L'editoriale

sabato 27 Dicembre, 2025

Una comunità basata sulla cura

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Ci troviamo a fare i conti con la crescita della domanda di assistenza di lungo periodo, la persistente carenza di personale sanitario e sociosanitario, e l’aumento dei costi pubblici e privati per le cure. Tutto ciò in un contesto di profonde disuguaglianze territoriali

Non è difficile prevedere che nei prossimi anni il tema della salute sarà tra i più bollenti nell’arena pubblica. La tenuta dei sistemi sanitari e istituzionali, locali e nazionali, ne sarà condizionata ed è sorprendente che la consapevolezza di questa urgenza sanitaria sia ancora tanto limitata. Si tratta di uno dei nervi più sensibili nel rapporto tra cittadini e Stato e uno degli aspetti che più possono contribuire ad accrescere l’insoddisfazione verso il settore pubblico. Siamo una società che invecchia rapidamente, e i sistemi di welfare sono messi sotto pressione con un’intensità rara negli ultimi decenni.

Ci troviamo a fare i conti con la crescita della domanda di assistenza di lungo periodo, la persistente carenza di personale sanitario e sociosanitario, e l’aumento dei costi pubblici e privati per le cure. Tutto ciò in un contesto di profonde disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi, che rendono evidenti i limiti strutturali dei modelli tradizionali di sanità. Modelli che, storicamente, hanno privilegiato soluzioni istituzionalizzate e standardizzate, spesso poco capaci di adattarsi alla crescente complessità dei bisogni individuali e comunitari.

È uno scenario che evolve così rapidamente da rendere le azioni correttive non più rinviabili. Ma se le soluzioni non possono essere cercate solo sul lato dell’intervento pubblico, la via alternativa non deve necessariamente essere quella di un mercato privato orientato al profitto. Esiste un’altra opzione: ripensare strutturalmente il rapporto tra sanità, assistenza e coesione sociale, specialmente quando la cura richiesta non riguarda la fase acuta, ma l’assistenza continuativa e prolungata per le situazioni di cronicità.

Negli ultimi anni chi definisce le politiche pubbliche ha cominciato a comprendere che il settore della sanità e dell’assistenza è uno degli ambiti in cui le organizzazioni dell’economia sociale svolgono un ruolo cruciale. Cooperative sociali, associazioni, fondazioni e mutue sono sempre più protagoniste nella fornitura di servizi di cura domiciliare, di prossimità e comunitari, soprattutto per anziani e persone con disabilità. Il loro contributo non si limita a supplire alle carenze del settore pubblico, ma introduce modelli alternativi di presa in carico, fondati su una concezione relazionale della cura e sulla maggiore integrazione tra dimensione sanitaria e sociale.

La community-based care, come si chiama a livello internazionale, rappresenta un cambio di paradigma: la cura non è più concentrata esclusivamente in strutture separate dalla vita quotidiana, ma si sviluppa nei luoghi dell’abitare, nei quartieri e nei contesti comunitari. Assistenza domiciliare, servizi di vicinato, modelli intergenerazionali e reti di mutuo-aiuto consentono di mantenere autonomia e dignità, rafforzando i legami sociali. Per gli anziani, la possibilità di invecchiare nel proprio ambiente è un fattore decisivo di benessere, prevenzione della fragilità e riduzione dell’isolamento. Poiché gli anziani saranno sempre più numerosi, riorganizzare la sanità includendo le comunità ha un effetto significativo sull’intero sistema.

La rilevanza della community-based care va oltre l’assistenza sanitaria. Rafforzare i servizi di prossimità, facendo leva su organizzazioni del terzo settore, significa migliorare la qualità della cura, liberare risorse sociali, favorire l’occupazione e ridurre le disuguaglianze strutturali. La carenza di servizi di cura grava in modo sproporzionato sulle famiglie, in particolare sulle donne, riducendo la loro partecipazione al mercato del lavoro e creando divari salariali e pensionistici persistenti. La salute diventa quindi una questione di organizzazione sociale complessiva.

La capacità delle comunità di prendersi cura di sé è la chiave per il futuro. I beneficiari non sono destinatari passivi, ma partecipano insieme a utenti, famiglie, volontari e professionisti alla definizione e al miglioramento dei servizi. La “comunità di cura” non va vista solo come un rimedio organizzativo, ma come una componente essenziale del riequilibrio tra Stato, mercato e società civile.

Anche in questo approccio esiste un rischio: confinarsi in esperienze locali virtuose, incapaci di incidere in modo sistemico. Perciò serve l’integrazione con le politiche sanitarie e sociali, e un rapporto di condivisione tra organizzazioni comunitarie e istituzioni, riconoscendo che dalla realtà sociale possono emergere soluzioni efficaci per bisogni collettivi.

Nella realtà trentina esistono già le componenti necessarie: un sistema pubblico di cura performante, una realtà cooperativa radicata, un associazionismo vivace e persino una mutua assicurativa. Questo è il momento giusto per unirle in una visione a lungo termine, basata sulle capacità nascoste delle comunità locali.