Il caso
venerdì 19 Dicembre, 2025
«Volevo segnalarli alla Guardia di Finanza»: 60enne condannata per diffamazione dopo la recensione online
di Francesca Dalrì
Lo studio dentistico, dopo il rifiuto a cancellare il commento, ha querelato la signora: «Accusati di fatti non provati»
Nell’era dei social e dei commenti online esprimere senza filtri la propria opinione è diventata una prassi comune. Così comune da far dimenticare che sì, la nostra Costituzione prevede il diritto di critica, ma che il Codice penale disciplina altresì il reato di diffamazione. Ed è stato proprio sul confine tra la libertà di espressione e il diritto a non vedere offesa la propria reputazione che ieri in tribunale a Rovereto si è sviluppata la discussione in merito al caso di una signora oggi sessantenne che, ormai quattro anni fa, aveva espresso online la propria insoddisfazione rispetto all’esperienza avuta con uno studio dentistico. Un commento che, quattro anni dopo, le è costato una condanna per diffamazione a sei mesi e dieci giorni con sospensione condizionale della pena (il minimo, considerando che la condanna per questo reato può arrivare fino a tre anni) oltre a un risarcimento di 1.500 euro allo studio dentistico e 1.850 euro di spese civili. Questa la sentenza della giudice Monica Izzo.
I fatti, come detto, risalgono al 2021, mentre le prestazioni dentistiche erano state eseguite nella primavera del 2019. «La paziente era venuta da noi per degli interventi importanti che le hanno permesso anche di salvare alcuni denti devitalizzandoli – ha ricordato ieri mattina in aula la titolare dello studio –. Le prestazioni si sono svolte tra marzo e giugno del 2019, dopodiché la paziente sarebbe dovuta tornare da noi a novembre per l’igiene orale e il controllo. Così però non è stato e non l’abbiamo più rivista». Fino a un anno e mezzo dopo quando lo studio si è rimesso in contatto con lei. «Le prestazione svolte – ha chiarito la titolare – erano convenzionate con l’Apss per via dell’Icef della signora. Per questa procedura nella primavera del 2021 avevamo bisogno di una firma della paziente, la quale al telefono si è dimostrata molto disponibile e gentile, peccato che subito dopo abbia pubblicato una recensione che ci ha lasciati sbigottiti perché mai avevamo avuto sentore di non essere in buoni rapporti con lei». «Sconsiglio vivamente a chiunque di recarsi presso questo studio dentistico»: così inizia la recensione tuttora visibile. Oltre a parlare di un’esperienza «totalmente negativa», «appuntamenti rimandati» e lavori dentistici a dire della paziente non eseguiti a dovere («lasciamo perdere anche per quello che riguarda i lavori!»), la sessantenne si è tuttavia spinta a contestare il metodo di pagamento: «Volevo segnalarli alla guardia di finanza!».
Il problema è che la denuncia alle forze dell’ordine la signora non l’ha mai fatta, così come non è stato possibile trovare riscontri alle questioni sollevate. Subito lo studio dentistico aveva deciso di risponderle online: «Non capiamo questo suo sfogo essendoci lasciati in buoni rapporti. I lavori sono stati regolarmente eseguiti, fatturati e mai contestati. Abbiamo provveduto alla segnalazione del commento ed è già stato incaricato il nostro legale di tutelare l’immagine di questo studio in ordine alle affermazioni false e gratuitamente diffamatorie da lei pubblicate». In aula la titolare ha raccontato di aver cercato anche una mediazione con la signora alla quale era stato richiesto di rimuovere il commento. Così però non è stato e a maggio 2021 è dunque scattata la querela per diffamazione. Dal canto suo la signora, che ieri ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee in aula, ha rivendicato il proprio diritto a esprimersi liberamente. «Non è vero che ci eravamo lasciati in buoni rapporti, abbiamo avuto anche una discussione telefonica – ha ricordato –. Avrei voluto scrivere subito una recensione negativa, ma poi mi sono rotta il braccio. Quando però due anni dopo mi hanno richiamata per una firma, pretendendo che mi presentassi di persona dall’oggi al domani, mi sono arrabbiata e ho pubblicato quel commento. Non volevo dire cattiverie e non l’ho fatto, ma non ho accettato di cancellarlo perché credo nel diritto di esprimere la propria opinione».
Portando in aula le copie di altre recensioni negative, l’avvocato Andrea Bezzi che difendeva la signora aveva provato anche ad allargare il caso parlando di un «modus operandi costante» da parte dello studio. L’avvocato ha citato inoltre una sentenza, in quel caso di assoluzione, pronunciata dal tribunale di Pistoia per un caso simile. Tesi che non ha però convinto né la giudice, né la procuratrice Cecilia Costa che, pur non opponendosi all’acquisizione delle altre recensioni, ne ha subito sottolineato la genericità: «Sono prive di nomi e cognomi». Alla fine la Pm ha chiesto la condanna: «La recensione della signora ha oltrepassato il segno, non esprimendo un mero giudizio, ma accusando lo studio di fatti oggi non provati, peraltro utilizzando un mezzo che ha una notevole capillarità». Una richiesta, quella della pubblica accusa, accolta dalla giudice Izzo che ha disposto la condanna della sessantenne.