il caso
giovedì 5 Giugno, 2025
Terlago, 25 anni fa il delitto di Michele Santoni. A 34 anni ucciso dagli amanti diabolici
di Ubaldo Cordellini
La notte tra il 2 e il 3 giugno del 2000 il giovane venne massacrato a colpi di bastone e poi sgozzato con un taglierino. Condannati la moglie Isabella Agostini e l'amante Giuliano Cattoni

Quando lo hanno trovato era sfigurato. Il cranio sfondato sulla parte posteriore, la gola aperta da un coltellino sottile. Giaceva così, Michele Santoni, sul sentiero che costeggia le rive del lago di Terlago. Aveva 34 anni e faceva il magazziniere da Minghetti, una rivendita di prodotti termosanitari a Trento nord. La mattina del 2 giugno del 2000, un quarto di secolo fa eppure sembra ieri, alcuni giovani che si erano persi lo trovarono rannicchiato, come a volersi proteggere dalla pioggia di colpi che lo avevano investito. Era lì, su quel sentiero, da poche ore, dirà poi il medico legale che aveva fatto risalire l’ora della morte intorno a mezzanotte. Ma come ci era finito in quel posto? Chi era stato? Lo scempio di quel povero corpo mise le ali ai piedi degli inquirenti che iniziarono subito a dipanare la matassa dal capo più ovvio: andarono a casa sua e trovarono sua moglie Isabella Agostini, sposata sette mesi prima. Lei disse che suo marito era uscito la sera e non era più rientrato. Aggiunse che aveva un appuntamento con alcuni stranieri.
È uno schema ricorrente: incolpare lo straniero, l’altro, il diverso, il cattivo. È la stessa storiella che Erika e Omar tentarono di far bere agli inquirenti per l’atroce duplice delitto di Novi Ligure. Anche quella volta durò poco, come per il delitto di Michele Santoni. La polizia ci mise una manciata di ore per capire che il racconto della donna faceva acqua da tutte le parti, come una carretta del mare destinata a naufragare alle prime onde. Bastò fare un giro in paese, a Calavino, per scoprire che il matrimonio di Michele e Isabella non andava per niente bene, che lei si annoiava e che andava in giro per i bar della Val dei Laghi a giocare a freccette, mentre lui andava a dormire presto perché il giorno dopo doveva lavorare dietro il bancone, a Trento nord.
In paese dicevano che qualcosa si era rotto già dal viaggio di nozze alle Maldive, interrotto a metà per via di una forte e improvvisa febbre di Isabella. E qualcuno fece il nome di quell’aiutante piastrellista con i capelli biondi, il pizzetto, il fisico da corazziere e lo sguardo di bragia. Giuliano Cattoni all’epoca 24 anni, era molto aitante, ma anche molto infiammabile.
Mettendo insieme i pezzi, gli uomini della quadra mobile della polizia di Trento intuirono che i due erano amanti. E convocarono il Giuliano per un interrogatorio. La misera bugia della banda di stranieri durò poco. Cattoni confessò subito. Disse di averlo ucciso lui Michele. Lui insieme a Isabella. Lo avevano preso a bastonate con uno di quei tronchetti da cantiere trovato dietro una siepe a lato del sentiero del lago di Terlago. Poi via via il piastrellista aggiunse altri dettagli che misero ancora più nei guai Isabella che, dal canto suo, ammise di essere stata presente al delitto, ma di non aver saputo nulla delle intenzioni del suo amante. E lì le loro strade si separarono per sempre. Si erano conosciuti in uno di quei tornei di freccette che andavano tanto di moda nei bar della Val dei Laghi, quando la sera d’inverno fuori fa freddo e c’è niente da fare. A lei piacevano gli uomini e si era invaghita di quel vichingo alto e con la barba, così diverso da suo marito Michele, buono mite e mingherlino. Così gli cadde tra le braccia e lei divenne apatica e distante con Michele. Perfino le amiche di Isabella dissero, e confermarono al processo, che lei lo trattava male, che lo tradiva e non aveva rispetto di lui.
Andarono da un’analista di coppia che consigliò loro di comunicare scrivendo un diario comune. E quel diario comune saltò fuori al processo. Era un quadernetto a righe con le due scritture così diverse che si alternavano. Lei con calligrafia quasi da bambina si dilungava di più. Lui usava frasi secche e molto rapide. In testa mettevano la data. Era il diario di un’agonia. L’agonia di un matrimonio che non avrebbe mai dovuto vedere la luce tra un uomo maturo, riflessivo e buono e una ragazza che aveva quasi dieci anni meno di lui, che lo aveva sposato solo per fuggire a un ambiente familiare opprimente con il padre distante e dal carattere difficile e la madre che le aveva insegnato fin da piccola che era meglio non contraddirlo. Parlavano di tutto, in quelle righe vergate sul quadernetto, anche con qualche accenno quasi comico alla loro intimità. Gli ultimi messaggi sembravano deporre per una ricomposizione della coppia. E ci provò, Isabella, a mollare Giuliano e a pensare solo a Michele. Solo che il piastrellista non si diede per vinto e la tempestò di sms – allora non esisteva whattsapp – finché lei non cedette. Così, velocemente, si arrivò al baratro. Il baratro in cui morirono la coscienza e il buon senso. Si arrivò all’1 giugno. Quel giorno avrebbe dovuto esserci un chiarimento a tre, almeno lo dice Isabella, mentre Giuliano sosteneva che il programma era quello di uccidere Santoni per eliminare l’ostacolo alla storia d’amore tra i due amanti diabolici. E qui, prima ancora dei processi, nacquero due versioni.
