Il libro

sabato 26 Luglio, 2025

Reinhold Messner racconta l’alpinismo attraverso 33 oggetti: «Da corda di canapa e chiodi da roccia alla modernità: ho attraversato la storia»

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Il Re degli Ottomila nel suo nuovo libro ripercorre la parabola della montagna, in tutte le sue trasformazioni tecnologiche

Altri, ben più autorevoli di chi scrive in fatto di cose di montagna – come Stefano Ardito, che del mondo dell’alpinismo è da decenni acuto osservatore e narratore – lo hanno già fatto notare. Ma è indubbio che «Breve storia dell’alpinismo in 33 oggetti» di Reinhold Messner, freschissimo di stampa nell’edizione italiana (Corbaccio, 174 pagine, 19 euro) arriva, nella traduzione di Luca Calvi, a due anni di distanza dall’edizione tedesca di Bergwelten Verlag: un che di straniante, persino di malinconico. Perché il libro, smilzo e di rapida ed appagante lettura, fa riferimento a quel «mondo Messner» che in questi ultimi due anni è stato terremotato da diatribe familiari diventate pubbliche, notizie e non più pettegolezzi.

«Ho avuto la fortuna di nascere tra l’antichità, corda di canapa e chiodi da roccia, e la modernità. Ho la fortuna di aver conosciuto i pionieri nati nell’Ottocento e i migliori alpinisti di oggi. Ho ascoltato le loro storie e ho deciso di tramandarle, sia attraverso la mia personale narrazione delle loro imprese sia attraverso i Messner Mountain Museum che espongono cimeli di grandi alpinisti del passato, opere d’arte ispirate alla montagna, dipinti e film», scrive Reinhold Messner. E infatti, 24 dei 33 oggetti raccontati per parole e per immagini nel libro sono esposti nei Musei Messner di Solda, Plan de Corones, Castel Firmiano e Juval. Gli è che le cronache ci hanno anche raccontato del divorzio di Messner dalla seconda moglie e del suo nuovo matrimonio con Diane Schumacher. Di pari passo un duro contenzioso con i figli e il susseguente allontanamento dell’alpinista dai suoi Musei. Al punto che la nuova struttura che l’alpinista ha inaugurato nello scorso giugno all’arrivo degli impianti del Monte Elmo porta il nome di «Reinhold Messner Haus».

 

E infatti, al fianco della moglie Diane, è stato chiaro: «Un museo riflette sul passato mentre io voglio guardare al futuro, restando ben ancorato nel presente e prendendo spunto dal passato solamente per quanto riguarda i valori portanti».
Nel passato, anche gli oggetti della storia dell’alpinismo che per decenni Messner ha raccolto in giro per il mondo e che ora sono nei Musei dei quali non è più «padrone», ci si passi il termine. A meno di comunque auspicabili ricomposizioni. Che diamine, in quella sigla, Mmm, ci sta anche il nome Messner, nel senso di Reinhold…
Inevitabile il preambolo, prima di sfogliare il libro dei «33 oggetti».

Un viaggio nella storia «materiale» dell’alpinismo attraverso le immagini di oggetti iconici appartenuti a grandi alpinisti, in grado di trasmettere emozioni come e più di uno scritto. Dalla piccozza utilizzata per la prima salita all’Ortles nel 1804 a quella di Paul Preuss del 1909; dalla sacca a tracolla di Edward Whymper usata nella prima ascensione (1865) del Cervino, culminata in tragedia agli scarponi utilizzati nella salita al Nanga Parbat del 1937; dalla tenda di Heckmair sulla Nord dell’Eiger nel 1938 al sacco da bivacco in cui dormì Bonatti durante la salita al Dru nel 1955. C’è anche la tuta di piumino che proprio Messner ha utilizzato nel 1978 per la prima ascensione senza bombole dell’Everest. E per chi conosce Messner – nato nel 1944, primo alpinista ad aver salito tutti i quattordici Ottomila, 3500 vette in tutti i continenti – nessuna sorpresa nello scoprire che gli ultimi cinque oggetti del libro hanno a che fare con l’ambiente, la cultura e la fede buddhista del Tibet, yak compreso.

 

Il libro, peraltro, pesca inevitabilmente nei ricordi e nelle polemiche che non sono mai mancate nel mondo dell’alpinismo e in quello di Messner. Così, impossibile non soffermarsi nel capitolo dedicato alla piccozza del Cerro Torre. Il reperto si trova oggi nel Messner Mountain Museum di Plan de Corones e apparteneva a Toni Egger. «E no, non si potevano scalare pareti di ghiaccio verticali con questo attrezzo», recita la didascalia della foto.

 

Poi, nel racconto di Messner, di nuovo la ferita mai chiusa di quell’impresa. «Il Cerro Torre in Patagonia è considerato una delle montagne più difficili del mondo. L’italiano Cesare Maestri, nato nel 1929 (morto nel 2011, ndr) e uno dei migliori scalatori dolomitici del suo tempo, sostiene di averlo scalato addirittura due volte. Nel 1959, insieme a Toni Egger, che in quell’occasione perse la vita, e poi nel 1970, per provare ai suoi critici la controversa scalata del 1959. Con la seconda salita, tuttavia, Maestri non riuscì a dimostrare la prima. Seguì una via differente e scelse un metodo diverso, con un compressore e centinaia di spit. Al contrario, la scalata del 1970 suggerisce che qualcosa era andato storto durante la spedizione del 1959, con una attrezzatura primitiva rispetto a quella odierna. Ho incontrato Cesare Maestri nel maggio 2015: un uomo anziano e malato. No, non ha voluto dire una parola sul Cerro Torre, una pietra grande come il Torre stesso giaceva sopra la “cosa” per sempre. Maestri ha raccontato questa “cosa” più e più volte in passato. Di conseguenza, per lui era diventata una verità contraddittoria e soggettiva. Come può una persona ritrovare la strada della propria vita dopo i traumi subiti se ha perso i sogni che l’hanno accompagnata?».

 

E sì, la storia dell’alpinismo si può raccontare in 33 oggetti. Ma dietro ad ognuno di questi oggetti ci sono, ancora e sempre, gli uomini. E le loro storie.