L'intervista
venerdì 27 Giugno, 2025
Lo storico Francesco Filippi e gli «scivoloni» con Goebbels e le Br: «Manca l’educazione e la conoscenza della nostra storia»
di Simone Casciano
Il docente su casi recenti che hanno coinvolto una rappresentante degli studenti ed esponenti di FdI: «C'è un deficit sugli anni di piombo»

Poca conoscenza storica che si unisce ad assenza di competenze nella comunicazione sui social e di comprensione del proprio ruolo pubblico. Questo il mix, secondo lo storico Francesco Filippi, ma con differenti gradi di gravità, che ha causato i recenti «casi» di Diego Salvadori, il consigliere comunale di FdI a Bolzano dimessosi per aver citato il gerarca nazista Goebbels in un suo post, e Agnese Tumicelli, la rappresentante degli studenti all’Università di Trento che si è dimessa per un post con una maglietta raffigurante le Brigate Rosse.
Filippi, la recente vicenda che ha visto coinvolta una studentessa di Unitn porta a chiedersi: che rapporto hanno i giovani con la storia degli Anni di piombo?
«Prima di tutto, farei una premessa tecnica da storico sul rapporto tra storia e memoria. Non si tratta di un problema generazionale: l’ex consigliere comunale di Bolzano che cita Goebbels accanto al caso della ragazza che su Instagram posta la foto con una maglietta di cattivo gusto dimostra che la questione non riguarda solo i giovani. In molti non sanno come comunicare sui social: manca educazione digitale e senso di responsabilità. Nel caso specifico della maglietta delle Brigate Rosse, è evidente una banalizzazione e un’ignoranza del passato prossimo. Diciamolo chiaramente: le Br sono state il movimento terroristico che più ha danneggiato la sinistra italiana. Il loro primo nemico era il PCI, una forza istituzionale che cercava un dialogo con il governo. In un’Italia già attraversata da spinte eversive di destra, le Br hanno rappresentato un ulteriore fattore destabilizzante. L’episodio più emblematico, il rapimento di Aldo Moro, colpì proprio il principale promotore del compromesso storico. Quel gesto segnò la fine di un tentativo di convergenza politica, verso un primo esperimento di centrosinistra. Oggi vediamo simboli usati in modo improprio: è importante ricordare che quei simboli hanno fatto molto male anche alla sinistra.
Da dove deriva la possibile fascinazione verso le Brigate Rosse?
«Credo che quello della ragazza sia stato un errore di comunicazione: una provocazione memetica, in stile black humor, che ha banalizzato un tema brutale. È un esempio di ironia mal gestita, che risulta solo di cattivo gusto»..
C’è un deficit di educazione nella scuola italiana sugli Anni di piombo?
«Assolutamente sì. Il Piave non è solo il fiume che ha fermato gli austriaci, ma è anche il limite cronologico oltre cui spesso non si va nell’insegnamento scolastico. La storia contemporanea, se viene affrontata, lo è in modo superficiale, senza possibilità di approfondimento. Invece che preoccuparsi di esaltare il concetto di nazione, l’eurocentrismo o altro al ministero bisognerebbe rivedere la struttura e i tempi della didattica storica. Invece di continuare a ripetere gli stessi eventi, andrebbe dedicato più spazio al passato prossimo, fondamentale per capire l’oggi. Oggi gli studenti imparano degli Anni di piombo da documentari, romanzi storici, o dall’iniziativa di singoli docenti. Inoltre, il clima politico attuale scoraggia molti insegnanti: trattare temi considerati “sensibili” può diventare un rischio. Non è facile parlare delle Br in Trentino come nel resto d’Italia, ad esempio, senza esporsi a critiche. Benedetta Tobagi ha scritto bene che su quel periodo ci sono ancora “segreti e lacune”: non esiste una memoria condivisa».
Se delle Br si parla poco, del terrorismo nero, di Ordine Nuovo o dei Nar, proprio per nulla?
«Assolutamente, non se ne parla affatto. Penso a Pino Rauti: da figura politica marginale e fuori dall’arco costituzionale, è stato in qualche modo riabilitato in una pacificazione nazionale che si è trasformata in una parificazione che però è un falso storico. Nel racconto pubblico di destra si parla ancora di “comunisti”, ma non si vedono né falci e martello né eredi autentici di una storia di partito che per l’Italia è stata positiva. Al contrario, c’è un’ignoranza diffusa su cosa sia stata davvero l’estrema destra in Italia. È bene ricordare che tutti i tentativi di golpe, di sovvertire l’ordine democratico in Italia sono sempre arrivati da destra».
Su Salò e Goebbels il deficit di istruzione non regge?
«In quel caso, è ancora peggio. Non si tratta solo di ignoranza: spesso si strizza l’occhio a un pezzo di elettorato. Alcuni consiglieri, citando figure dell’estrema destra, cercano consapevolmente di compiacere una parte del proprio pubblico. Basta leggere i commenti social per capire che certe “sparate” trovano consenso. È una minoranza, forse, ma molto vocale. Con Goebbels si è superato ogni limite, ma la Repubblica di Salò è stata accarezzata da politici di destra di diverso grado. Questo è un dato di fatto».
Che lezione dovremmo prendere da questa vicenda?
«Ci sono due lezioni importanti. La prima riguarda chi ambisce a cariche pubbliche: deve sapere che ogni parola ha un peso, che comunicare significa assumersi responsabilità. La seconda è per chi vota: scegliere un rappresentante è un atto importante. Prima di affidare il nostro voto a chi poi lo spreca, riflettiamo meglio».
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