Val Rendena
giovedì 21 Agosto, 2025
«La buona notizia è che non hai bisogno della religione»: un cartello fa riesplodere la polemica sulle croci di vetta
di Davide Orsato
La campagna lanciata da Alessandro Giacomini riprende uno slogan della Uaar. Cia (Misto): «Irrispettoso della nostra storia»

Nel 2009, l’Uaar, l’unione degli atei, agnostici e razionalisti, tentò una campagna shock sugli autobus di Genova. Con uno slogan: «La brutta notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno». Non ci riuscì, perché l’inserzione venne rifiutata.
Sedici anni dopo, eccolo ricomparire la stessa frase (aggiustata) sulle montagne trentine. Una formula, forse, più rassicurante: «La brutta notizia è la presenza della religione. Quella buona è che non ne hai bisogno». Il primo è comparso a Malga Ritorto, nei dintorni di Madonna di Campiglio. C’è anche una specie di firma («citazione di Giacomini Alessandro»). E del resto è lo stesso Giacomini, già portavoce trentino dello Uaar, esecutore testamentario di Margherita Hack, ad aver lanciato, tre giorni fa, l’iniziativa dal suo profilo Facebook: «Le cime delle montagne — scrive Giacomini — dovrebbero essere neutre.
La presenza di simboli religiosi sulle vette può essere vista come una contraddizione a questo principio. Molti sostengono che i luoghi naturali ditale importanza dovrebbero rimanere liberi da simboli che possono essere interpretati come divisivi o esclusivi, per preservare un senso di universalità e rispetto per tutti. Quindi chiedo a tutti coloro che hanno a cuore questi principi di aggiungere ad ogni marcatura del territorio, con simboli religiosi, un cartello con questa dicitura».
E a Malga Ritorto è seguita, sempre in zona Rendena, cima Durmont (comune di Tre Ville), dove sotto la croce è comparsa la stessa scritta. Non sono mancate le reazioni. La prima, nel mondo politico trentino, è del consigliere provinciale Claudio Cia (Gruppo Misto): «Non è la prima volta — afferma Cia — che questo personaggio (Giacomini, ndr) si fa notare per provocazioni di questo genere, volte più a ottenere visibilità che ad alimentare un confronto serio. Questa iniziativa è doppiamente assurda. Da un lato perché ignora che le religioni non sono un ingombro da cui liberarsi, ma parte integrante della nostra storia collettiva. Hanno plasmato comunità, favorito il nascere di reti di solidarietà, dato vita a scuole, ospedali e opere sociali che hanno reso più coeso il tessuto civile delle nostre comunità alpine. Pensare di liquidare tutto questo con uno slogan non è un atto di libertà, ma un impoverimento culturale.
Dall’altro lato perché dimentica una verità semplice: l’essere umano è un essere simbolico, portato a cercare senso, memoria e ritualità condivise. Le croci sulle nostre vette non sono imposizioni calate dall’alto, ma segni popolari nati dalla devozione e dal ricordo di chi ci ha preceduti. Affiggervi cartelli polemici non ne riduce il significato, ma finisce solo per confermarne la forza e l’attualità.Il Trentino ha sempre saputo coniugare la libertà di coscienza con il rispetto dei segni che fanno parte del nostro patrimonio spirituale e culturale. È questa la strada che dobbiamo difendere: meno slogan, più rispetto e più dialogo».
Non è la prima volta che la presenza delle croci di vetta, scatenano un dibattito: nel 2023, una dichiarazione di Marco Albino Ferrari, responsabile culturale del Cai, disse che era opportuno non erigerne di nuove. Scoppiò un caso, con le reazioni indignate, tra le altre, dei ministri Salvini e Santanché.
Replica di Alessandro Giacomini:
Il consigliere Claudio Cia, nel suo veemente appello contro quella che definisce una «provocazione» invoca rispetto e dialogo. Parole condivisibili, ma che si svuotano di significato quando si usano per difendere un monologo.
L’iniziativa non è un attacco alla storia o alla cultura, ma una legittima e, per certi versi, doverosa provocazione volta a innescare quel dibattito che il consigliere Claudio Cia sembra tanto auspicare.
L’argomento che «le religioni hanno plasmato comunità e creato scuole e ospedali» è, francamente, un pretesto debole.
Nessuno nega il ruolo storico della Chiesa, ma questo non può essere un assegno in bianco per giustificare l’occupazione simbolica e permanente di spazi pubblici e, in questo caso, naturali.
Gran parte delle opere sociali menzionate sono nate in un contesto in cui la Chiesa deteneva un potere quasi assoluto, e oggi molte di esse sono sostenute con denaro pubblico, di tutti i cittadini, credenti e non. Un patrimonio storico non può essere usato come scudo per rivendicare un privilegio simbolico nel presente.
La tesi secondo cui «le croci sono segni popolari e non imposizioni» è, a sua volta, insostenibile.
Per un non credente, un ateo, o una persona di un’altra fede, la croce non è un simbolo universale di memoria o ritualità, ma un potente simbolo di una religione specifica.
In un’epoca di crescente laicità e pluralismo, apporre un tale simbolo su una cima che appartiene a tutti è un atto che, per quanto mosso da buona fede, crea una distinzione tra chi si riconosce in quel segno e chi ne è escluso.
Non è la provocazione di un singolo a dividere, ma la pretesa di un gruppo di marcare con la propria simbologia uno spazio comune.
Dunque, dove sta il dialogo che Cia tanto reclama?
Il dialogo vero non è difendere uno status quo, ma riconoscere che i tempi sono cambiati.
Richiedere la neutralità delle cime non è «impoverimento culturale», ma la necessaria evoluzione verso un rispetto più ampio e inclusivo.
La storia non si difende con simboli immobili, ma con la capacità di adattarsi e accogliere la pluralità.
Siamo stanchi di discorsi vuoti sul «rispetto» e sul «dialogo» quando questi si traducono nel difendere la supremazia di una simbologia a discapito di tutti gli altri. Il vero rispetto non è accettare in silenzio, ma chiedere che le vette, patrimonio di tutti, tornino a essere uno spazio neutro, dove ogni escursionista, a prescindere dal suo credo, possa sentirsi a casa.
Ridurre questa richiesta a un atto di maleducazione o a uno «slogan» è una scelta retorica, non un argomento.
L’unico dialogo che sembra interessare è quello che non mette in discussione l’egemonia.
E questo non è dialogo, ma un’imposizione che non possiamo più tollerare.
Concludendo sull’accusa di voler «visibilità», si tratta di una critica che suona vuota se pronunciata da un pulpito politico.
Mentre il consigliere Cia ha per ruolo istituzionale quello di essere costantemente sotto i riflettori il sottoscritto è un semplice cittadino che usa gli unici strumenti a sua disposizione per sollevare una questione di principio. Definire la mia azione come una ricerca di protagonismo significa non voler affrontare il merito del problema, ma delegittimare l’interlocutore stesso, quando è proprio il suo contrario: il consigliere Claudio Cia , calpesta la mia onorabilità per il proprio spregevole tornaconto elettorale
l'iniziativa
Al Parco delle Terme di Levico al via la rassegna letteraria «Autori alla serra». Tra gli ospiti Daniele Zovi, Elena Stancanelli e Massimiliano Bucchi
di Redazione
Sette incontri, a partire da venerdì 24 ottobre fino a venerdì 5 dicembre, con autrici e autori interpreti del panorama letterario nazionale e ben tre anteprime regionali