L'editoriale

venerdì 5 Dicembre, 2025

Demenza, la sfida della Chiesa

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Accogliere, comprendere e accompagnare chi vive malattie neurodegenerative: competenza, cura e nuove pratiche per non lasciare sole le persone fragili e le loro famiglie

L’allungarsi della vita – un successo della medicina moderna – porta con sé conseguenze che riguardano molte famiglie e molte comunità. Tra queste, l’aumento delle persone anziane affette da malattie neurodegenerative: Alzheimer, demenze senili, deterioramenti progressivi delle funzioni cognitive. È un fenomeno che tocca non solo i malati, ma anche chi li accompagna quotidianamente. Da questa esperienza nasce una domanda più ampia: che cosa significa, per una comunità cristiana, condividere tempi e spazi con chi vive una forma di demenza?

Juan Merced, in un articolo pubblicato su America Magazine il 6 novembre 2025, ha formulato la questione in modo netto: «Se siamo ciò che ricordiamo, chi siamo quando la memoria viene meno?». La domanda non riguarda soltanto la psicologia o la medicina, ma il modo in cui guardiamo alla persona, alla sua identità, alla sua partecipazione alla vita sociale e religiosa. La tradizione cristiana, da questo punto di vista, ha indicato con chiarezza un orientamento. «Gaudium et Spes» (nn. 12 e 27) ribadiva che la dignità umana non dipende dalle capacità di ciascuno, ma dal valore intrinseco di ogni persona. In «Fratelli tutti» (nn. 64-65), Francesco ricordava che la qualità di una società si misura dal modo in cui sostiene i suoi membri più vulnerabili («Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate»). E la lettera «Samaritanus bonus» della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita (22 settembre 2020) sottolineava la responsabilità di accompagnare chi vive condizioni di fragilità, senza adottare criteri di efficienza o di utilità.

Questi riferimenti offrono una cornice, ma non esauriscono il tema. La ricerca scientifica aiuta a precisarlo ulteriormente: molte persone affette da demenza perdono la memoria episodica o semantica, ma conservano la capacità di percepire affetto e attenzione. Allo stesso modo, distinguono disinteresse e mancanza di rispetto. È un dato ormai ben documentato: anche quando la memoria vacilla, la sensibilità rimane, e spesso è più esposta di quanto si creda. La cura, ovunque essa si concretizzi (famiglia, strutture sanitarie o comunità ecclesiali) è percepita nella sua qualità, oltre che nei suoi toni. La fragilità, insomma, non cancella la persona: la rende semmai più vulnerabile agli ambienti che la circondano.

In questo quadro, la domanda pastorale si fa urgente: le comunità cristiane sono in grado di accogliere chi vive forme diverse di demenza? Molte pratiche ecclesiali restano centrate su comprensione razionale, memoria e risposta verbale: pensiamo alla catechesi o alle varie forme della partecipazione liturgica. La fede non si esprime soltanto attraverso la piena consapevolezza del gesto e del momento, ci sono pure i ritmi e le sensazioni corporee. Lo stesso vale per i sacramenti: la loro efficacia non dipende esclusivamente dalla capacità di comprendere a pieno ciò che vi accade, ma dal semplice fatto di poterli ricevere. Alcune comunità introducono già piccoli accorgimenti per consentire una partecipazione reale a chi vive fragilità cognitive; per esempio, durante le messe celebrate nelle case di cura è abitudine che il sacerdote sminuzzi in anticipo le particole per facilitarne la deglutizione. Sono gesti semplici, ma rivelano l’atteggiamento di una liturgia che anziché imporre un modello unico, si lascia interrogare dalle persone concrete che ha di fronte. La dimensione corporea della fede acquista così un rilievo nuovo. Molte persone con demenza rispondono alla musica, ai ritmi della preghiera, a oggetti simbolici che evocano una familiarità antica. Sono elementi che continuano a offrire conforto e senso di partecipazione, pur in assenza della memoria dichiarativa. Non si tratta di romanticismi, ma di dati ampiamente confermati dalle neuroscienze e da anni di osservazione nei contesti assistenziali.

Tutto questo, però, non accade automaticamente. La competenza è decisiva. Sacerdoti, diaconi, catechisti, operatori pastorali e volontari spesso si trovano impreparati: non per mancanza di buona volontà, ma perché non sempre sono in possesso degli strumenti necessari a fare i conti con le malattie neurodegenerative. L’impatto emotivo è forte, e non tutti sanno come affrontarlo. Senza un’educazione specifica; le comunità rischiano di non essere all’altezza di una sfida che ormai riguarda una parte consistente dei loro membri. Accanto alla formazione ecclesiale, è indispensabile il contributo di professionisti come medici, psicologi, fisioterapisti, educatori, operatori sociosanitari. La Chiesa non può affrontare da sola la complessità della demenza, deve invece collaborare, ascoltando e coordinandosi con altre realtà. Può creare alleanze che aiutino davvero quanti vivono la malattia e chi si prende cura di loro. È fondamentale, inoltre, non isolare le famiglie, che spesso assumono da sole un carico enorme di responsabilità quotidiane. Ma non vanno lasciate sole neppure le persone ammalate, che a volte vengono tenute lontane – per timore o per mancanza di strumenti – da chi potrebbe offrire loro un ancoraggio prezioso. La demenza non infantilizza la persona: la conduce in una dimensione diversa, di cui conosciamo solo alcuni aspetti, e che richiede sia rispetto, sia una forma nuova di reciprocità.

La sfida è davanti a noi. Nella nostra società il numero delle persone affette dalle malattie di cui scriviamo è destinato ad aumentare nei prossimi anni. Le comunità, non solo quelle cristiane, devono dotarsi di nuovi strumenti per la comprensione e per l’azione. È un compito che richiede lucidità e senso di realtà, più che slanci emotivi. La dignità delle persone fragili non si protegge soltanto con le parole, ma con i comportamenti concreti, la competenza e la capacità delle comunità stesse di non tirarsi indietro. Nel modo in cui la Chiesa saprà affrontare questa sfida, si misurerà anche la sua fedeltà alla propria missione: esserci, con intelligenza e cura, per ogni persona, in ogni stagione della vita.

 

*Storico del cristianesimo e ricercatore della Fbk