L'editoriale

giovedì 18 Dicembre, 2025

La narrazione politica e la realtà

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L’immagine che emerge dal Rapporto del Censis contrasta con la visione del «tutto va bene»: fissare la verità è necessario per progettare e condividere un piano d'azione

La nostra è l’epoca della iperconnessione digitale ed è un’epoca in cui la razionalità discorsiva è stata sostituita dalla comunicazione affettiva. Una comunicazione, questa, che vive, si nutre e si rinforza attraverso un insieme di spots, di dark ads (annunci a pagamento), di fake news e di teorie del complotto ad effetto emotivamente impattante, molto più potenti e rapide della razionalità. Questo fenomeno è ben conosciuto dalla narrazione politica. Quella prevalente è che «tutto va bene» e che non siamo più il fanalino d’Europa come confermerebbero molti indicatori macro-economici.

Il debito pubblico sarebbe così diminuito, il tasso di disoccupazione avrebbe raggiunto il suo minimo storico, la nostra economia sarebbe in ripresa così come la qualità della vita delle famiglie italiane nonostante le difficili convergenze economiche, la crisi dell’Europa e i conflitti in corso. L’ottimismo generale è stato recentemente rinforzato dall’annuncio che la legge di Bilancio finanzierà in maniera straordinaria la nostra sanità pubblica (143 miliardi di euro, il 6,16% del Pil).

C’è da chiedersi, naturalmente, se questa narrazione politica sia reale o se la tecnica utilizzata sia ancora quella dello storytelling, un’arte, questa, utilizzata con l’obiettivo di catturare l’attenzione dell’audience con contenuti emotivamente impattanti. E, soprattutto, se questa narrazione, ottimizzata psicometricamente, esprima effettivamente il nostro piano di realtà. Occorre chiederselo non in spirito di polemica ma per onorare quel sano desiderio umano di ricerca della verità e di libertà di pensiero. Questo perché la vita reale è diventata molto complessa e ben diversa dalla rappresentazione offerta da quella narrazione. La conferma di ciò è data dagli indicatori statistici contenuti nel 59° Rapporto annuale del Censis pubblicato in questi giorni che rappresentano le macro-dinamiche del nostro tempo.

La rappresentazione del piano di realtà è così del tutto diversa da quella descritta dalla narrazione politica perché il nostro debito pubblico non si è affatto ridotto ma è aumentato a 952 miliardi di euro (+ 44,7% rispetto a 10 anni fa con un incremento di circa 95 miliardi di euro/anno), perché gli interessi che sullo stesso paghiamo hanno superato la spesa per l’intero valore degli investimenti pubblici (sanità compresa) e perché questa esposizione economica, alla quale si associa il preoccupante inverno demografico causato dalla contrazione della natalità nonostante il costante invecchiamento della popolazione (con 14,6 milioni di over 65enni) schiaccerà, se non si interverrà con misure appropriate, la tenuta del nostro sistema di welfare. Meglio non va per il nostro sistema produttivo perché la produzione manifatturiera italiana è arretrata nel 2023 (-1,6%), nel 2024 (-4,3%) e anche nei primi nove mesi di quest’anno (-1,2%) e meglio non va anche per la vita delle famiglie italiane che si trovano costrette a fare i conti con il rialzo dei prezzi di tutti i beni di consumo.

Dati non incoraggianti provengono anche dalla sanità pubblica, un settore in cui la crisi ha assunto proprietà strutturali. Lo confermano non solo i 22.049 episodi di aggressione registrati nel 2024 contro medici, infermieri e operatori sanitari ma soprattutto il clima di sfiducia, di tensione e di ostilità vissuto nelle corsie visto che il 66% dei medici intervistati ha dichiarato di non avere il tempo sufficiente per dialogare con i pazienti e con i loro familiari, che il 65,9% di essi ha ammesso di lavorare in strutture con gravi carenze di personale, che il 51,8% si lamenta dell’utilizzo di attrezzature obsolete o non perfettamente funzionanti, che il 41,2% non si è dichiarato sicuro durante il lavoro e che il 71,8% ha dichiarato di sentirsi un capro espiatorio di un sistema che non funziona come dovrebbe funzionare. Naturale conseguenza di questo clima di stress e di paura è l’indebolimento della relazione medico-paziente. Nonostante la falsa retorica ad effetto si appelli ostinatamente a categorie divenute vere e proprie convenzioni sociali quali l’alleanza di cura, la presa in carico e la comunicazione come tempo (e luogo) di cura se è vero che i medici italiani ammettono di non avere il tempo sufficiente per parlare con l’ammalato e che lo temono non foss’altro perché le cause intentate nei loro riguardi sono ancora troppo numerose (oltre 35 mila/anno).

L’immagine che emerge dal Rapporto del Censis è davvero sconfortante e contrasta la narrazione politica del «tutto va bene». Molte cose non vanno assolutamente nel verso giusto e a nulla vale controreplicare osservando che la crisi ha investito la sola sanità pubblica: perché così non è, anche se questa crisi, oramai strutturale, è lo specchio fedele delle tante altre fragilità nazionali. Molte sono le cose che non vanno nel verso giusto. Negarle non fa del bene a nessuno; ammetterle significa, invece, fissare la verità per progettare e condividere un piano d’azione. Dunque, non in prospettiva divisiva e con solo spirito critico ma nella piena convinzione che l’affievolirsi della spinta alla verità e la disintegrazione della società sono fenomeni inter-dipendenti. Soprattutto oggi visto che i piani bellici sono entrati a far parte dell’agenda politica italiana per difendersi da quella guerra ibrida paventata come una reale minaccia per il nostro Paese che avrebbe bisogno di investire in sistemi anti-missilistici, in droni e in un più (numericamente) ampio esercito, addestrato e molto professionale. Ennesima distorsione patologica non casuale che, nel suo spazio iperreale, aggancia, movimenta e sollecita le nostre emozioni per farsi beffa del mondo reale e dei veri problemi che dovremmo, invece, affrontare.

La democrazia non è, usando una metafora, un luogo dove si pratica il solipsismo ma una comunità pensante di attenti ascoltatori fortificati dalla razionalità discorsiva, che non vive di sola connessione digitale: proteggere e difendere questo principio generale è una necessità e non più un’opzione perché la narrazione non comunitaria disintegra la politica dell’ascolto e la reciprocità che dobbiamo agli altri, soprattutto alle persone più deboli e vulnerabili.

*Medico legale e docente all’Università di Verona