I film
mercoledì 28 Maggio, 2025
L’intimità (matura) di Lilo & Stitch, la saga leggendaria di Mission Impossible, le periferie di Marsiglia: ecco i film da non perdere
di Michele Bellio
I film in sala visti e recensiti e la perla da recuperare in streaming: Madagascar
LILO & STITCH
(USA 2025, 104 min.) Regia di Dean Fleischer Camp, con Maia Kealoha, Zach Galifianakis, Sydney Agudong
La nuova versione live action di Lilo & Stitch, firmata da Dean Fleischer Camp (autore dello splendido Marcel the Shell), è probabilmente tra gli esiti migliori di questa tendenza discutibile messa in campo dalla Disney negli ultimi anni. Modificando in piccola parte la trama originale e sacrificando alcuni personaggi (il capitano Gantu), il film sceglie un tono più sobrio rispetto al prototipo, asciugando l’umorismo slapstick e portando in primo piano l’elaborazione del lutto e il faticoso tentativo di costruire una famiglia. La storia è nota: dopo la morte dei genitori, la piccola Lilo vive alle Hawaii con la sorella maggiore Nani, che fa di tutto per occuparsi di lei, non sempre riuscendoci. Quando Stitch — pericoloso esperimento alieno sfuggito al controllo — arriva sulla Terra, le loro esistenze si intrecciano in una bizzarra convivenza.
Lilo, infatti, crede che sia l’amico che aveva tanto desiderato e lo adotta credendolo un cane. Dallo spazio giungono però due alieni incaricati di catturarlo. Rispetto al caotico film del 2002, questa versione compie una scelta precisa: abbassa il volume. Semplifica l’estetica, toglie il superfluo e riduce al minimo l’elemento cartoonesco. Ne esce un racconto meno frenetico, che trova il suo momento migliore nella descrizione del rapporto fra le due sorelle. È proprio qui che il film funziona: quando lascia spazio all’intimità, alle dinamiche familiari, al trauma che non si dice. Stitch, animato in CGI con cura, conserva l’ambiguità originaria — è tanto tenero quanto distruttivo — ma la sua fisicità meno elastica smorza l’impatto comico, che infatti non sempre colpisce nel segno. In generale le gag sembrano spesso fuori sincrono e persino Zach Galifianakis, chiamato a dare vita al creatore di Stitch, Jumba, non è in grado di infondere efficacia al suo personaggio. Rispetto all’originale il personaggio di Nani è più sfaccettato, il ruolo dei servizi sociali più realistico e meno caricaturale.
Manca però in un certo senso freschezza all’intera operazione, anche se il messaggio finale rimane coerente e utile al pubblico di riferimento del film. Chi non ha mai davvero amato l’originale potrebbe qui trovare un racconto più maturo, più vicino a una sensibilità contemporanea. Chi cerca invece l’energia anarchica del cartoon potrebbe uscirne leggermente spiazzato. Il risultato è un film che almeno prova ad aggiungere qualcosa, senza limitarsi a riprodurre, risultando un po’ carente sul lato più schiettamente divertente. Una riflessione sull’ohana (famiglia intesa in senso esteso, inclusi gli amici) meno colorata ma più credibile, che ha il coraggio di essere anche un po’ triste. E per questo, forse, un po’ più vera.
