In tribunale

martedì 30 Settembre, 2025

La punizione per i bambini: chiusi in garage al freddo e senza la possibilità di usare il bagno (dopo essere stati costretti a bere acqua): 7 anni di carcere alla matrigna

di

Da Trento una storia shock di abusi sui minori. Il video delle «quattro sberle al giorno» nella chat con il compagno: il caso emerso grazie alla segnalazione della pediatra

Le pesanti accuse, quelle di aver maltrattato «con sevizie e crudeltà» i figli minori del compagno convivente, di aver tenuto nei loro confronti «comportamenti disumani», hanno retto in tutti e tre i gradi di giudizio. E a breve per la donna, una trentina 30enne, si apriranno le porte del carcere di Spini. E la detenzione sarà lunga. Di 6 anni e 8 mesi la pena inflitta in primo e secondo grado per maltrattamenti e lesioni aggravati e in continuazione, considerato anche lo sconto previsto dal rito scelto, l’abbreviato. Una condanna diventata di recente definitiva, dopo che la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato. Recluso a Spini da oltre un anno c’è già il compagno, un 50enne trentino all’epoca dei fatti agente della Polizia di Stato. Di 4 anni e 8 mesi la pena che ha patteggiato. Rispondeva in concorso con la compagna di quei maltrattamenti atroci e quelle punizioni corporali ingiustificate riservati ai due figli che dopo la morte della madre avevano bisogno solo di affetto e attenzioni. Per quanto l’ex agente avesse «l’obbligo giuridico di impedire» quelle «gravi sofferenze» al bimbo allora di 6 anni e alla ragazzina di 13, era invece l’«esecutore materiale» di quei maltrattamenti. Agiva così solo per evitare che la compagna si arrabbiasse, che se ne andasse o peggio che lo lasciasse. E prima della convivenza le inviava i video delle «4 sberle al giorno» alla figlia. Una volta sotto lo stesso tetto però era lei quella che alzava le mani, che imponeva terribili castighi, anche immotivati, dimostrando un «comportamento malato e di natura malefica» – scrive il giudice – nei confronti dei due ragazzi che dovrà risarcire con 200mila euro.

Segnalazione della pediatra
I due allora minorenni per circa tre anni avevano vissuto nel terrore, in uno stato di soggezione e tristezza, oltre che trasandati e sporchi, segregati al buio e al freddo anche per giorni interi. Malnutriti, non potevano usare sempre il bagno (la matrigna non voleva). E anche il manico di scopa diventava un’arma. Ed erano lividi, ematomi. Lesioni, anche su più punti del corpo, che hanno fatto sì che la pediatra facesse segnalazione e scaturisse l’inchiesta che ha portato a galla i terribili fatti avvenuti in Trentino tra 2018 e 2021, confermati poi anche dalla scuola. Determinante è stato comunque il racconto delle due vittime, sentite in audizione protetta (loro tutrice l’avvocata Chiara Pontalti, difensore l’avvocato Alessandro Meregalli). Pensare che la 30enne, difesa dall’avvocata Claudia Vettorazzi, aveva cercato di addebitare i diversi lividi sul bimbo alla sorellina più grande, se non fosse che la ragazzina ha scritto in lacrime un messaggio alla pediatra, smentendo la sua responsabilità: «ma non ho il coraggio di dire la verità» aveva confessato, terrorizzata da quella matrigna che le aveva anche attribuito la colpa della morte della madre.

Al gelo e buio, senza bagno
I ragazzini erano puniti «per qualsiasi cosa», picchiati con sberle e calci, ma anche con il manico della scopa o altri arnesi in metallo. E segregati. Anche per giorni interi. Chiusi in una stanza al buio, con tapparelle abbassate, lì dove dovevano consumare i pasti velocemente (sempre la solita pasta), senza poter accendere la luce o far circolare aria — tanto che la stanza si era riempita di muffa — senza poter parlare. Fratello e sorella erano costretti poi a bere mezzo litro di acqua altrimenti avrebbero dovuto usare il bagno, lasciato chiuso a chiave, e capitava pure che il piccolo si facesse la pipì addosso. Obbligati, ancora, a fare un’unica doccia a settimana, con abiti— sempre gli stessi — lavati una sola volta al mese. E poi c’erano i «castighi»: non solo percosse. Quelli che i due erano indotti a credere fossero meritati. Dovevano rinunciare poi anche allo sport. E capitava venissero mandati in garage, pure in piena notte, rimanendo al gelo. Come succedeva la mattina: era lì che dovevano attendere di andare a scuola dopo essersi preparati in pochissimi minuti, senza fare colazione, senza andare in bagno, e questo per non rischiare di svegliare il bimbo nato dalla relazione del papà con la nuova giovane compagna. Ed era capitato che alla figlia più grande, in inverno, lasciata solo con i calzini e senza giacca nel giroscale, le si gelassero i piedi, al fratellino le mani. Quest’ultimo lasciato solo in mutande a patire il freddo anche in casa, dove non c’era riscaldamento. Scene aberranti, sconvolgenti. Per i quali i due adulti ora pagheranno con la reclusione in carcere.