La storia
lunedì 29 Dicembre, 2025
I figli di Pietro Strauss ricordano il padre: «Imprenditore che sposò industria e cultura»
di Anna Maria Eccli
È stato proprietario dello storico nastrificio di Via Lungoleno
Dodi, Paola, Anna Maria, Lorenzo, nati tutti nell’arco di 11 anni, dal 1946 al 1957, tre insegnanti e un ingegnere. Sono i fratelli Strauss, ascendenza tedesca da parte di papà Pietro, proprietario dello storico nastrificio di Via Lungoleno (dove ora sorge il residence Europa), nascita asburgica di mamma Maria, che di cognome faceva Bolner ed era figlia dello storico maestro elementare di Sacco, Rodolfo. Personalità forte anche lei: si prese una laurea in Lettere a Urbino con tre figlie già al mondo.
Quattro figli dai colori nordici, volitivi, cresciuti al brusio delle navette che correvano lungo i telai («Nel silenzio dei sabato e delle domeniche facevamo fatica ad addormentarci»), temprati nel carattere sulle piste da sci («L’abbonamento stagionale era la nostra “assicurazione di buona salute”, diceva papà»), in sfida con se stessi, complice l’educazione rigorosa che sposava autodisciplina a libertà.
Vivono ancora tutti uniti sulla stessa collina, sostenendosi se soffia aria di burrasca, perché non alla bonaccia sono stati educati. Sono figli dell’indimenticabile leone dalla folta e candida criniera che ai piagnistei di bimbi rispondeva esortando a tirare fuori il meglio di sé. Pietro Strauss è scomparso nel 2011, ma la memoria di questo imprenditore, che è stato anche un grande papà, oltre che appassionato sciatore e tennista, è ancora vivo. Già vicepresidente (per 10 anni) della Cassa di Risparmio di Trento Rovereto, vicepresidente (per altri 20) dell’Associazione Industriali, fondatore (oltre che presidente) di Confidi di Trento, non amava stare seduto in poltrona, se non era quella in velluto rosso dello Zandonai. Sinceramente interessato alle relazioni umane, non mancava alle manifestazioni culturali principali. Nel ricordarlo ritroviamo un pezzo di onesta storia industriale d’una città che, ieri come oggi, non ha mai smesso di cercare se stessa.
Portamento aristocratico, Pietro Strauss aveva le phisique du role giusto: un mix di galanteria, eleganza, spirito irriverente e generosità.
Dodi: «Filarmonica, Zandonai, Festival Oriente Occidente: era questo il suo brodo culturale. Amava viaggiare, confrontarsi con le novità.
Paola: Sicuramente era un entusiasta della vita».
Anna Maria: «Lo ricordo rigoroso, severo, ma anche molto buono, aperto verso i giovani e questo gli ha fatto buon gioco: non si è mai sentito vecchio, fino a quando se n’è andato, a 94 anni».
Lorenzo: «Era generoso socialmente e soprattutto libero di testa. Non ci sono mai stati pregiudizi in casa, aveva il pallino della libertà».
Paola: «Lui l’aveva ereditato da nonna Caterina Lorentz. Era più giovane del marito di 15 anni e ha vestito di rosso e viola fino all’ultimo giorno».
Qual è la storia della famiglia?
Dodi: «Partiamo da nonno Paul Strauss, nato nel 1870 in una ricca famiglia borghese di Francoforte che commerciava in passamanerie, nastri, merletti, complementi d’abbigliamento. Era terzo di tre fratelli, i primi due gestivano l’azienda di import-export, lui fu mandato in una scuola molto quotata per imparare la tecnica tessile e poi fu spedito in Italia, a Sesto San Giovanni, per amministrare un nastrificio. Volevano produrre in proprio ciò che commercializzavano; in Italia c’era mano d’opera femminile a buon mercato e anche seta. Nel 1904, complice una vacanza in Svizzera, Paul ha incontrato una diciannovenne pianista di Neustrelitz, Caterina Lorentz, fu grande amore e si sposarono».
Lorenzo: «Nonna, rimasta vedova giovane, era un vero gendarme o, meglio, un principe illuminato. Attenta a tutto sapeva comandare senza essere autoritaria. Ma quando girava tra i telai si diffondeva il gelo».
Paola: «Però era anche molto attenta ai bisogni umani, ai problemi delle operaie. Realizzò un asilo nido nello stabilimento di Sesto, preparando tè caldo per le operaie nelle notti fredde. Quando capitava che qualcuna “dovesse” sposarsi perché incinta, la faceva riflettere per capire se davvero quella fosse la soluzione giusta. Era avanti».