MISSION: IMPOSSIBLE – THE FINAL RECKONING
(USA 2025, 165 min.) Regia di Christopher McQuarrie, con Tom Cruise, Simon Pegg, Ving Rhames, Rebecca Ferguson, Angela Bassett
Il franchise di Mission: Impossible è uno dei più longevi e interessanti della storia del cinema contemporaneo. Ispirato dalla serie televisiva del 1966, arriva in sala nel 1996 sotto la regia di Brian De Palma, passando poi per le mani di autori diversissimi – dal barocco John Woo all’algido J.J. Abrams – e trovando negli ultimi anni con Christopher McQuarrie una sua forma definitiva: quella di una macchina spettacolare implacabile, che spinge al limite la narrazione, l’azione e persino la riflessione su se stessa. Con The Final Reckoning, che chiude ufficialmente la saga, la promessa è chiara fin da prima dell’inizio del film: un breve messaggio di Tom Cruise al pubblico ringrazia gli spettatori per essere tornati in sala e ribadisce che questo film è stato fatto per loro, per noi, per il piacere puro del cinema. Non è solo un gesto promozionale: è una dichiarazione d’intenti. Ancora una volta gli stunt (quasi tutti eseguiti dallo stesso Cruise, anche produttore) spingono l’asticella più in alto, fino a sfiorare l’assurdo, ma sempre con un rigore fisico che restituisce peso e verità all’azione. La silenziosa scena nel sottomarino e l’inseguimento aereo finale tra velivoli rigorosamente analogici sono tra le sequenze più spettacolari mai viste in una sala. La storia, come spesso accade nella saga, sfiora la fantascienza mistica: l’Entità – intelligenza artificiale sfuggita al controllo umano – conquista il cyberspazio e minaccia la verità stessa, sovvertendo ogni certezza e portando il mondo sull’orlo di una catastrofe nucleare. In un’operazione di sorprendente continuità, il film suggerisce che l’intera parabola di Ethan Hunt (e quindi della saga) abbia contribuito ad alimentare quella minaccia, pur sempre in nome di un bene superiore. Ecco allora che Hunt diventa il prescelto, costretto ancora una volta a intervenire, circondato da nuovi compagni, ma anche da vecchie conoscenze e omaggi nascosti, in un mosaico affettuoso che celebra tutta la saga e chi l’ha amata.
Il film diverte, sorprende, commuove, con una regia salda e un ritmo che non conosce cedimenti nonostante la durata prossima alle tre ore. Probabilmente chi non è già coinvolto dal mondo di Mission: Impossible faticherà a cogliere tutte le sfumature, ma chi ha seguito Ethan Hunt fin qui non potrà che uscire soddisfatto. The Final Reckoning è una dichiarazione d’amore per il cinema d’azione, un omaggio alla magia della sala e il degno finale di una saga leggendaria.
LA GAZZA LADRA
(La Pie voleuse, Francia 2025, 107 min.) Regia di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Robinson Stévenin, Lola Naymark
Ambientato a l’Estaque villaggio alla periferia di una Marsiglia vissuta e quotidiana, La gazza ladra è un piccolo gioiello nel solco del miglior Guédiguian, sorta di malinconica commedia sociale dotata di una leggerezza narrativa che sorprende. Un film corale, dal cuore grande, in cui le difficoltà della vita non vengono negate, ma attraversate con un’ironia gentile e una straordinaria umanità. Al centro della storia c’è Maria, una donna che lavora come assistente domiciliare e sogna una vita che non riesce a permettersi. Di tanto in tanto ruba qualche banconota ai suoi assistiti o abbonda con gli assegni sulla spesa quotidiana: lo fa per concedersi piccoli lussi, come comprarsi delle ostriche. Accanto a lei, in una villa con piscina (sempre vuota) per la quale si sono indebitati, un marito con il vizio del gioco. Poco distante una figlia, madre di un bambino prodigio del pianoforte che la nonna sogna di vedere un giorno suonare sui grandi palcoscenici mondiali e per il quale farebbe di tutto. Una serie di avvenimenti, a cominciare da quello fortuito che apre il film, darà il via ad una girandola di eventi tragicomici che coinvolgerà tutti i personaggi. Il film, che non ha paura di sostenere la leggerezza della narrazione anche quando può apparire inverosimile, è popolato da figure teneramente imperfette, che vivono ai margini della grande Storia e che trovano nella quotidianità il proprio campo di battaglia.