Come in un Rashomon in salsa trentina i due amanti si accusarono a vicenda. Isabella disse di non aver partecipato all’ideazione, ma di aver convinto Michele ad andare sulle rive del lago di Terlago a parlare con Giuliano, a convincerlo a lasciarla stare, che lei voleva stare solo con suo marito. Raccontò al processo che si avviò insieme al marito sul sentiero e che si fermarono alla prima piazzola. A quel punto Giuliano sarebbe balzato fuori con un grosso pezzo di legno in mano e avrebbe iniziato a colpire Michele alla testa sfondandogli cranio. Poi avrebbe tirato fuori un coltellino, o meglio un taglierino da piastrellista, e avrebbe tagliato la gola a Michele. L’avrebbe quindi costretta a salire in macchina con lui, lasciando la Golf di Michele al parcheggio all’imbocco del sentiero, e sarebbe andato fino al lago di Cavedine dove avrebbe gettato il taglierino e il pezzo di legno usato per il delitto. Lei poi disse che era rimasta zitta per paura di Giuliano, che facesse fuori anche lei.
Giuliano, invece, disse che era stata lei a ideare tutto. Che non ne poteva più di stare con Michele e che aveva pensato di ucciderlo. E lui le avrebbe obbedito. Sarebbe stata lei a organizzare tutto, luogo e ora e anche modalità di quell’efferato delitto. Non solo, avrebbe dato lei l’ultimo colpo alla gola di Michele con il taglierino. Così nacque il soprannome che accompagnò Isabella fino al processo: “La mantide”. Il pm Bruno Giardina credette subito di più a Cattoni. Isabella sembrava non aver detto tutta la verità. Innanzitutto c’erano quelle centinaia di sms che i due si scambiarono la sera dell’1 giugno. Secondo l’accusa servirono a organizzare il delitto. I due amanti si sarebbero coordinati in questo modo per attirare in trappola il povero Michele. Anche il quadernetto secondo l’accusa non dimostrava altro che la lenta fine di un rapporto già stanco prima di iniziare e, quindi, la voglia di Isabella di liberarsi di quel marito che lei trovava noioso, mentre a molti sembrava solo premuroso.
In questo confronto di verità quasi opposte, anche le difese fecero scelte opposte. Gli avvocati di Cattoni optarono per la riduzione del rischio e imboccarono la strada del giudizio abbreviato che si concluse con la condanna a 16 anni di carcere. Ne scontò poco più di 10. Già dopo otto anni iniziò a godere dei permessi premio per poter andare a trovare la famiglia a Natale e uscì definitivamente dal carcere Due Palazzi di Padova nel dicembre 2010. In carcere aveva lavorato come cuoco e aveva fatto perfino il giornalista per la rivista dei detenuti. Lei, invece, sostenuta anche dal fratello Felice, che aveva sempre creduto nella sua innocenza, e dal suo avvocato Mario Murgo, convinto che contro la ragazza non vi fosse altro che il racconto di Cattoni fece un’altra scelta. Così Isabella e Murgo, esperto avvocato abituato alle battaglie in aula anche in difficili processi di criminalità organizzata, andarono in assise. Non facendo i conti con l’opinione pubblica che si era convinta della colpevolezza della ragazza che veniva vista, appunto, come la mantide che aveva organizzato e portato a termine l’eliminazione fisica del marito.
Al processo l’accusa esibì le fotografie del cadavere di Michele. Quella gola tagliata sopra la trachea, quel volto emaciato e irriconoscibile, quel cranio sfondato fecero il resto. Anche il fatto che la ragazza avesse passato il taglierino sulla gola del marito fece una grandissima impressione. E poi c’erano le centinaia di sms. Come dimostrare che in quei messaggi non vi fosse un piano diabolico? Tutto deponeva contro Isabella, che alla fine venne condannata a 22 anni e 9 mesi. Poi ridotti a 22 in appello. La ragazza venne rinchiusa nel carcere della Giudecca, a Venezia, dove rimase fino al 2016. Venne intervistata anche da Franca Leosini in una puntata della mitica serie “Storie maledette”. E lì tutti gli italiani poterono constatare, come del resto fecero tutti quelli che avevano assistito al processo riempiendo a ogni udienza l’aula della Corte d’assise di Trento, che la mantide non era altro che una giovinetta, una che dimostrava meno della sua età, sprovveduta e sperduta e con i denti un po’ guasti. Lei raccontò che era stata completamente in balìa di Giuliano che era il triplo di lei e che aveva avuto paura anche per sé stessa e che non voleva ammazzare il marito. Ma non poté fare nulla per evitarlo. Disse che al processo l’avevano abbandonata tutti. Anche la sua migliore amica che era venuta a testimoniare, a dire che lei a Michele non voleva bene, che lo trattava male. Nel 2012 le prime uscite dal carcere, per lavorare come commessa in un negozio di Venezia. Uscì nel 2016, ma restò in libertà vigilata fino al 2021. Ora è tornata in val dei Laghi e sopporta il peso di quello che è stato, gli sguardi della gente. Cattoni è tornato al suo lavoro e, al contrario di Isabella, non ha più parlato. È sparito dai radar per farsi dimenticare. A ricordare il povero Michele sono rimasti solo i suoi fratelli che vivono nel dolore di quella notte.
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