L'intervista
martedì 12 Agosto, 2025
Roberto Poli, il professore che insegna a studiare il futuro: «Così si governano i cambiamenti»
di Giovanna Venditti
Il docente coordina a Trento l'unico master dedicato al tema: «In Italia siamo indietro, scandaloso questo sia un unicum. Trump? Vuole buttare all'aria le previsioni del declino statunitense»

Gli studi di futuro rappresentano una disciplina e un campo di indagine che, con metodo, sfrutta il pensiero sistemico, l’immaginazione e la creatività per l’esplorazione e la creazione di diversi possibili futuri. L’obiettivo è allenare pensiero e abilità di anticipazione. A caratterizzare questo ambito di studi è l’approccio sistematico e interdisciplinare col quale i futuristi, identificando le tendenze emergenti e in evoluzione nella società, nell’economia, nella politica e nel tessuto culturale, sviluppano processi anticipatori relativi a nuovi modi di vivere, di organizzare le aziende e di lavorare, che a loro volta condurranno a realtà alternative. Roberto Poli, professore ordinario al Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, autore fra le tante pubblicazioni di «The future of Futures Studies: a utopian tale», coordina a Trento, unico in Italia, un Master dedicato agli Studi di futuri.
Professore, quali sono le origini di questa innovativa disciplina?
«Gli studi di futuro nascono negli anni ‘50, prevalentemente in ambito militare, perché per primi si sono trovati ad essere esposti a problemi nuovi che richiedevano strumenti innovativi per affrontarli. Poi, nel corso degli anni ’60, queste discipline entrano nella sfera civile e si sono sviluppati in modo diversificato in alcuni Paesi. In Italia hanno avuto un ruolo in particolare negli anni ‘70 con Eleonora Masini che è stata la madre nobile degli studi di futuro. Un’eredità che si è dispersa. Io li ho riportati in Italia più di vent’anni fa».
Trento è l’unica cattedra in Italia?
«A Trento c’è la cattedra sui sistemi anticipanti che è stata la prima cattedra Unesco al mondo dedicata agli studi di futuro. Abbiamo inoltre l’unico master specializzato in questi temi, ormai alla dodicesima edizione; quindi, con una lunga storia alle spalle quale unico luogo di formazione accademica in Italia e di cui sono il coordinatore. Questi studi sono ormai una parte importante della politica della Commissione europea, che ha dato mandato a tutte le agenzie europee di cominciare ad usare gli strumenti dello “strategic foresight” o studi di futuro che dir si voglia. Noi come Paese siamo ancora in una fase iniziale, ci stiamo guardando attorno, ma c’è un certo ritardo».
Ci sono molte iscrizioni?
«Al master abbiamo di solito da due a tre volte le iscrizioni rispetto ai posti disponibili. Non si rivolge ai neolaureati, perché per capire cosa vuol dire prendere decisioni, sono necessari almeno 10/15 anni di background aziendale o di pubblica amministrazione alle spalle, in ruoli decisionali. Di solito i nostri iscritti hanno già sperimentato gli strumenti ordinari, ma hanno visto nella presente situazione non funzionano bene e stanno cercando nuovi strumenti. Abbiamo iscritti che vengono sia dal mondo pubblico che dal privato e io cerco di averli in modo equilibrato».
Quali sono i settori in cui gli studi futuri sono applicabili?
«Non c’è un settore di mercato preferibile, nel senso che finora abbiamo avuto persone da contesti molto diversi. La metodologia non è focalizzata su questo o quel mercato e quindi è anche normale che siano persone diverse. Il target è diversificato a livello di provenienza geografica; abbiamo avuto ovviamente diversi partecipanti anche dal Trentino, sia del mondo imprenditoriale che del mondo pubblico. Sono state fatte diverse sperimentazioni per formare i dirigenti pubblici a diversi livelli e l’ambito è ampio: il settore dei servizi, varie applicazioni sperimentate nel corso di questi anni, alcuni a livello di Terme e gestione della dell’offerta termale in modo da avere delle offerte più avanzate, e così via…».
Come funziona?
«Il punto di partenza è legato a una consapevolezza: l’ambiente operativo in cui ci troviamo a intervenire oggi è diverso anche da quello di soli pochi anni fa. Si richiede un salto qualitativo che ci costringe a prendere delle decisioni per molti aspetti innovative e non sappiamo come fare. Le crisi sono globali, non si possono risolvere su base puramente locale: siamo tutti coinvolti, invecchiamento della popolazione, una società con pochi giovani e cambiamenti ambientali. Ci sono un’enormità di domande a cui non abbiamo dato risposte e la necessità di costruire strategie in maniera diversa e prendere decisioni. Noi lavoriamo molto con i modelli mentali dei decisori: lo strumento principe è il nostro cervello, la nostra capacità di guardare le cose, mettendo sotto stress i nostri modelli mentali».
Metodi e tempi necessari…
«Posso nominare diversi metodi che vanno dalla ruota dei futuri al modello dei tre orizzonti: c’è una ricca cassetta degli attrezzi, ma i nomi da soli, se poi non si sa che cosa c’è dietro quel nome, non hanno molto significato. Se ho bisogno di risposte immediate dovrò usare metodi più immediati, veloci, che mi daranno magari risposte parziali; se ho del tempo posso fare un lavoro più articolato. Il Master dura da settembre a gennaio, più il tempo che serve per scrivere la tesi».
Che differenze ci sono tra futuri plausibili, possibili e preferibili?
«I futuri possibili includono praticamente tutti i futuri che siano concepibili, qualunque cosa si possa venire in mente far parte di questa categoria. Ovviamente è immensa. Poi però dobbiamo ricominciare a restringerla, ad esempio sui futuri plausibili, quelli rispetto ai quali abbiamo le conoscenze, le competenze, la capacità, la tecnologia per poterli costruire. I probabili sono un’ulteriore restrizione dei futuri: sono quelli rispetto ai quali vediamo attorno a noi tendenze già attive. La classificazione dei futuri, ovviamente, cambia nel tempo».
Professore, in questa epoca così …
«Interessante. Un aspetto mi sembra evidente, siamo in una situazione dove continueranno ad arrivare incredibili novità. Non ci sono costanti. Sappiamo che tutto sta cambiando. Per esempio, a livello geopolitico. Pensiamo alla politica del presidente americano Trump: se andiamo a vedere le previsioni degli ultimi 20 o 30 sono tutte univoche nell’affermare che gli Stati Uniti perderanno la loro supremazia. Accettare questa conseguenza non è però nella mentalità americana; quindi, sono obbligati a cambiare il gioco, a buttare il tavolo all’aria, rimescolare le carte e in questa situazione ci sta anche il creare incertezza, cambiare idea da un giorno all’altro. Vedremo se questo è un modo efficace di operare oppure se alla fine dovrà fare i conti con decisori che seguono altre regole».
Siamo preparati a creare una classe dirigente competente?
«La nostra scuola è parecchio indietro, totalmente focalizzata sul passato. Per me è scandaloso che in Italia ci sia un unico master in studi di futuro, qui a Trento; dovrebbe esserci in tutte le università, perché si tratta di formare una classe dirigente che abbia gli strumenti che servono nel mondo di oggi. In questo momento sto lavorando con Frontex che è l’Agenzia europea che si occupa dei confini esterni per aiutarli a scrivere il prossimo report sui rischi strategici».