l'intervista

domenica 21 Settembre, 2025

Claudio Cia e la sua «Inquietudine»: «Sono cresciuto nel convento dei frati. Io con FdI? Le mie figlie non mi votarono»

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Ieri il consigliere provinciale ha presentato la sua autobiografia: «Sono nato senza padre, porto il cognome di mia madre. Sono passato direttamente dalla sala parto al collegio»

Si intitola «Inquietudine» l’autobiografia del consigliere provinciale Claudio Cia (Reverdito Editore, 2005): «L’inquietudine è lo stato d’animo che ha accompagnato la mia vita. Una presenza silenziosa che mi ha spinto a interrogarmi e a non fermarmi mai. Un sentimento faticoso, che mi ha obbligato a tanti sacrifici, ma che allo stesso tempo mi ha dato la forza di andare avanti».

Lei è conosciuto per la sua attività politica, iniziata in Consiglio comunale nel 2009. Ma la politica, nel suo libro, è lasciata alle ultime pagine. La lasceremo in fondo anche in questa intervista, ma una questione che riguarda la politica dev’essere affrontata subito: le sue due figlie non l’hanno votata quando, alle ultime elezioni, si è candidato con Fratelli d’Italia.
«Avevo detto loro che sarebbe stato il colmo non essere eletto per due voti, quelli delle proprie figlie. Ma non hanno desistito, e questo dimostra che hanno carattere, che nonostante l’affetto che ci lega su questioni di principio non cedono. E poi significa che seguono la politica, ed è bello che le giovani generazioni lo facciano. Ma in ogni caso, ci avevano visto lungo, col senno di poi…».
Perché poi da Fratelli d’Italia è uscito.
«Come scrivo nel libro, di solito sono i figli che devono ascoltare i genitori, ma in questo caso avrei dovuto ascoltare io le mie figlie».
Le ha ascoltate in un’altra occasione, perché è stata una delle due che le ha consigliato di scrivere le sue memorie.
«Chiara. E davvero, mai avrei pensato di scrivere un libro, non certo un’autobiografia. Volevano che emergesse la mia storia personale, che fossero unite le tante storie che ho raccontato loro. La decisione di pubblicarlo, è anche per far conoscere l’uomo oltre al personaggio pubblico».
L’uomo nasce senza padre, prende il cognome della madre. E subito viene affidato dai Servizi sociali a una serie di istituzioni per bambini i cui genitori non riescono a prendersi cura.
«Sono passato direttamente dalla sala parto al collegio. Mia mamma non mi poteva allattare, quindi non si è atteso nemmeno lo svezzamento. In collegio la vedevo poco, anche se non ci siamo mai persi di vista e ha fatto parte fino all’ultimo della mia famiglia. L’educazione mi è arrivata dall’ambiente che ho vissuto, con suore, preti. Frati».
E non è un caso che a un certo punto abbia pronunciato i voti solenni, la professione perpetua nell’Ordine dei Frati minori.
«In convento ci stavo da Dio. Era il mio mondo. Lì ho incontrato persone incredibili che hanno segnato la mia vita».
Anche persone di un certo calibro: l’attuale cardinale e patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, quello che era tra i papabili all’ultimo Conclave. E poi monsignor Carlo Colombo, il confessore di papa Paolo VI. E ha incontrato papa Giovanni Paolo II. Non ultimo un mostro sacro, padre David Maria Turoldo. «Quest’ultimo l’ho assistito nell’ultimo tratto della sua vita. Ma oltre a questi personaggi, posso dire che soprattutto le figure minori, i semplici frati, mi hanno lasciato molto. Devo a loro tantissimo».
Senta, non solo Turoldo ha accompagnato alla morte. Lei scrive di oltre settanta frati nel suo libro.
«Ero già infermiere, e mi era stata affidata l’infermeria del Convento. Ma un’altra esperienza che mi ha segnato è stata successiva, dopo aver lasciato l’Ordine, quando andai per un anno a Bolzano nel reparto infettivi, nel boom dell’Aids. Anche lì ho visto tanti morire».
Lo ha accennato lei: a un certo punto lascia la vita consacrata. Nel libro descrive il travaglio della decisione, il tremore nella firma in calce alla dispensa pontificia dalla professione solenne. Altre inquietudini, che però l’hanno portato a conoscere l’amore. Due mogli, due figlie.
«E ho altri due figli, quelli della mia seconda moglie, Manuela. Uno, il più piccolo, non ha nemmeno ricordo di quando sono entrato nella sua vita, perché era piccolissimo. L’ho visto crescere».
La sua vita sembra quella di uno che ce l’ha fatta. La sua infanzia, ma anche gli anni della scuola. Racconta lei che è stato bocciato due volte alle elementari e due alle medie. Ed è diventato consigliere provinciale.
«Posso dirmi soddisfatto, e condividere la soddisfazione con chi mi ha accompagnato. Ma dico subito che la politica non è mai stata un obiettivo. Sentivo di avercela fatta anche come infermiere, dati i presupposti della mia vita».
Ora parliamo di politica.
«Sono entrato in Consiglio comunale perché mi chiesero di entrare in lista con Pino Morandini. Senza illusioni di essere eletto. Ma fui eletto. E poi in Consiglio provinciale ci arrivai come primo dei non eletti, subentrato a Diego Mosna che si dimise».
A Palazzo Thun non perse mai nemmeno una seduta. Divenne famoso per la battaglia contro i conigli al cimitero e per i pannoloni che pesavano sulla tariffa dei rifiuti. Poi fondò Agire, fu candidato sindaco, fu eletto e rieletto in Consiglio provinciale. L’ultima volta con Fratelli d’Italia, che lasciò sbattendo la porta.
«Ne ho sofferto. Mi sono sentito umiliato. Fugatti mi nominò assessore, poi per far posto a Gerosa vicepresidente io dovetti lasciare la giunta. Mi sono sentito non rispettato perché nella mia vita, nel mio piccolo, mi sono sempre conquistato tutto. Ma con Fratelli d’Italia la meritocrazia non era considerata. Poi i rapporti umani. Credevo di avere attorno amici, ma forse la politica non è il luogo delle amicizie. Peccato».
Nel libro sembra un po’ gioire degli sviluppi recenti in FdI.
«Ho ricordato che siamo entrati in cinque eletti, ora ne rimangono due. E che fui costretto a star fuori dalla giunta per fare spazio a Gerosa vicepresidente. Che ora è assessora semplice».