il focus
domenica 21 Settembre, 2025
Pronto soccorso, un paziente su cinque aspetta 8 ore per essere dimesso. E un quarto degli accessi proviene da fuori regione
di Massimo Furlani
Codici bianchi, verdi e azzurri: su 20mila persone prese in carico, 19mila si presentano in ospedale senza richiesta. I radiologi insorgono: «Infermieri? Misura sbagliata»
Fino a otto ore in ospedale per una visita non urgente. È il quadro che emerge analizzando i numeri riguardanti gli accessi ai pronto soccorso degli ospedali trentini nel 2024 e in base ai quali la giunta provinciale ha deciso di introdurre per gli infermieri la possibilità di prescrivere esami radiologici per i traumi minori agli arti (il T di ieri). Su un totale di 239.836 accessi al pronto soccorso registrati lo scorso anno, infatti, questi infortuni pesano per circa un decimo, con 20.314 casi suddivisi fra 1.147 codici bianchi (il 5,6%), 15.658 verdi (77,1%) e 3.509 azzurri (17,3%). Di queste prese in carico, 19.127 si presentano in ospedale senza richiesta, e questo rallenta ulteriormente la procedura: secondo la giunta, potendo richiedere le radiografie, l’attività dei medici si velocizzerebbe.
Otto ore in ospedale
La quantità di tempo trascorsa in pronto soccorso per traumi minori viene valutata secondo due indicatori: i tempi di attesa, che si riferiscono a quello trascorso dalla fine del primo triage (la fase in cui viene assegnato il codice) fino alla chiamata in visita, e quelli di permanenza, che invece riguardano tutta la durata dall’inizio del triage alla dimissione. Sono questi ultimi, in particolare, quelli che la Provincia sta cercando di abbattere: attualmente un 21,6% delle persone che si recano in pronto soccorso per traumi minori rimane lì ben otto ore prima di essere dimesso. Il 41,7% resta per quattro ore, il 33,7% per due. In particolare, la fase dalla visita all’uscita sembra essere la più critica, visto che fra la chiamata e la dimissione la maggior parte dei pazienti (oltre l’88%) deve aspettare tra le due e le quattro ore.
L’identikit dei pazienti
Guardando alla provenienza dei pazienti, Trento con 2.823 e Rovereto con 1.207 sono le uniche città a superare i mille casi, seguono Pergine con 560, Arco con 526 e Riva del Garda con 475. Una parte importante degli accessi è «coperta» dai residenti fuori provincia che ammontano a 5.688, più di un quarto del totale complessivo. L’età media delle oltre ventimila persone prese in carico per traumi minori è di 48 anni e mezzo: nello specifico, oltre un terzo si concentra nelle fasce dai 45 ai 54 anni (17,8%) e 55-64 anni (17,6%). L’età precisa di accesso più «frequente», però, è quella dei 18 anni, con 466 casi.
Orari e incidenti
Guardando alla tipologia degli incidenti che coinvolgono le persone che si presentano in pronto soccorso, nella maggior parte dei casi si tratta di traumi e lesioni accidentali, che ammontano a 12.215.
La seconda tipologia invece è quella degli incidenti sul lavoro (2.301), che superano anche quelli sciistici (2.076) e domestici (1.184). Da sottolineare anche i 150 episodi di traumi per violenze subite da altre persone.
La mattina è il periodo della giornata in cui si concentrano più accessi: solo fra le 9 e le 11, lo scorso anno, si sono presentate in pronto soccorso 3.497 persone, il 17.21% degli accessi totali.
I radiologi: «Misura sbagliata»
All’interno del mondo sanitario, comunque, non manca chi solleva critiche contro la decisione della giunta. L’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche del Trentino, attraverso la presidente Barbara Cristofolini, promette infatti battaglia legale: «Riteniamo gravissimo ricevere informazioni di un simile progetto solamente tramite la stampa — si legge nella nota — La Provincia ha condiviso, previsto e definito il progetto solamente con l’Ordine degli infermieri e dei medici senza mai confrontarsi con codesto Ordine competente in materia di tecniche di radiologia medica, e a quanto pare, nemmeno con i medici specialisti in radiologia». Una contrarietà sia sui modi che sui contenuti: «Il prescrittore di esami radiodiagnostici deve essere un medico, come previsto dal D.Lgs. 101 del 2020 e dalle altre fonti tecniche e legislative in tecniche di radiologia medica — prosegue l’Ordine — Le prescrizioni di radiologia medica già ora presentano spesso un grave vizio di scarsa appropriatezza e giustificazione preliminare, cosa che prevede conseguenze negative per i pazienti che vengono esposti a radiazioni senza una giustificazione concreta che porti reali vantaggi clinici, in secondo luogo enormi costi per la sanità pubblica. L’assoluta scarsità di copertura degli organici di infermieri, inoltre, non è coerente con la scelta di aumentare le competenze e le funzioni degli stessi. Manca completamente il rispetto delle professioni sanitarie, non è la prima volta che nelle scelte strategiche sanitarie vengano coinvolti solamente medici e infermieri». Da qui la richiesta di un incontro urgente con l’assessore provinciale alla salute Mario Tonina.
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