L'INTERVISTA

giovedì 19 Ottobre, 2023

Oscar Farinetti, vulcano d’idee: «Ne ho azzeccate solo quattro su dieci ma importanti»

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Imprenditore di successo, ha sviluppato e portato al successo Unieuro. Sabato sarà a Trento per presentare il suo nuovo libro

«Mi piace l’idea di schematizzare e mettere in mosse le cose che dico. È un modo per renderle più semplici, leggibili, comprensibili e ricordabili», spiega Oscar Farinetti parlando del suo nuovo libro «10 mosse per affrontare il futuro. Una vita nuova attraverso il piacere e la bellezza» (Solferino) che presenterà a Trento sabato (Itas Forum, ore 17) organizzato da Riva del Garda Fierecongressi. Da Unieuro a Eataly e Green Pea, la sua non solo è la storia di un imprenditore visionario e un navigatore che le mareggiate del futuro non le ha mai temute, ma anche di un uomo che, dote rara in tempi di dialettica spesso barocca, le proprie idee le sa esprimere con l’efficacia della sintesi e della chiarezza.
Farinetti, nel 2011 le sue mosse per l’Italia erano undici e si tradussero in un viaggio in barca a vela con Giovanni Soldini da Genova a New York in compagnia di intellettuali e artisti. Non è che è pronto a salpare un’altra volta?
«No, no. Quelle erano undici mosse da mettere in campo per aiutare il nostro Paese. Erano di carattere politico, intese come “Polis”, l’arte di governare. Qui di politico non c’è nulla, stavolta i temi sono semmai sociologici e filosofici».
Senta, va bene che come recitava Tonino Guerra nel vostro celebre spot di Unieuro «l’ottimismo è il profumo della vita», ma con tutto quello che sta succedendo in giro per il mondo impazzito, come fa lei a essere tanto ottimista?
«Non dobbiamo confondere l’ottimismo col pensare che tutto andrà bene. L’ottimismo è guardare al futuro e pensare che i problemi si possano risolvere. Gli ottimisti son realisti, analizzano i problemi e cercano gli strumenti per risolverli. I pessimisti sono l’esatto contrario, pensano che nulla si possa risolvere e si abbandonano al lamento».
Perché secondo lei l’Italia ce la farà?
«Ne ho viste di ogni, anche situazioni più difficili di quella attuale, e non farcela per l’Italia è impossibile… Abbiamo una grande fortuna: essere nati nel Paese più bello al mondo. Il mondo ci chiede la nostra bellezza, nel 2022 gli imprenditori italiani hanno sforato il tetto di 600 miliardi di esportazioni. Se l’impresa viaggia bene, è la politica centrale a far acqua: non fa più “Polis”, ma propaganda. Tuttavia li capisco, perché abbiamo un sistema in cui siamo perennemente in campagna elettorale, votiamo ogni anno. C’è, però, anche chi la “Polis” la fa molto bene, e sono gli ottomila sindaci italiani che per fortuna le elezioni le hanno ogni cinque anni».
Lei dice che «ci salveranno i ventenni», ma l’Italia non sembra proprio essere un Paese per giovani. Tanti se ne vanno via.
«Non tutti per fortuna. Si tende sempre a generalizzare in negativo. Secondo un sondaggio di Win-Gallup, per tasso di fiducia su 130 nazioni l’Italia è ultima. Curioso che un popolo nato nel posto più bello del mondo, ne sia il più infelice, non crede? L’altro giorno ero alla Cattolica di Piacenza davanti a 400 studenti tra i 19 e 25 anni, e gli ho chiesto: “Chi di voi tra qualche anno farà un figlio?”. L’80% ha alzato la mano; è una gran notizia. Se lo chiedi ai trentacinquenni la mano la alza forse il 20%. La nostra generazione è cresciuta con la certezza di avere un maggior benessere rispetto ai nostri genitori; questi ragazzi, a causa della crisi ambientale e dei conflitti nel mondo, sanno che invece per loro non sarà così e si stanno tirando su le maniche. Sono strepitosi, per questo gli ho dedicato il libro».
Tre figli maschi, da padre cosa ha preteso da loro?
«Preteso nulla, sperato tanto. Ho fatto quello che faceva mio padre con me, poche parole e tanti esempi. Ciò che speravo dai miei figli si è avverato, cioè persone oneste ma anche furbe, autoironiche ma anche orgogliose; la mia famiglia è la cosa più bella che ho, e gran parte del merito è di mia moglie perché io ero sempre a lavorare, sempre in giro e poco a casa a godermeli i miei figli. Oggi che lavorano con me, diciamo che mi sono un po’ sdebitato con lei».
Dai social emerge un Paese parecchio incarognito.
«Detto che sui social io non vado, se fossero utilizzati bene sarebbero uno strumento straordinario. Sono invece lo specchio della disumanità del nostro tempo, una strana forma di umanesimo dove al centro non c’è l’uomo, ma noi stessi col nostro ego. Quello che avveniva una volta al bar, ma eravamo quattro o cinque, è oggi amplificato da internet, che è un’invenzione fantastica ma come tutte le invenzioni all’inizio vengono usate male: pensiamo al fuoco, l’uomo ha fatto disastri ma poi ha imparato ad usarlo; pensiamo alla scrittura, Socrate diceva a Platone di non scrivere, meno male che non lo ha ascoltato. Le grandi invenzioni vanno domate. Faccio quindi tre proposte per mettere delle regole all’utilizzo dei social su internet: eliminare l’anonimato, proteggere la privacy e i nostri dati, e mettere un tetto a fatturato e utili di aziende che ormai fatturano come uno Stato. Sono un liberista, ma un limite ci deve essere».
Lei ha fatto il liceo classico, e di Humana Pietas quanta ne vede oggi in giro?
«Pochina. Ci dimentichiamo che nessuno di noi decide dove nascere; non decidiamo noi il nostro sesso e il nostro colore della pelle, non decidiamo noi nemmeno il nostro orientamento sessuale né la nostra religione. Nel libro scrivo che dobbiamo, oltre alla fiducia, recuperare anche un senso di vergogna e lavorare con scuola e famiglia sui sentimenti. Anche sui media dobbiamo lavorare: sono troppo spesso figli della politica centrale, e la propaganda è qualcosa d’insopportabile».
E il suo, di futuro…? Per dirla col titolo di un suo libro, «Never quiet»?
«Si è fatto la domanda e anche la risposta…(ride, ndr). Il mio rapporto col futuro è proattivo. Il mio libro nasce da una frase di Leonardo da Vinci, “godo più a provarci che a farcela”. Mi ha aperto un mondo. Leonardo ci spiega che il bello del futuro è provarci, poi qualche volta ci si riesce e altre no. Di sicuro se non ci provi, non fai niente. Alla soglia dei settant’anni mi sono fatto un piccolo inventario; diciamo che su dieci cose ne ho sbagliate sei e ne ho azzeccate quattro, ma quelle quattro contano tantissimo. Gli errori fanno parte della bellezza della mia vita, il mio bilancio è positivo e mi ritengo fortunato».
Non possiamo che chiudere con una mossa per il futuro?
«Eliminiamo sta cosa che ci dobbiamo comportare bene per senso del dovere. Piuttosto, comportiamoci bene perché ci sentiamo fighi a farlo: e allora è da fighi avere un’auto elettrica, è da fighi fare la differenziata, è da fighi non usare le plastiche monouso, e da fighi pagare le tasse, ed è da strafighi comprare la metà dei prodotti che costano il doppio».