La kermesse
domenica 12 Ottobre, 2025
Rafa Benitez si racconta al Festival dello sport: «Ho imparato da Ranieri e Sacchi. I successi più grandi? La promozione con l’Estremadura»
di Luca Galoppini
L'allenatore spagnolo: «Con il Liverpool rimpiango la finale del 2007 contro il Milan, giocammo meglio dell'anno prima»

Come si riconosce un fenomeno? Facendo un giro nel salone di casa sua, orientandosi con il navigatore e facendo slalom tra una ventina di coppe che quest’uomo, nell’arco di una vita come allenatore, è riuscito a portarsi a casa. Dal Valencia al Liverpool, dal Napoli al Newcastle, Rafa Benitez è un’istituzione nel calcio del ventunesimo secolo, l’uomo che ha rivoluzionato questo sport imparando da casa nostra, dalla Serie A. Nell’intervista con il giornalista Antonio Giordano, tenutosi questa mattina (domenica 12 ottobre) al Palazzo della Regione, l’allenatore spagnolo ha condiviso qualche aneddoto della sua carriera nell’ultima giornata del Festival dello Sport: «È un piacere tornare qui in Trentino, ricordo quando con gli allievi del Real Madrid siamo venuti ad Arco. Abbiamo giocato a Viareggio facendo il giro delle città, ma il Trentino lo ricordo anche dai tempi del Napoli. Per tre anni siamo venuti qui in ritiro e siamo sempre stati benissimo».
Per 25 anni, in Spagna il dominio si è sempre basato su tre squadre: Real Madrid, Atletico Madrid e Barcellona; tranne per due anni, quando Benitez allenò il Valencia. «Io ho una laurea in educazione sportiva, ho fatto judo, pallacanestro ma il calcio è sempre stato il mio pane. Tuttavia, la mia formazione si è basata sul calcio italiano. Sono stato a Coverciano più volte, ho conosciuto Claudio Ranieri ai tempi della Fiorentina, poi Capello e Sacchi. Facevo tante domande, sembravo un giornalista, volevo imparare a fare questo mestiere e ho imparato dai migliori».
Poi il passato contro il Milan, ricordando il «Rimpianto della finale del 2007, dove abbiamo giocato meglio rispetto a quella del 2006, ma quella l’abbiamo vinta contro ogni pronostico», ai sei mesi all’Inter e il Napoli di Cavani e Hamsik. L’amarezza arriva però col Real Madrid: «Avevo detto tre volte di no al Real Madrid, avevo iniziato nel settore giovanile a 13 anni ma non ero un giocatore di livello in questa squadra. Non ho fatto male, ero a 2 punti dal Barcellona ma avevo una partita di meno. Peccato non mi abbiano dato tempo».
Non sono le Champions ciò che ha reso più orgoglioso Benitez, ma ben altro: «Direi la promozione con le squadre piccole, con l’Extremadura, il Tenerife e il Newcastle. Quando sei un allenatore puoi essere bravo o scarso, ma la promozione per una squadra piccola, due volte in Spagna e una volta in Inghilterra allora vuol dire che sei allenatore. Quando parlo di Estremadura, un paese di 28 mila abitanti, che sale in Liga fanno cambiare tutto in queste piccole realtà».
Un’ora di calcio allo stato puro, con la rivoluzione del calcio moderno e l’evoluzione del ruolo del portiere: «Ancelotti diceva che un portiere prima di tutto deve parare e sono d’accordo. Quando arrivai a Liverpool, chiesi come fossero i portieri e mi dissero, per la prima cosa, che sapevano rilanciare profondo. Mi aspettavo dicessero qualcosa sulle loro parate, ma niente. Poi per me il ruolo del portiere è stato fondamentale. Quello che io feci con Reina anni fa è quello che va di moda oggi».
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