Come arrivarono a Rovereto da Sesto San Giovanni?
Dodi: «I nonni erano amati in Lombardia, ma per lo spirito irredentista dell’epoca chiamarsi Strauss non era molto “igienico”, così nel ’15 andarono a Zurigo e il nonno diresse l’ufficio del consolato italiano preposto alla ricerca dei dispersi sul fronte. A Zurigo, nel 1917, nacque papà. Finita la guerra, tornarono a Milano, ma il nastrificio di Sesto era ormai decaduto, d’altro canto nonno aspirava a un ruolo più tecnico che amministrativo, così nel ’29 rilevò il “Nastrificio” di Rovereto dal Banco di Verona, in seguito al fallimento della casa madre cecoslovacca».
Lorenzo: «All’epoca papà aveva solo 12 anni. Nonno morirà nel ’39 e il consiglio d’amministrazione, a voto unanime nominò nonna Caterina direttrice generale. Papà, non ancora ingegnere, divenne direttore tecnico».
Paola: «Nonna si trovò a dirigere un’azienda dall’oggi al domani, per forza doveva avere un carattere rigoroso. Tra le prime cose, fece un viaggio a Parigi per aggiornarsi sui dettami della moda e lo stile dei nastri. Papà, orfano da tre giorni, andò a Milano per sostenere un esame. Con questo rigore siamo stati educati anche noi».
Anna Maria: «Papà ci lasciava liberi in tutto, ma dovevamo essere pronti a fare il nostro dovere; “finire in tempo!”, era il suo motto. Da ogni viaggio tornava con amici e questo ci piaceva moltissimo. Socio fondatore del Rotary a Rovereto, ne ha incarnato pienamente lo spirito di servizio e di solidarietà. Fu sostenitore incontenibile degli “Amici della Busta” e dell’Associazione Spagnolli. In famiglia sostituì feste e regali di compleanno con offerte per aiutare chi aveva bisogno».
Come fu da padre?
Paola: «Sicuramente ci ha sempre chiesto coraggio e noi ci fidavamo di lui. Se ci diceva “vai che ce la fai”, noi ci buttavamo giù per la pista a rompicollo, senza pensarci».
Dodi: «Con lo stesso spirito sostenne la mia partenza per la High School e la mia permanenza di un anno negli Stati Uniti».
Anna Maria: «Io studiavo Lettere ma quando mi si presentò la possibilità di fare la maestra di sci mi incitò a non lasciare perdere. “Vai, perché nella vita non si sa mai”, mi disse. In effetti, anche se dopo ho insegnato altro, lo sci è stato la mia vita».
Lorenzo: «Ci rispettava, ma chiedeva obbedienza civile».
Lo sport era un punto forte.
Lorenzo: «Paola negli anni ’60 è stata campionessa nazionale di sci. Io, che miravo alla Coppa Italia ma avevo paura di sfigurare, mi sentivo dire “Meglio essere l’ultimo dei bravi che il primo dei brocchi”. Così prendevo batoste incredibili, ma intanto imparavo il valore dell’impegno, del confrontarsi con chi è migliore di te.
Vera ricchezza è il sentimento che vi unisce ancora oggi».
Paola: «È vero, non abbiamo mai litigato».
La fine del “Nastrificio” avvenne nel 1986.
Lorenzo: «Anche lì papà dimostrò di che pasta era fatto e noi ne siamo orgogliosi. Quando ci fu la possibilità di vendere lo stabilimento resistette; l’imperativo categorico di un imprenditore è reinvestire e mantenere i posti di lavoro. La concorrenza dei nastri di carta e di plastica, però, si era fatta forte e con i nuovi telai a tramatore al posto di quelli a navetta si era aumentata enormemente una produzione per la quale, ormai, sarebbero bastate 8 tessitrici, contro le 96 di prima. Invece di aprire trattative sindacali, papà si inventò le cose più strane, produsse cinture, cinghie per borse sportive, corsetti, cinturini per orologi… La diversificazione aprì enormemente i volumi di vendita, ma fece anche perdere in efficienza interna perché i telai necessitavano continuamente d’essere fermati e riattrezzati. La crisi divenne inarrestabile. Ci furono vari tentativi di risanamento, che non andarono a buon fine, finché non fu trovato un nuovo imprenditore che rilevò il compendio operativo e continuò l’attività in un settore diverso. Era la fine di un’epoca.
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