L'intervista

domenica 30 Novembre, 2025

Quindici giorni e venti ore da sola nell’Atlantico: la traversata eroica di Zorzi. «La solitudine è libertà»

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Dopo una collisione e una ripartenza da zero, la skipper trentina firma l’undicesimo posto e un traguardo storico: «È stata una delle gioie più grandi della mia vita»

Quindici giorni e venti ore di oceano. Oltre 2600 miglia di navigazione in solitaria. Una collisione nella prima tappa e una ripartenza quasi da zero. E nonostante tutto, un risultato eccellente. Undicesimo posto nella Mini Transat 2025, la regata oceanica che da quasi cinquant’anni conserva la purezza delle sfide di un tempo. Niente computer, niente telefoni, niente gps cartografici. La classe 1994 trentina (ora di casa a Tesero) Cecilia Zorzi, velista del Circolo Vela Arco, è tornata in Italia dopo due mesi che hanno cambiato la prospettiva della sua carriera e segnato un traguardo storico. Prima di lei solo due italiane – Daniela Klein (2009) e Susanne Beyer (2011) – hanno completato la Mini Transat.

Un risultato che arriva dopo una carriera già ricca. Due titoli mondiali, due europei, un titolo italiano offshore, migliaia di miglia percorse, una campagna olimpica e un passaggio deciso verso la vela d’altura e il progetto «Cecilia in Oceano», con cui la skipper vuole contribuire a una vela più inclusiva e accessibile.

La Mini Transat 2025 verrà ricordata per l’imprevedibilità del meteo. L’uragano Gabrielle ha imposto lo stop della prima tappa. Cecilia, partita benissimo, era stata rallentata da un urto con un oggetto non identificato che aveva danneggiato timone e prua. Riparazioni, attese, incertezza. Poi di nuovo il via dal Portogallo alle Canarie e la partenza definitiva del 25 ottobre. L’Atlantico, insolitamente caldo e instabile, ha imposto scelte difficili e solitarie. Eppure l’arrivo a Guadalupa ha cancellato ogni fatica.
Zorzi, com’è nata la sua passione per la vela?
«Ho iniziato a sei anni quasi per caso. I miei genitori lavoravano durante l’estate e io e mia sorella maggiore, Alice, abbiamo provato un corso di vela sul lago di Caldonazzo. Ci siamo appassionate subito».
La prima tappa della Mini Transat è stata un colpo durissimo. Come l’ha vissuta?
«Ero molto demoralizzata. Dopo una preparazione complicata, ritrovarmi sull’isola La Palma a gestire una nuova avaria era l’ultima cosa che avrei voluto. Paradossalmente proprio quell’ostacolo mi ha dato la spinta giusta. Ho rimesso a fuoco le cose importanti e ho ritrovato l’energia per la traversata».
Alla ripartenza, era subito davanti. Che regata è stata?
«La seconda tappa è stata intensa. I primi tre giorni ho regatato nella top 5, poi il vento ha cominciato a cambiare. Le condizioni erano strane, ci obbligavano ad andare molto a sud. Le giornate più dure sono state quelle con caldo e umidità insopportabili. Avevo piaghe ovunque. Mentalmente è stato difficile, fisicamente ancora di più».
Durante la regata siete completamente isolati. Quanto pesa questa solitudine?
«Tanto. Ogni giorno riceviamo un messaggio dall’organizzazione, e basta. Niente contatti con la terra, nessuna posizione degli avversari. Prima di partire avevo deciso di non guardare la classifica perché non è veritiera, ma l’ho fatto per due giorni e mi sono buttata giù. Me lo sono rimproverata. Lo sapevo che non dovevo».
C’è stato un momento particolarmente difficile?
«Le famose mille miglia mancanti. È un traguardo mentale. A quel punto mi sono avvicinata a un gruppo di barche e ho perso il mio ritmo. Quando ho deciso di staccarmi e seguire la mia rotta, sono stata meglio. Non è facile abbandonare gli altri dopo giorni di solitudine, ma non avevo benefici. Ho ritrovato centratura e serenità».
L’ha aiutata anche il sapere che la fatica è condivisa?
«Molto. La ragazza arrivata davanti a me, con cui mi alleno spesso in Francia, mi ha fatto capire quanto sia difficile per tutti. Parlare del vento, anche per pochi minuti, aiuta. Sapere che non sei l’unica a soffrire fa una grande differenza».
Secondo lei, si riesce a godere nella solitudine una bella dose di libertà?
«Non credo che sarebbe possibile provare le stesse emozioni senza quella solitudine».
Appena ha completato la Mini Transat che sentimenti ha provato?
«Nelle ultime 24 ore di gara ho dato tutto. Ero svuotata di tutta l’energia che avevo per arrivare nella maniera migliore. È stato solo mentre mi trainavano dentro il porto, vedendo la spiaggia e le palme, che mi sono resa conto di quello che avevo fatto. Mi sono potuta finalmente lasciare andare, realizzando che ero appena arrivata ai Caraibi su una piccola barchetta, tutta sola. È stata una delle gioie più grandi e genuine della mia vita».
Ora che è tornata in Italia, cosa succede?
«Un po’ di vacanza, intanto. Vivo a Lorient, in Bretagna, dal 2024. Poi voglio costruire un progetto mio. Un’altra sfida in solitario, dove la differenza la fa lo skipper e non l’imbarcazione. Ho bisogno di ritrovare intensità e continuità».
Cosa le lascia questa Mini Transat?
«Una grande gioia e soddisfazione. Gli ultimi tre anni sono stati incredibilmente difficili, e più di una volta ho pensato di essermi infilata in qualcosa di troppo grande per me. Arrivare in fondo, e con un bel risultato, mi dà molta fiducia anche per il futuro. Spero che questa fiducia arrivi anche a tutte quelle donne che sognano l’oceano ma non osano avvicinarvisi».