La tragedia
lunedì 18 Agosto, 2025
Bolzano, neonati morti in ospedale: il batterio nei dispenser per i biberon
di Davide Orsato
I Nas hanno disposto la sospensione dell'utilizzo del detergente. Partorienti altoatesine trasferite a Trento, ma mancano i posti

Il beccuccio di un dispenser che contiene detersivo. È, forse, l’ultimo punto a cui si penserebbe per individuare una colonia batterica. Eppure è da lì che è partita l’infezione che si è rivelata mortale per due neonati prematuri ricoverati all’ospedale San Maurizio di Bolzano: a causarla il batterio Serratia marcescens, innocuo nella maggior parte dei casi, quando viene a contatto con individui adulti, ma letale, in certi casi, quando a contrarlo sono persone (spesso bambini con pochi giorni di vita) privi della difese immunitarie. Sono giunte a questo risultato le prime indagini cliniche condotte all’interno del reparto di terapia intensiva neonatale. La risposta dell’autorità giudiziaria è stata rapida: ieri mattina, i Nas del Trentino Alto Adige hanno notificato alla direzione generale dell’ospedale la direttiva di sospendere, almeno per il momento, l’impiego di uno specifico detergente lavapiatti potenzialmente contaminato. Secondo quanto riporta l’Ansa, la positività è stata trovata nel beccuccio e nei dispenser del sapone usato per lavare tettarelle e biberon. Ora le ipotesi al vaglio degli inquirenti sono diverse e per sciogliere ogni dubbio è necessario attendere il completamento delle analisi.
Lo stesso ordine è stato applicato agli altri ospedali della provincia di Bolzano. Una misura precauzionale, perché sembra improbabile che il batterio possa essersi diffuso su uno stock di prodotti. La pista più verosimile è quella di una contaminazione arrivata dall’esterno: in un primo momento si era pensato che il germe potesse essere arrivato tramite un genitore in visita al reparto.
Quattro contaminati
Oltre ai due neonati deceduti (entrambi avevano circa tre settimane di vita e pesavano 700 grammi) ci sono altri quattro contaminati dei dieci presenti in reparto: le loro condizioni sarebbero stabili.
La direzione del San Maurizio è tornata anche sabato a ricordare come gli altri reparti dell’ospedale non risultino contaminati dal batterio, incluso quello di ostetricia, dove avvengono la maggior parte dei parti. Il problema è, dunque, limitato alla sola terapia intensiva.
«Pochi posti a Trento»
E proprio per questo motivo, si è parlato, negli ultimi giorni, della possibilità di trasferire alcune partorienti altoatesine all’ospedale Santa Chiara di Trento, l’unico, in provincia, con un reparto analogo. Si sta parlando, naturalmente, non di emergenze, ma di parti prematuri che sono comunque programmati. Il problema nel problema è che a Trento mancano i posti. Sono venti in tutto ma al momento possono essere seguiti solo sedici bambini, a causa di carenza di personale (ci sono di mezzo anche le ferie) e per questo motivo solo una donna altoatesina è stata accolta in reparto. Nella notte fra giovedì e venerdì aveva fatto richiesta anche una donna di Merano, respinta perché il reparto era già pieno. Il personale fa sapere che le partorienti da fuori il Trentino saranno accettate compatibilmente con la disponibilità delle culle.
Il precedente
Il Serratia marcensces è un batterio che si trova comunemente nei luoghi umidi, come stagni e nelle acque di scarico: si tratta di un batterio opportunista ed è un tristemente noto «ospite sgradito» dei reparti ospedalieri. Quello di Bolzano non è il primo caso di «colonizzazione» di un reparto delicato come quello della terapia intensiva neonatale. Uno dei casi più eclatanti di contaminazione è avvenuto poco al di fuori dei confini regionali, all’ospedale pediatrico di Verona. In quel caso fu un altro batterio simile al Serratia, il Citrobacter koseri, a causare tra il 2018 e il 2020, la contaminazione di ben cento neonati, con la morte di quattro di loro mentre altri sei hanno riportato danni permanenti. Del caso si parlò in tutta Italia: anche in quel caso, la fonte del batterio venne scoperta all’interno del reparto, in un rubinetto utilizzato dal personale medico e infermieristico. Fu un caso nazionale, e giudiziario, grazie anche all’attivismo di alcune mamme. Ma la vicenda, in tribunale, finì nel nulla, prosciolti tutti e sette gli imputati, tra cui i vertici ospedalieri. Ad anni di distanza, i batteri continuano a far paura, soprattutto nei reparti dove si trovano i pazienti più indifesi.