, in Organizzazione ed Economia dello Spettacolo (appena nata in seno alla facoltà di Lettere), fosse titolo di studio adeguato. Ma da vera guerriera era anche filosofa: «Io mi sento figlia di Aldo Carotenuto, che ho avuto la fortuna di conoscere. Diceva che bisogna prendersi cura della ferita, perché è la feritoia da cui guardare avanti». La malattia, nella nostra lunga conversazione di quel giorno decembrino pieno di sole, non fece mai capolino, se non quando parlammo del suo viaggio a Medjugorje, trascinata dall’alpinista Giuliano Stenghel. «Ero scettica – ci confessò – ma lui mi fulminò dicendomi: “A Medjugorje non si va, si viene chiamati”. Così partii e vidi anch’io il sole rotare; il libro che ho scritto è una “domanda”, perché io non sono religiosa, ma sono aperta, come nella mia vita sono sempre stata, e sono sinceramente, forse disperatamente, alla ricerca di speranza». Per noi fu un’intervista dolorosamente profonda, rivelatrice di molto. Noi che, senza frequentarla troppo, negli anni avevamo imparato a osservarla da lontano proprio per quella sua intelligenza mai banale, ci commovemmo quando confessò: «Io non so chiedere aiuto e così la gente mi ha sempre creduto invincibile, mi ha spesso giudicata presuntuosa». Orgogliosa certamente lo era, come della Lode assestatale da Umberto Eco; oggi può dire di avercela fatta ad oltrepassare, pure lei, il sipario, magari per correre a salutare la sua amata e inarrivabile Madre Curage, Lina Volonghi. Il funerale sarà domani alle 15,30 nella chiesa della Sacra Famiglia.
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