Nessuno è davvero colpevole, ognuno è mosso da un bisogno, da un sogno, da un amore che non sa esprimere. Come sempre in Guédiguian, la narrazione si affida più all’empatia che all’intreccio, ma qui il ritmo è sorprendente, sostenuto da una scrittura brillante e da un senso del racconto che alterna con naturalezza poesia e realismo. Perfino i momenti meno credibili sul piano razionale – gli improvvisi slanci emotivi, le svolte repentine – risultano coerenti, perché ancorati a una sincerità che non chiede il permesso di commuovere. Un altro tassello nel mosaico sociale del cinema del regista, che ritrova il suo cast e i suoi ambienti, per raccontare un’umanità in evoluzione, ancora viva nonostante i cambiamenti della società. Per farlo utilizza un registro semiserio che fa il verso addirittura all’opera di Rossini, citata già dal titolo, calando il tutto in un’atmosfera baciata dal sole della Francia alla quale è impossibile resistere. E poi c’è la scena in cui uno dei protagonisti cita il poemetto «La povera gente» di Victor Hugo, che era già alla base de «Le nevi del Kilimanjaro». Un frammento letterario che non suona affettato, ma necessario: un richiamo alla dignità degli umili, alla forza delle cose semplici, alla giustizia sociale. È in quel momento che il film svela il suo cuore profondo. Una carezza malinconica, divertente, autentica.
STREAMING – PERLE DA RECUPERARE
MADAGASCAR
DISPONIBILE SU AMAZON PRIME VIDEO
(USA 2005, 86 min.) Regia di Eric Darnell e Tom McGrath, voci originali di Ben Stiller, Chris Rock, David Schwimmer, Jada Pinkett Smith
A vent’anni dalla sua uscita, Madagascar resta un esempio riuscito di animazione giovanilista e scanzonata, pensata per un pubblico più smaliziato del semplice target infantile, senza mai perdere il legame con il film per famiglie. Merito dello stile DreamWorks: ritmo forsennato, umorismo a metà tra slapstick e battute verbali, ma soprattutto personaggi costruiti su misura per i doppiatori originali. Alex il leone è narcisista come Ben Stiller, Marty la zebra ha l’energia incontenibile di Chris Rock, Melman la giraffa incarna le nevrosi di David Schwimmer, e Gloria l’ippopotamo sfoggia l’ironia tagliente di Jada Pinkett Smith.
La storia è divertente e intelligente: quattro animali dello zoo di New York, viziati e coccolati, finiscono per sbaglio in Madagascar, quando la nave che doveva condurli ad una riserva in Kenya, dopo un maldestro tentativo di fuga dallo zoo da parte di Marty, viene dirottata da un gruppo di pinguini ribelli. Sull’isola i quattro non trovano l’Africa da cartolina sognata dalla zebra, ma un ecosistema insolito e selvaggio, popolato da lemuri spiritati e dai famelici fossa. Riusciranno ad adattarsi? E come farà il leone Alex a tenere a bada i propri istinti carnivori, che prima non avevano mai coinvolto i suoi amici? Tema centrale del film è l’inadeguatezza: tra chi sogna la libertà e non sa cosa farne (Marty), chi è dipendente dal sistema civilizzato (Alex), chi non sa nemmeno come definire il proprio ruolo. In questo senso, la celebre sequenza di Alex predatore sulle note di What a Wonderful World è meno decorativa di quanto sembri: il contrasto tra musica e azione restituisce con efficacia lo straniamento emotivo del personaggio.
A brillare, poi, sono i pinguini: comicamente marziali, parodici, imprevedibili. Un’idea talmente riuscita da diventare un brand nel brand, con serie e film spin-off al seguito. Visivamente, Madagascar rifiuta la moda di inizio anni 2000 che puntava al morbido e al verosimile: le forme sono stilizzate, tagliate con decisione, a tratti quasi geometriche, con un’estetica che guarda più ai cartoni Warner degli anni Cinquanta che alla CGI contemporanea. Una scelta coerente con il tono del racconto, che rende il film ancora oggi graficamente riconoscibile
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