Trento
lunedì 23 Giugno, 2025
I vincitori del Palio dell’Oca sventolano la bandiera palestinese: «Vogliamo smuovere le coscienze»
di Davide Orsato
Feste vigiliane, la scelta dell'equipaggio di San Lazzaro ha fatto discutere: «Quello che sta avvenendo è un genocidio e pochi prendono posizione»

Accanto all’Airone, simbolo di San Lazzaro di Meano hanno voluto anche la bandiera nera, bianca, verde e rossa della Palestina araba. Così la tragica attualità di quel pezzo di «guerra mondiale a pezzi», per usare le parole di Papa Francesco, che sta incendiando la striscia di Gaza da due anni è arrivata anche sul podio allestito in riva all’Adige, sul gradino più alto: quello dove sono saliti i vincitorio del 40esimo palio dell’Oca. La scelta ha fatto discutere fin da subito, fin da venerdì, da quando, in occasione della sfilata e della cena degli zatterieri, uno dei momenti delle feste vigiliane, tra i vessilli medievaleggianti rigorosamente bicolori e caricati con emblemi di animali, si è unito quello di uno stato che, ufficialmente, ancora non c’è.
«Non volevamo fare polemica. Ma smuovere le coscienze… quello sì». A parlare è Damiano Moser, rematore dell’equipaggio. Con lui c’erano il fratello Giovanni Moser (rematore), Mauro Mattedi (attracco), Aleksandar Pavlovic (esperto giochi) ed Edoardo Lenzi («campanista»).
C’è stata un po’ di maretta.
«Sì, fin da subito, dalla sfilata: alcuni si chiedevano cosa c’entrasse. Qualcuno ci ha apertamente criticato».
Quando avete deciso di prendere l’iniziativa?
«Fin da subito, dalla partecipazione al torneo. Per noi era molto importante portarla ed esibirla sulla zattera: è stato un un modo per dare significato culturale alla manifestazione e dare un segnale. Dire che ci siamo, che sappiamo cosa sta succedendo. Contro ogni censura».
Censura da parte di chi?
«Se ne parla relativamente poco rispetto agli altri conflitti. Ma soprattutto vediamo una grande autocensura: tante persone sanno che c’è un genocidio in corso ma si rifiutano di prendere posizione».
Genocidio è un termine controverso…
«Non si può parlare di semplice guerra, anche perché non viene combattuta ad armi pari. C’è il tentativo di cancellare un popolo».
Il sindaco Franco Ianeselli è dalla vostra parte…
«Sì, ha condiviso una foto di noi sui suoi social, sottolineando la nostra presa di posizione. Ci ha fatto piacere».
Intanto siete arrivati primi. Ve l’aspettavate?
«Alla vigilia le cose non si erano messe bene per noi: siamo rimasti senza un membro dell’equipaggio, Carlo Mattedi, che si è ammalato alla vigilia. Eravamo contati e senza riserve.
Però poi…
«Poi ci siamo fatti valere ai giochi: siamo arrivati in fondo con zero penalità. La giuria inizialmente ci ha contestato la prima gara, dicevano che non l’avevamo portato a termine: in classifica eravamo finiti quinti. Per fortuna abbiamo tante persone che ci seguono, ci hanno filmato e hanno provveduto a una moviola che ha convinto i giurati».
Qual è stato il vostro punto di forza?
«Il timoniere, Michele Ravanelli ha letto benissimo le correnti dell’Adige durante la discesa. E poi, nel suo ruolo da regista ha dato benissimo i tempi: di solito chi ha quel compito “frusta” il resto dell’equipaggio, lui invece ci diceva quando tirare il fiato: un approccio rivoluzionario».
San Lazzaro è un equipaggio che ha vinto parecchio…
«Siamo a undici podi, primi in assoluto dopo quaranta edizione».
È anche la rappresentativa di una zona periferica, l’estremo nord della città. Siete tutti da lì?
«Il grosso del gruppo è formato da ragazzi di Lavis. Siamo molto affiatati, qualcuno era alla sesta partecipazioni, altri dei novellini. Nel complesso abbiamo funzionato… e pure bene, direi».