L'intervista
venerdì 1 Settembre, 2023
Molestie, le studentesse che hanno denunciato: “Bene il dibattito, confrontiamoci insieme”
di Simone Casciano
Lucia Ori: «Siamo felici che il messaggio sia stato recepito e che il sindaco abbia deciso di ascoltarci. Vorremmo ci fosse il coinvolgimento di tutti gli attori in causa»

Non è passata nell’indifferenza ed è quello che si auguravano. La lettera scritta da tre studentesse dell’Università di Trento, e pubblicata su il «T» di martedì, ha suscitato ampie reazioni. Il sindaco di Trento Franco Ianeselli, il rettore Flavio Deflorian, la prorettrice Barbara Poggio e tanti altri sono intervenuti accendendo un dibattito sul tema delle molestie sessuali e dimostrando interesse a trovare una soluzione al problema. «Era quello che ci aspettavamo – commenta Lucia Ori, una delle autrici della lettera – Abbiamo fatto questo appello perché sapevamo che Trento avrebbe risposto. Che qui c’è un terreno fertile per portare avanti questo discorso. Il nostro obiettivo non è quello di parlare male, o di distruggere, ma di costruire qualcosa».
Lucia Ori, cosa ne pensa delle reazioni che ci sono state?
«Siamo contente che il messaggio sia stato recepito e ascoltato, sia da parte dell’Università che del Comune di Trento, ci aspettiamo che anche la Provincia voglia unirsi agli altri e parlare di questi temi».
Il sindaco Ianeselli vi ha proposto un confronto, cosa vi sentite di dire?
«Siamo felicissime che abbia deciso di ascoltarci e non avevamo dubbi. Siamo convinte che ci darà spazio per avviare un percorso con la comunità, un percorso che deve essere partecipativo. Immagino un modello simile a quello utilizzato per la mobilità con SuperTrento, ma declinato su queste tematiche. Quello che vorremmo è che ci fosse un coinvolgimento di tutti gli attori in causa per fare in modo che si arrivi a raggiungere una situazione per cui non ci sarà più bisogno di alzare la voce su questi temi».
E come si fa?
«Con il coinvolgimento di tutti. Essendo disposti a cambiare la narrativa, il modo di vedere le cose. Lo ripetiamo: se invece che parlare di movida si parlasse di spazi vivi nel nome della socialità, della cultura, ma anche della sicurezza, si creerebbero delle alleanze laddove ora ci sono contrapposizioni che non crediamo facciano comodo a nessuno. Vorremmo che da qui si potesse partire con un metodo nuovo che fosse recepito da tutti».
Quando dice «tutti» a chi si riferisce?
«Alle molte realtà impegnate sul territorio e non solo. Assolutamente Non una di meno, che ringraziamo per l’intervento, e poi tutte le realtà che si occupano del monitoraggio del fenomeno. Ora è tempo di andare oltre il monitoraggio e capire cosa farci con i dati. Poi le associazioni cittadine e dei giovani. Specifico che il nostro non vuole essere un messaggio che punta il dito contro il pubblico e nega le responsabilità del singolo. Siamo d’accordo con l’onorevole Ferrari quando dice che c’è un tema di educazione. Bisogna agire su tutti i fattori e non negare che serve anche un’azione pubblica mirata. Non basta scagliarsi contro gli aggressori senza parlare del dolore delle vittime. Bisogna guardare anche verso un certo tipo di prevenzione che ora non viene garantita. Programmare sul lungo termine per evitare i casi di cronaca».
Quali sono i problemi della città?
«Trento è una città strutturata in un certo modo. Ci sono alcuni punti di aggregazione nel centro di Trento dove si trovano i giovani: piazza Duomo, la Scaletta e via Calepina. Le strade però sono isolate, non sono popolate e a poco a poco la città si spegne e si isola. La città non è vissuta nella sua interezza ma in piccole isole e tra di esse c’è il buio. Se funziona così, questi posti si popolano diversamente e gli attraversamenti rischiano di vedere nascere episodi spiacevoli».
Ecco ha parlato di educazione, quanto è importante?
«Per noi è fondamentale lavorare su più piani. È chiaro che l’educazione è importante. Io sono una studentessa fuori sede quindi conosco meno il sistema scolastico trentino. Quello che abbiamo pensato leggendo tutto il dibattito che è emerso è la necessità di rendere strutturale questo tipo di dibattito. Sicuramente a lungo termine il lavoro più importante è quello sulle nuove generazioni. Nel mondo della scuola però serve un cambio radicale, smetterla di pensare che sia una micro-questione di genere ridotta a un mini-esame, a un seminario o a un corso secondario. Vorremmo che fosse un tema sempre più integrale nel percorso didattico scolastico e universitario. Un modo diverso di guardare alle cose e di rapportarsi va insegnato ed è importante incentivarlo».
Anche il rettore Deflorian e la prorettrice Poggio sono intervenuti.
«Ci ha fatto piacere, così come ci è piaciuta la campagna #Finiscequi che ha avuto grande risonanza sull’ateneo. Noi seguiamo con molto interesse tutto quello che viene portato avanti dall’ufficio equità e diversità. Vediamo grande impegno, poi anche in università oltre al lavoro didattico serve rendere strutturale la questione di genere. Secondo me non deve essere facoltativa. Io sono una donna, sono interessata, vivo queste paure e discriminazioni e me ne interesso perché me ne preoccupo. Ma perché non devono essere tutti a interessarsene? Le donne sono il 50% della popolazione; eppure, se ne parla come una nicchia, una minoranza quando è un tema che dovrebbe interessare tutti».
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