Musica

giovedì 5 Ottobre, 2023

Upload tour, a Trento si comincia con Lepre: «Il mio nome è un logo sonoro»

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La rassegna musicale comincia domani con il concerto alla Bookique

Cantante, batterista e rumorista, ma anche storico e letterato. Direttamente dalla scena alternativa romana, arriva a Trento Lorenzo Lemme, in arte Lepre. L’appuntamento è per domani alla Bookique, in via Torre d’Augusto, per il primo concerto trentino dell’Upload on Tour 2023. A precederlo sul palco ci saranno i tre giovani artisti Bianca, Malogrido e Dave Wildheart, tutti legati ai territori di Trentino, Alto Adige e Tirolo. Lepre viene dalla pubblicazione di un disco, «Malato», uscito nel 2022, e di un singolo, «Il capannone», pubblicato nel gennaio del 2023.
Signor Lemme, da dove deriva il suo nome d’arte?
«La lepre ha un valore simbolico. È un animale misterioso e crepuscolare. Svolge la maggior parte delle sue attività all’alba e al tramonto, durante il giorno si nasconde e non si sa bene dove vada, inoltre è di buon auspicio. Mi piace molto anche il suono di questo nome, è quasi un logo sonoro per me. Un altro motivo è che con gli amici, chiamandomi Lemme di cognome, mi presentavo spesso come Lorenzo Lepre, un po’ per scherzo».
«Malato» è il titolo del suo primo disco. Che cosa rappresenta per lei la malattia e può la musica essere cura?
«All’inizio volevo chiamarlo banalmente primo disco, poi mi venne sconsigliato. Mi dissero che sembrava non volessi dare un titolo ed in effetti era così, poi però ci ripensai. “Malato” era il brano che più era rimasto attuale, parla di un cambiamento in atto, come se fosse un metodo. Quel pezzo mi riguarda in ogni momento. Altri parlano di ricordi, questo, invece, è un meccanismo e rimane sempre parte di me. La parola malato crea scandalo, ha tanti significati. Volevo un titolo pericoloso. Quello del dolore è un processo continuo, un circuito. Sembra qualcosa che invece non è. Lo dico anche nel testo: da fuori ti sembravo malato, da dentro aveva un altro significato. Io credo che abbiamo tutti sentimenti come il dolore che possono trasformarsi in qualcosa di diverso, come la musica. Arte e dolore vanno insieme, sono due lati della stessa medaglia. Se non fosse così sarebbe tutto inutilmente crudele».
Lei ha una laurea in lettere e nasce prima come batterista che come cantautore, cosa viene prima nella stesura dei suoi brani, la musica o il testo?
«Io scrivo un soggetto, parto da un argomento e cerco di trovare la chiave giusta per trattarlo. In seconda battuta il suono delle frasi diventa musicale. Mi interessa prima il significato, devo trovare quasi sempre una forma che mi soddisfi, poetica. Poi inizio a pensare su che note e su che metrica inserirle. Scrivo una prima melodia su qualche frase, l’inizio mi guida su tutto il resto. Di solito quando mi trovo con un testo già scritto, basta trovare il suono della prima frase e inizio a modellare tutto. Quindi arriva la ritmica che deve essere originale e non noiosa. La melodia deve divertirmi. Tante cose della musica italiana mi fanno addormentare e non voglio dare quell’impronta. La mia laurea in lettere c’entra e non c’entra con la scrittura. Sono laureato anche in storia, materia che ho studiato più della letteratura. Ho portato avanti tante letture per conto mio, mi piacciono gli stili crudi, un po’ come quello dei Cani o dei Gazebo Penguins, è l’ascoltatore che trova la poesia nel mio sottinteso».
In «Ambulanza» canta: «Io non lo so com’è che si chiude un cerchio». Questo aspetto ritorna anche alla fine del disco, con «Dejavù», l’ultimo brano che è una ripresa della prima traccia, «L’una e un quarto». È un po’ come se il cerchio continuasse a scorrere?
«È la sensazione di accorgersi che si è chiusa una cosa che neanche sapevi ci fosse. Le fasi temporali non esistono, sono tutte confezioni in cui il presente viene inscatolato per rappresentarci un passato che non esiste più, non c’è. Qui tornano i miei studi in storia. La storia moderna è tutta una convenzione che ci siamo dati e si fa così anche con la vita. È tutta una fase unica, con una sintesi che crea ognuno di noi. Il cerchio si chiude nella nostra testa ma non esiste realmente. La vita è molto astratta e rarefatta».
E l’ultimo singolo, «Capannone», preannuncia un secondo album?
«“Capannone” doveva entrare in “Malato” ma non mi piaceva come era venuta la registrazione, avevo dei dubbi. Però mi ci sono affezionato, lo suonavo live ed è venuta fuori la possibilità di registrarlo da Giorgio Maria Condemi una seconda volta. Ora lo abbiamo riarrangiato di nuovo e stavolta sono convinto sia la versione definitiva. È pronto un disco nuovo che probabilmente uscirà a gennaio e in cui si potrà ascoltare anche “Capannone” in questa nuova versione».