La testimonianza

giovedì 26 Giugno, 2025

Ustica, il comandante Rossi quel giorno sul gemello del DC-9: «Su quel volo potevo esserci io»

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A 45 anni dalla strage la testimonianza del pilota: «Quel velivolo era robusto, l’ipotesi più credibile resta l’esplosione in coda»

Ustica, 45 anni domani. Il 27 giugno 1980, il DC-9 I TIGI, della compagnia privata Itavia, in volo da Bologna a Palermo, scomparve improvvisamente dai radar del controllo aereo e si inabissò, al largo dell’isola di Ustica, nel mar Tirreno meridionale. Le cause dell’incidente (si parla di «strage di Ustica») nel quale morirono 81 persone (tra di loro la figlia di Roberto Superchi che gestiva un ristorante a Folgaria) non sono mai state chiarite. Mezze verità, depistaggi e reticenze delle Istituzioni, compreso un «segreto di Stato» che solo in anni recenti è stato rimosso, alimentarono sospetti di intrighi internazionali. Tre le ipotesi dell’incidente aereo: il lancio di un missile da parte di un aereo militare (si disse italiano, poi degli Usa, infine francese). Si ipotizzò la presenza di un intercettore che puntava ad abbattere l’aereo sul quale stava transitando, su quella stessa rotta, il colonnello libico Gheddafi. In alternativa si immaginò un cedimento strutturale o l’esplosione di un ordigno nascosto nella toilette di coda dell’aereo.
Il fatto è che, un mese dopo Ustica, un MIG-23 dell’aeronautica militare della Libia, fu recuperato sui monti della Sila, con due piloti morti, alimentando ulteriori congetture. Di più: 35 giorni dopo, alle 10.15 del 2 agosto 1980, vi fu la strage alla stazione ferroviaria di Bologna (85 morti, 200 feriti). Un attentato di matrice neofascista che andava a chiudere il decennio della strategia della tensione avviato con la strage di piazza Fontana a Milano (16.30 di venerdì 12 dicembre 1969) che causò 17 vittime dirette più altre collaterali.
Sulla strage di Ustica c’è un ex pilota di Itavia, in precedenza e per 10 anni pilota dell’aeronautica militare italiana, il quale, quel giorno, compì il volo inverso, da Palermo a Milano, ai comandi un DC-9 gemello di quello precipitato nel Tirreno.
Aldo Rossi ha 79 anni. Vive tra Roma e Valternigo di Giovo dove è nato. A vent’anni è entrato in aeronautica ed ha subito, come altri suoi colleghi (circa un migliaio) lo smantellamento di Itavia, deciso due anni dopo la sciagura di Ustica, dal ministro del trasporti Rino Formica (PSI). «Restammo due anni a girarci i pollici, poi fummo assunti in Alitalia», racconta a IlT.
Comandante Rossi, lei si è fatta un’idea precisa sulla sciagura di 45 anni fa nel mar Tirreno?
«Non ho certezze, ma come hanno ribadito le varie commissioni parlamentari di inchiesta sono propenso a credere che l’aereo precipitò per un’esplosione nella toilette di coda del velivolo».
Qualche ora prima lei aveva percorso la rotta inversa.
«Certo, nel pomeriggio di quel tragico giorno, sono partito da Palermo, sono atterrato a Lamezia, da qui a Milano e dalla Lombardia sono ritornato su Roma».
Dunque al comando del DC9 di Ustica avrebbe potuto trovarsi lei, è così?
«Se l’addetto ai turni avesse scritto il mio nome, anziché quello del collega Enzo Fontana, oggi non sarei qui a parlare con lei».
Eravate amici?
«Lo conoscevo, come ci conoscevamo un po’ tutti, perché Itavia era una compagnia piccola. Su un migliaio di dipendenti, tra personale di terra, assistenti e piloti, noi piloti eravamo circa duecento».
Perché l’areo non può essere stato abbattuto da un missile?
«Non sono io a dirlo, ma mi riferisco alle risultanze alle quali sono pervenute le Commissioni d’inchiesta. Da pilota militare per dieci anni posso dire che se si fosse trattato di un missile l’episodio non si sarebbe potuto nascondere. Troppi controlli a terra, prima e dopo una missione…».
Si ipotizzò che qualche manina avesse pilotato le commissioni. Che la Ragion di Stato avesse fatto premio sulla verità.
«Qui la questione si fa delicata. Lei immagini se, nel 1980, con un governo di centro-sinistra in Italia, fosse emerso che un aereo di un Paese della Nato aveva abbattuto un aereo civile. Che cosa sarebbe venuto fuori?»
Ce lo dica lei.
«Io non ho elementi per poter dire questo. Io so come si lancia un missile da un caccia, so che non è così facile. So che se ritorno a terra senza un missile lo vengono a sapere subito almeno cento persone».
Improbabile ma non impossibile…
«Le mani sul fuoco non le metto per nessuno, ma se lei va a leggersi la documentazione della commissione Taylor, la più accreditata per queste faccende, quello ha detto. Ha parlato di esplosione nella toilette di coda dell’aereo».
Ma il giudice istruttore Rosario Priore, smentendo altre perizie, sposò a suo tempo la tesi della battaglia aerea nel cielo di Ustica.
«Mi consenta di non commentare. Invece, vorrei porre la sua attenzione sul “lodo Moro”. Lei ne ha sentito parlare?»
Come no? Era un patto segreto tra il Governo italiano e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) perché non vi fossero atti di terrorismo sul territorio italiano.
«Io non posso escludere nulla. C’è in proposito una dichiarazione del senatore Giovanardi. Non so più a chi credere. Io so che quel velivolo era un aeroplano robustissimo. Il giorno prima avevo compiuto due tratte ai comandi di quell’aereo. Sarei un criminale se avessi volato su un aeromobile con qualche difetto».
Perché ha deciso di intervenire su Ustica, su un disastro di 45 anni fa?
«Sul mio sito (rossialdo.com) pubblico articoli relativi a Ustica da almeno quindici anni. Ma non se li fila nessuno. Adesso mi sono cadute le braccia. È stato sollevato un polverone. Non escludo niente».