l'intervista
sabato 13 Dicembre, 2025
Segantin: «Il Trentino sia un laboratorio di sostenibilità. Rifiuti? Dialogare con le associazioni»
di Tommaso Di Giannantonio
Giornalista, scrittrice e ambasciatrice per il Patto Climatico Europeo, si occupa di giustizia climatica: «Agenda 2030? Il cambiamento è possibile»
Sara Segantin, giornalista, scrittrice e ambasciatrice per il Patto Climatico Europeo, si occupa di giustizia climatica, fra diritto umani e questioni ambientali. A 10 anni dagli Accordi di Parigi, il punto sull’Agenda 2030.
Segantin, a livello globale solo il 17% dei target dell’Agenda 2030 saranno raggiunti nel 2030, in Trentino va meglio con il 48% (il T di ieri), possiamo ritenerci soddisfatti?
«I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 restano una linea programmatica importante, ma è nelle misure concrete prese dagli Stati che si misurano i risultati. Ad oggi, non abbiamo raggiunto quanto promesso. Gli Usa si chiamano fuori, i Petrolstati spingono in direzione contraria e anche l’Ue cambia priorità, lo ha dichiarato esplicitamente Von der Leyen all’inizio del nuovo mandato: ora è ‘competitività e sicurezza’. Se i soldi per il clima e per il sociale vanno al riarmo, non c’è misura climatica che regga. Gli Stati oceanici e dell’America Latina alla Trentesima conferenza mondiale sul clima (Cop30), a Belém, l’hanno ribadito con forza: “il limite di 1,5 gradi, che molti ritengono ormai irraggiungibile – non è un obiettivo negoziabile: per noi è una questione di diritto di esistere”».
Quali sono le sfide più importanti per il Trentino?
«Il nostro territorio è nell’occhio del ciclone, tra dissesto idrogeologico, fusione dei ghiacciai e fenomeni come l’overtourism. In un contesto di crisi idriche sempre più gravi, le Alpi sono anche risorsa idrica per l’intero Paese, con tutta la complessità che questo comporta. Tuttavia, il Trentino ha gli strumenti per stare un passo avanti ai tempi ed essere laboratorio di sostenibilità. I passi chiave? Rendere la montagna vivibile smettendo di svuotare i servizi e investendo su politiche – dalla casa alla mobilità – che permettano a chi qui studia e lavora di restare; ripensare il modello turistico, ridistribuendo – geograficamente e temporalmente – i flussi, e smettendo di investire sul mercato dei colossi e di una neve che non c’è più, puntando invece su un turismo della comunità e della relazione che porti benefici diretti ai territori. La montagna è resilienza, ma anche squadra, camminare insieme. Fondamentale è lavorare sul rapporto con la biodiversità, in linea con le indicazioni della Nature Restoration Law: misure che tengano conto della complessità e siano pensate in concerto con le comunità, ma in un’ottica lungimirante e costruttiva. La transizione ecologica è una questione prima di tutto culturale, che ha a che fare con il nostro modo di stare al mondo, ha bisogno di politica vera, non di speculazione».
Uno dei temi caldi è quello della gestione dei rifiuti: l’impianto di termovalorizzazione è un tabù?
«Non è una questione di tabù, ma la discussione deve basarsi sui fatti. I fatti sono che le priorità sono la riduzione dei consumi e dei rifiuti e il riciclo e il trattamento meccanico di quel che resta. Il termovalorizzatore è un’idea obsoleta, non è all’altezza di un Trentino che vuole essere esempio di innovazione e responsabilità. Le idee fossili sono fallimentari perché non tengono conto del momento storico in cui si muovono: scienza e democrazia funzionano se sono in grado di guardare avanti. Ci sono associazioni come Italia Nostra, Mountain Wilderness e Legambiente che hanno prodotto fior fiore di dati al riguardo: la politica si confronti senza pregiudizi con chi conosce profondamente i territori e ha già piani e proposte di soluzioni efficaci. Il tema dei rifiuti è un esempio emblematico: tendiamo ad affrontare solo le conseguenze del nostro agire – smaltimento rifiuti in questo caso – ma non andiamo alla radice. È davvero in “crescita” una società sempre più in balia delle guerre, degli interessi di pochi e dove aumentano diseguaglianze e infelicità? O è crescita un modello sociale ed economico del vero benessere, di progresso reale, dove il profitto è al servizio di persone e pianeta e non viceversa? Credo che il mio Trentino sia ancora capace di interrogarsi e di trovare le sue risposte sul presente con lo spirito autentico e resistente che lo contraddistingue».
Tornando a Belém, lei è stata lì, in Brasile, che Cop è stata?
«I negoziati non sono stati all’altezza delle aspettative, con pochi passi avanti e i “combustibili fossili” nemmeno nominati nell’accordo finale – non ci aspettavamo molto di più dato il contesto attuale. Però dopo anni la società civile è tornata in prima linea e i leader delle comunità indigene hanno fatto una pressione politica non indifferente nelle aule negoziali. Il loro è un modello esistenziale olistico, che funziona nei fatti e che fa da contraltare a quello dello sfruttamento esasperato che viene spesso proposto come l’unico possibile. Sono stati 92 i Paesi, capeggiati da Panama e Colombia, che hanno firmato un accordo di massima ambizione climatica, rifiutando di sottostare al lobbismo delle armi e dei Petrolstati. Gli equilibri geopolitici stanno cambiando, rimettendo in discussioni anche i principi fondanti dei diritti umani e ambientali, ma il fatto che – oltre a varie milioni di persone – ci siano anche decine di Stati che si oppongono apertamente alle retoriche guerrafondaie dei colossi, apre uno spiraglio di possibilità. Il messaggio della Cop30 è arrivato forte e chiaro: arrenderci è un privilegio che non possiamo permetterci».
Intanto l’Ue sta smontando pezzo dopo pezzo il Green Deal…
«L’Ue è gli Stati che la compongono e un’unione funziona quando c’è la volontà di restare uniti nelle difficoltà, alleati per il bene comune. Un’Ue frammentata non favorisce nessuno perché nel contesto geopolitico odierno è solo uniti che gli Stati europei possono avere voce in capitolo sugli equilibri mondiali. Il Green Deal è sotto attacco, ma resiste e, pur avendo molti limiti, resta un modello mondiale: non possiamo permetterci di perderlo, dobbiamo difenderlo, implementarlo e radicarlo nei territori».