Il personaggio

mercoledì 5 Novembre, 2025

«Nel Donbass la gente vive e muore con dignità, l’ho visto con i miei occhi»: il racconto dal fronte di Luca Steinmann

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L’inviato di guerra in arrivo a Trento: «La popolazione russa è con Putin perché teme una nuova implosione. Ucraina nella Nato? Impossibile»

«Ucraina, tre anni dopo». È questo il titolo dell’incontro che si terrà nella giornata di oggi all’aula 3 del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale alle ore 18 – l’ingresso è libero e gratuito – all’interno della cornice del festival «Crepe nel mondo», organizzato da UniTin Sociologia.
Un appuntamento che vedrà come ospiti Luca Steinmann, giornalista, e Aldo Ferrari, docente universitario. Steinmann, in particolare, è tra i pochissimi ad avere seguito il conflitto russo-ucraino dai territori russi e seguendo l’esercito russo. A più di tre anni di distanza dal 24 febbraio 2022, il conflitto in Ucraina non sembra destinato a una pacifica soluzione in tempi rapidi. Trovare una via d’uscita sembra arduo. Nel mentre, migliaia di persone continuano a morire.
Luca Steinmann, com’è la situazione oggi in Ucraina?
«La situazione è ferma, non ci sono grandi battaglie epocali. La linea del fronte è sempre più o meno quella da diversi anni ormai. Nessuna delle due forze in campo è in grado di vincere completamente questa guerra, ma nemmeno sono pronte a capitolare. La via diplomatica è però legata a una dimensione più alta, in cui a decidere e a negoziare sono soprattutto Trump e Putin. L’Ucraina ha legato il suo destino al sostegno americano e quindi in base ai rapporti, o agli scontri, che ci saranno con gli Stati Uniti potremo capire quale sarà il futuro di questa guerra, che però sul campo di battaglia continua con tanti morti di soldati e di civili, e con un peso sempre più grande sia sulle spalle della popolazione russa, sia su quella ucraina».
La Russia, invece, come sta? La sua popolazione e i suoi militari come stanno vivendo la guerra?
«I militari russi hanno avuto, forse più di quelli ucraini, tantissime perdite umane. La popolazione chiaramente ne va a risentire, perché l’uomo che viene ucciso sul campo di battaglia ha una famiglia, degli amici, e quindi le conseguenze della guerra sono oggi più forti che mai. Ma al contempo gran parte della popolazione russa sta mostrando una certa compattezza nei confronti del governo. L’opposizione è veramente ridotta al minimo».
Quali sono le cause?
«Questo avviene non tanto per chissà quale imbrigliamento o ignoranza della popolazione, ma perché la maggior parte dei russi teme fortemente un potenziale collasso della Russia. Le persone si ricordano bene cosa siano stati gli anni ’90, quando l’Unione Sovietica crollò e ci furono anni molto difficili per la popolazione. Per questo oggi si stringono attorno al proprio governo, che vedono e percepiscono come il mezzo necessario per difendere la Russia e la sua indipendenza».
Ma quali sono, secondo lei, gli obiettivi russi in questo conflitto?
«La Russia è in contrapposizione con gli Stati Uniti e con l’Occidente. Non vuole accettare le ricette politiche ed economiche occidentali, e considera l’Ucraina come parte integrante della Russia stessa. Secondo la narrazione propagandistica del Cremlino, la Russia ha origine a Kiev, con una narrazione che affonda le sue radici attorno all’anno 1000 con la conversione al cristianesimo di Vladimiro il grande. Quindi in Ucraina per la Russia si combatte una guerra apocalittica, anzitutto perché, ripeto, considerano l’Ucraina come parte integrante della Russia, e poi perché sentono che in Ucraina si sta combattendo una guerra contro l’Occidente».
Qual è la posizione degli Stati Uniti sul conflitto e qual è il rapporto che gli Usa hanno con la Russia?
«Se con Biden lo scontro era molto ampio, se non totale, con Trump molte cose sono cambiate. Trump ha puntato, anche in campagna elettorale, su un maggiore disimpegno americano e sulla capacità, vera o presunta, di riuscire a risolvere i grandi conflitti dei nostri tempi. Vanno in questa direzione gli sforzi in Medio Oriente e anche sul conflitto russo ucraino. Trump è però una persona molto imprevedibile, senza una linea chiara, e dunque è molto difficile capire se questa volontà sia accompagnata da una strategia vera e propria oppure se venga accompagnata da improvvisazioni».
L’Unione europea, invece, cosa potrebbe fare? Sta facendo abbastanza?
