IL PODCAST
domenica 16 Aprile, 2023
La storia dei Lavini di Marco e la leggenda della città di Lagaris
di Jessica Pellegrino
L’ultima puntata della prima stagione del programma podcast Luoghi scuomparsi online sul sito de «il T»

La prima stagione del viaggio nel tempo alla scoperta dei luoghi scomparsi si chiude in Vallagarina. Lì, alle pendici del Monte Zugna, dove si trova un sito unico in Europa: i Lavini di Marco. Un luogo immerso nella natura, un paesaggio rupestre che ben si abbina alle voci del Coro Monte Zugna. Ed è proprio qui che, narra la leggenda, l’immensa distesa di blocchi di roccia calcarea, staccatisi dal monte sovrastante ha sepolto la città di Lagaris.
Il termine «lavini» richiama proprio questa peculiarità: deriva infatti dalla radice latina -lab che identifica ciò che è legato ad un crollo. Inoltre, nel Medioevo il termine «labinia» indicava proprio una frana. Diversi sono gli aspetti che rendono i Lavini di Marco un luogo di particolare interesse capace di riportare alla mente ere geologiche lontane. Pensiamo, ad esempio, alle famose «orme dei dinosauri» scoperte tra gli affioramenti rocciosi e riferibili all’inizio del Giurassico, un salto nel tempo di circa 200 milioni di anni. Inoltre, i Lavini, celano una delle più grandi incisioni rupestri del mondo, ovvero la «nave fantasma», una nave, di ben 17 metri, visibile però solo in alcune situazioni favorevoli.
A determinare la scomparsa della città di Lagaris si narra sia stata una punizione divina concretizzatasi proprio con una grande frana. Non mancano però altre fonti in cui Lagaris o Lagare o ancora Civitas Lagaris viene citata come un insieme di piccole comunità consorziate che furono abbandonate in epoca medievale. Le tracce di questo luogo si trovano in molti libri e, data la sua spettacolarità, non mancano le citazioni di grandi autori e letterati come spiega Marco Avanzini, coordinatore dell’Ambito Ambiente e Paesaggio del Muse Museo delle Scienze di Trento.
«Il Sommo poeta descrive un paesaggio rupestre e desolato che solo un cataclisma avrebbe potuto generare agli occhi di chi, ai tempi di Dante, attraversava quei luoghi. Dante cita questi imponenti scoscendimenti all’ingresso del VII Cerchio quando incontra il Minotauro e poco prima di guadare il fiume di sangue Flegetonte». Dante, aggiunge però l’esperto «non è l’unico, e nemmeno il primo ad aver parlato di questo luogo». A riportare in auge la presenza di una città sepolta sotto i Lavini, verso la fine del 19esimo secolo, furono i lavori di scavo per la costruzione della ferrovia tra Verona e Trento.
In quell’occasione, commenta Avanzini «vennero alla luce numerose monete di epoca romana sepolte in prossimità di Marco. Questi ritrovamenti stimolarono la curiosità dell’avvocato Noriller di Rovereto il quale analizzò la posizione stratigrafica dei ritrovamenti in relazione al deposito della frana e determinò l’età di accadimento della frana principale collocandolo alla fine dell’epoca romana». Grazie all’isotopo radioattivo cosmogenico cloro 36 è stato però possibile datare i blocchi del corpo principale della frana rivelando un’età più antica di quella romana di almeno 1.000 anni.
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