venerdì 24 Ottobre, 2025

Yeman Crippa: «In orfanotrofio in Etiopia, a ogni clacson fuori speravo fossero i miei zii a riprendermi, poi l’adozione»

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Il campione al tour dell'Autonomia de ilT e i ricordi di una vita. «In Trentino ho visto la neve per la prima volta. Mi sembrava di essere in paradiso»

Uno Yeman Crippa a cuore aperto. Il mezzofondista trentino di origine etiope si è raccontato a 360 gradi nella serata del Tour dell’Autonomia del «T» a Fiavé, nella palestra Armando Calliari di fronte a un folto pubblico in tribuna. L’infanzia, il rapporto con i genitori adottivi, la maratona. Arrivato a 7 anni comune di Montagne (oggi frazione di Tre Ville, nelle Giudicarie) tesserato con l’Atletica Valchiese dal 2007 al 2011 (poi tre anni nel Gs Valsugana e dal 2014 nei ranghi sportivi della Polizia di Stato), Crippa è atleta delle Fiamme oro, vincitore, in carriera, di tre medaglie d’oro a livello europeo e 4 nel cross, vincitore di numerose gare e ora maratoneta di successo.

La gioia della fatica
«La maratona è una sfida con se stessi, la faccio da 3-4 anni. Peccato non aver cominciato prima. A dicembre correrò alla maratona di Valencia. La maratona è dolore e fatica: ma solo così un traguardo può dare gioia. Quando corri da solo pensi al passato, al futuro, ascolti te stesso».

Ritorno alle origini
«Bello vedere qui tante facce di persone con le quali sono cresciuto» ha esordito Yeman, che ora vive a Trento, nella sua chiacchierata alla palestra di Fiavé, intervistato dal direttore del «T» Simone Casalini. «Se chiudo gli occhi che immagine vedo della mia infanzia? Io piccolo pastore, al pascolo con le mie mucche. Come tanti bambini in Etiopia. Era quasi come un gioco uscire con pecore, mucche, asini sui pratoni. Giocavamo a nascondino, nel frattempo».

Un nome impegnativo
«Il mio rapporto con Dio? Il mio nome (Yemaneberhan) è impegnativo, in amarico vuol dire “braccio destro di Dio”. Sono credente, mio padre è molto praticante. Preferivo, come nome – scherza Yeman – magari “la gamba destra di Dio”».

Verso l’Italia
«Ero in orfanotrofio in Etiopia. Sentivo il clacson fuori e speravo fossero i miei zii che venivano a riprendermi. Mi avevano promesso che sarei stato lì solo per un po’. Invece ci stavo per essere adottato. Nel 2003 sono venuto in Italia, adottato, nel 2008 sono tornato la prima volta in Etiopia. Volevo rivedere i posti della mia prima infanzia, ma al mio ritorno sembrava tutto diverso. Era cambiata la mia visione. Non fu emozionante come me l’aspettavo».

La nuova famiglia
«Adottato insieme a cinque tra fratelli e sorelle e due cugini, in Trentino ho visto la neve per la prima volta. Mi sembrava di essere in paradiso. In Etiopia non avevo da mangiare tutti i giorni. I primi giorni non riuscivo a chiamare i miei “mamma” e “papà”. Mi hanno insegnato a volerci bene, a non lamentarsi. Il loro è un insegnamento d’amore».

La vocazione sportiva
«Già alle medie, grazie ai risultati, mi era venuta l’idea di insistere con la corsa: anche per questo ho scelto una scuola professionale come l’alberghiero. Era più conciliabile con lo studio in una scuola che punta al lavoro manuale. E poi devo dire che a scuola ero un asino» ha spiegato Yeman. «In campo correvo solo io: meglio, allora, correre per se stessi». Così Crippa ha ricordato gli esordi nel calcio, nella Virtus Giudicariese, poi Valrendena e Tione. «Avevo tanta passione per il calcio. Ma mi ero iscritto all’Atletica Valchiese e iniziavo a vincere. Per un periodo facevo entrambi gli sport. L’atletica era stare con me stesso, concentrato. Non era facile rinunciare a uno sport di squadra. A 18 anni sono entrato in Polizia, nelle Fiamme Oro, e mi sono trasferito a Trento. Corro al 99% perché è una passione: solo l’1% per il risultato, per le pressioni esterne».

Passione maratona
La maratona, negli ultimi anni, mi ha fatto imparare tanto. Facevo i 5 e i 10mila: 3-4 anni fa ho iniziato con la maratona. Rimpiango di non aver iniziato prima la mia carriera da maratoneta. La maratona è la gara più tosta, quella che ti rimane nel cuore. In pista ho fatto il mio, avevo bisogno di nuovi stimoli. Nella maratona sto provando grandi emozioni. Mi piace dedicare tanti mesi di preparazione a una sola gara: per me è bellissimo veder crescere la mia forma un po’ di più ogni giorno».

Cittadinanza da riconoscere
Yeman Crippa, sollecitato, si è poi soffermato sulla cittadinanza, spesso esclusa anche per i bambini stranieri che sono nati qui. “Non trovo che sia giusto, io ho ricevuto la cittadinanza italiana grazie all’adozione che mi ha consentito un determinato tipo di percorso. Chi non ha la cittadinanza può subire esclusioni, è sbagliato. Per questo lo Ius scholae o altre misure che favoriscano l’estensione della cittadinanza sono, a mio avviso, da sostenere”.

Identità e autonomia
«Sono orgoglioso di essere trentino – ha chiuso Crippa –, qui l’autonomia permette una qualità della vita molto alta e il valore dell’uguaglianza. Il razzismo? Non ha senso, non bisogna odiare nessuno».

Le altre domande 
Accanto al direttore Casalini, si sono poi aggiunte le domande di altri ospiti. Angelo Zambotti, responsabile della pagina sportiva del T Quotidiano, ha osservato come molti campioni trentini provengano dalle valli, spesso piccoli paesi. “è vero – ha risposto, scherzando, Crippa – forse perché non ci sono le discoteche”. Tra gli altri sono intervenuti Paolo Paletti, ex maestro di italiano, storia e ginnastica di Yeman, e la sua prima allenatrice di calcio, Paola Previtali. Tante e curiose – dall’alimentazione agli infortuni passando per gli allenamenti – le domande di due stedentesse e uno studente dell’istituto comprensivo di Ponte Arche. “Normalmente cerco di non mangiare schifezze – ha osservato Yeman – e ho una dieta che prevede carboidrati e proteine. Dopo una maratona posso un po’ sfogarmi…”. A Luca Bronzini, presidente della Scuola Penny Wirton che insegna la lingua italiana agli stranieri, che chiedeva lumi sulle affermazioni del generale Vannacci contro Paola Egonu, accusata di non avere tratti italici, Crippa ha risposto: “Non comprendo queste polemiche, non sono affermazioni da persone sane. Credo che tutti noi possiamo dare un contributo importante alla società, siamo italiani e non vedo differenze”. Infine, don Walter Sommavilla – che non ha potuto essere presente – aveva donato due domande per Yeman: se fosse ancora il monello che correva nelle piazze (“Sono cresciuto e quel ragazzino non c’è più, ma resta dentro di me”) e un messaggio per tutti coloro che non diventano campioni (“Non è importante essere campione, nemmeno io lo sono. L’importante è darsi degli obiettivi e provare a inseguirli”). Poi le conclusione e l’assalto dei tanti giovani presenti che hanno chiesto foto e autografi a Yeman. Non solo un grande atleta, ma anche un esempio di vita.