«L’Ue può fare molto poco, innanzitutto perché non esiste una linea di politica estera comune e condivisa. Ci sono posizioni molto eterogenee tra i vari Paesi. Alcuni Stati hanno provato a fare qualcosa: penso a Francia e Germania che, fino al 2022, con i famosi accordi di Minsk, provarono a far sedere attorno a un tavolo le due parti oggi in conflitto. Dal febbraio 2022 i Paesi europei, e in particolare la Francia e la Gran Bretagna, hanno aderito alle sanzioni contro la Russia, schierandosi apertamente con l’Ucraina e diventando dei Paesi che, mandando armi all’Ucraina, la Russia considera in qualche modo belligeranti. Così facendo il loro ruolo di mediazione è venuto meno, perché è venuta meno l’equidistanza tra le parti. Senza equidistanza si può avere un ruolo da mediatori solo con la forza militare, come avviene per gli Usa, ma chiaramente nessun Paese europeo può puntare su questa leva. Di conseguenza, l’Ue non ha voce in capitolo e ben poca ne hanno anche i singoli Paesi».
Una possibilità che è stata messa sul tavolo dei negoziati è il congelamento dei confini attuali. Come valuta questa opzione?
«Qua parliamo veramente del vulnus intorno al possibile ottenimento di una pace o di un cessate il fuoco, perché Zelensky ha mostrato, fino a oggi, di non poter rinunciare al Donbass e ai territori dell’Ucraina meridionale occupati dai russi per una questione di politica interna. Ci sono ampie fette della popolazione e delle forze armate che non sono disposte ad accettare questa cessione territoriale.
Sarebbero pronte a reagire con le armi contro Zelensky. Al contempo il presidente ucraino sa anche di non poter riottenere gran parte dei territori perduti, se non tutti. I territori del Donbass, in particolare, sono abitati da una popolazione che in termini largamente maggioritari vive sotto i russi già dal 2014, è stata integrata nel sistema e nella federazione russa e in fette maggioritarie percepisce l’esercito ucraino come un nemico. L’Ucraina e Zelensky non possono rinunciare ufficialmente al Donbass, ma non possono nemmeno re-inglobarlo. E quindi siamo fermi qui».
Da parte russa, invece, come sarebbe visto il congelamento dei confini attuali?
«Dipende a quali condizioni ciò avverrebbe. L’obiettivo finale della Russia è quello di arrivare a un cambio di colore politico a Kiev, puntando a un governo filorusso o che comunque metta un freno a qualsiasi forma di integrazione dell’Ucraina nel mondo occidentale. Comunque io penso che se venisse imposto in qualche modo un cessate il fuoco a Mosca Putin avrebbe meno problemi interni rispetto a quanti ne avrebbe Zelensky».
Prevedere il futuro è chiaramente impossibile. Ma, secondo lei, c’è la possibilità che un giorno l’Ucraina entri a far parte dell’Ue? E della Nato?
«Penso che se l’Ucraina entrasse nella Nato sarebbe veramente la fine della Nato per come la conosciamo oggi. Oggi l’ingresso dell’Ucraina nella Nato significherebbe lo scoppio di una guerra su larga scala tra Stati Uniti, tutti i Paesi occidentali, la Turchia e la Russia. Penso sia dunque inverosimile che oggi l’Ucraina entri nella Nato. Sull’Ue il discorso è diverso, anche perché il discorso si interseca con problemi interni all’Unione stessa. Dobbiamo dunque vedere che pieghe prenderà l’Ue e il peso che avrà in futuro. Quando Trump ha ricevuto i leader europei per parlare della guerra in Ucraina li ha accolti tutti nello studio ovale, di fronte alla sua scrivania, come scolaretti di fronte al maestro. Ursula von der Leyen era in mezzo agli altri, come una scolaretta e non come la rappresentante di tutti i Paesi europei e degli interessi europei messi assieme. E questo penso che la dica lunga».
Lei è stato più volte sul fronte come giornalista. In particolare, è stato tra i pochissimi a seguire il conflitto russo-ucraino dalla sponda russa. Cosa l’ha colpita maggiormente?
«La grande dignità delle persone che vivono in quelle zone. Nel Donbass la guerra è in corso dal 2014. Le persone continuano a voler vivere lì, perché sanno che qualora se ne dovessero andare rischierebbero di perdere tutto. E non mi riferisco solo alle cose materiali, come la propria casa, ma anche alla propria identità. Questa è la grande differenza del modo in cui un giornalista e una persona del posto percepiscono una guerra. Io come giornalista posso andarmene in qualsiasi momento, per una persona che lascia la propria comunità, invece, questa fuga può significare l’abbandono di una serie di memorie, di ricordi legati alle proprie vite. Quindi è questo ciò che mi ha colpito: la dignità delle persone più semplici e spesso anche l’assenza di ideologie in loro. Sono persone caratterizzate da un grande pragmatismo, da una grande forza di volontà di rimanere a vivere lì dove si sentono di appartenere».