L'INTERVISTA

venerdì 19 Aprile, 2024

Luca Bizzarri: «Vi spiego le figuracce nei discorsi dei politici senza amici che li aiutano»

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Il comico porterà in scena un podcast che evade dalle piattaforme audio, si trasforma e viene replicato sui palcoscenici di tutta Italia. Lunedì alle 21 sarà all’Auditorium Santa Chiara

Il meglio e il peggio della comunicazione politica dei nostri tempi è il filo rosso del podcast giornaliero «Non hanno un amico» di e con Luca Bizzarri, scritto con Ugo Ripamonti ed edito da Chora Media. Podcast che evade dalle piattaforme audio, si trasforma e viene replicato sui palcoscenici di tutta Italia con un omonimo spettacolo, che andrà in scena anche a Trento, lunedì alle 21 all’Auditorium Santa Chiara. Una chiacchierata che dai consueti cinque minuti arriva a un’ora, per trattare dei fenomeni social odierni e dei costumi politici del nuovo millennio, sospesi tra la nostalgia del passato e la volontà di innovazione, tecnologica ma anche sociale. Tutto come espediente per parlare in realtà di noi e delle nostre debolezze, attraverso l’utilizzo di uno degli strumenti più efficaci per far riflettere: la risata. Il comico genovese porterà infatti il pubblico in sala a ridere di se stesso e a non prendersi troppo sul serio.
Bizzarri, a cosa rimanda il titolo del podcast e dello spettacolo «Non hanno un amico»?
«Il punto di partenza da cui è nato il podcast è stato il notare che molti dei nostri politici è come se non avessero un amico che impedisca loro di fare delle brutte figure, ogni tanto molto banali, che appunto per evitarle basterebbe avere un amico vicino. Si è partiti dunque da questo presupposto, ma poi si è giunti alla conclusione che tutti noi non abbiamo un amico, perché preferiamo circondarci di persone che ci dicano quanto siamo belli e quanto siamo bravi, invece che di amici veri, ossia coloro che ci dicono quando stiamo sbagliando».
Il podcast ha una media di 50mila ascolti giornalieri, da dove è nata l’idea di trasformarlo anche in uno spettacolo teatrale?
«È stato un passaggio abbastanza naturale, perché scrivendo un podcast giornaliero si accumula un sacco di materiale anche comico, divertente, interessante, che non sempre viene usato. Avevo quindi tanti spunti e, partendo dalle tematiche del podcast, ho scritto anche questo spettacolo che, ovviamente, ha tempi e modi diversi rispetto a un episodio di cinque minuti, ma parla degli stessi argomenti dagli stessi punti di vista».
Quale pensa sia la rilevanza dei podcast al giorno d’oggi?
«Per ora hanno numeri di ascoltatori ancora abbastanza piccoli, non possono di certo paragonarsi ai telespettatori televisivi o ai fruitori degli altri media più tradizionali. Però è un pubblico di grande qualità, affezionato e che ti considera uno di casa. In poche parole, diventi un’abitudine, soprattutto se hai un podcast giornaliero. Credo ci siano delle potenzialità enormi da sfruttare per il futuro».
I podcast sono un mezzo di comunicazione recente e seguono a ruota i social. Come pensa che la comunicazione politica sia stata influenzata dai social?
«Credo la politica sia stata influenzata troppo dai social e non ne vedo particolari vantaggi. Sono il posto della vanità: su X, ad esempio, nessuno cambia idea o discute, si tifa per la propria squadra senza dare vita a un confronto. Può essere deleterio».
Come, attraverso lo spettacolo, parlare di comunicazione politica può far riflettere gli spettatori che politici non sono?
«In realtà nello spettacolo parlo poco di politica, parlo più di comunicazione, ma soprattutto parlo di noi, della mia generazione. Ci sono sì dei richiami ad attualità e politica, ma dentro un discorso che non c’entra molto, se non per il fatto che la politica è la vita: ogni cosa che facciamo è politica perché riguarda anche gli altri».
E come trattare questi argomenti attraverso lo strumento della risata, o meglio, gli strumenti di satira e ironia che provocano la risata?
«La risata è il modo in cui io tratto un po’ tutto nella mia vita. Cerco di ridere innanzitutto di me stesso poiché penso che ridendo di se stessi si ha la lucidità, o meglio si spera di averla (ride, ndr), di poter ridere degli altri, senza giudicarli però, ma partendo dal presupposto che quelle cose di cui rido degli altri le ho anche io».
Qual è l’importanza di ridere di se stessi?
«Ridere di se stessi è importante al giorno d’oggi perché viviamo nella mitomania e nell’idea di doversi prendere sul serio. I social non fanno che peggiorare questa situazione, invece ogni tanto avere qualcuno che ci spernacchia ci fa tornare con i piedi per terra. Ciò per cui il pubblico è contento di aver visto lo spettacolo è che si tratta di una forma di auto analisi: tutti insieme, dentro a un teatro, ci mettiamo lì e ci prendiamo un po’ poco sul serio. E questo ci fa tanto bene».