l'editoriale

lunedì 20 Ottobre, 2025

La lezione incompresa di Draghi

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L’unità europea è necessaria perché i settori economici e le tecnologie strategiche che determineranno competitività, sicurezza e ricchezza in futuro sono caratterizzati da economie di scala e rete. Questo richiede di sfruttare la ‘scala’ dell’Ue attraverso l’integrazione reale di mercati, politiche e finanziamenti.

Il 16 settembre Mario Draghi è stato invitato a Bruxelles dalla Presidente della Commissione europea per discutere sui progressi fatti a un anno dalla pubblicazione del suo rapporto sulla competitività europea. Draghi ha offerto una lettura delle sfide più urgenti per l’Unione e una disamina minuta degli ambiti di intervento prioritari.

Due i moniti di carattere generale più rilevanti.

Il primo è che rilanciare la competitività europea nel mondo è una conditio sine qua non per sostenere il tenore di vita e i diritti acquisiti di una popolazione che invecchia, per raggiungere la decarbonizzazione e per garantire la sicurezza e l’autonomia dell’Ue. Trovare le risorse necessarie nel settore pubblico non sarà possibile se l’economia non crescerà e se non si mobiliteranno finanziamenti privati. Senza crescita sarà necessario rinunciare a qualche cosa a cui teniamo molto.

Il secondo monito è duplice. Da un lato, le istituzioni dell’Unione devono muoversi più velocemente, superando processi bizantini e inerzia politica. Dall’altro, ciascuno degli Stati membri deve contribuire a realizzare delle politiche realmente congiunte per sfruttare la grande dimensione del mercato unico, evitando di frammentare le iniziative europee al fine di favorire il proprio Paese.

Questo secondo monito non deve essere superficialmente riassunto in un “non perdete tempo e siate più uniti”. Draghi non muove infatti da una valutazione politica sulla desiderabilità di maggior efficienza e unità in Europa. Il suo giudizio si basa su una valutazione tecnica della situazione economica. L’urgenza che invoca deriva dal fatto che in certi ambiti tecnologici, per esempio l’intelligenza artificiale e i semiconduttori, chi arriva prima può detenere un vantaggio per molto tempo e dettare le regole. L’unità europea, invece, è necessaria perché i settori economici e le tecnologie strategiche che determineranno competitività, sicurezza e ricchezza in futuro sono caratterizzati da economie di scala e rete. Questo richiede di sfruttare la ‘scala’ dell’Ue attraverso l’integrazione reale di mercati, politiche e finanziamenti.

Due esempi (traduzioni mie dal suo discorso) aiutano a capire meglio la centralità del concetto di scala. Il primo riguarda gli Importanti Progetti di Interesse Comune Europeo, ovvero i progetti transfrontalieri per sostenere consorzi di imprese impegnate nello sviluppo di tecnologie critiche. “Prendiamo l’IPCEI sui semiconduttori approvato nel 2023. Esso mobilita 8 miliardi di euro di finanziamenti pubblici, distribuiti tra 14 Stati membri, 68 progetti e 56 aziende. […] Il giapponese Rapidus adotta un approccio diverso. Creato nel 2022, convoglia 12 miliardi di dollari di sostegno pubblico [..] in un unico leader su larga scala nel settore dei chip avanzati. Si concentra su un obiettivo chiaro, sostenuto da grandi aziende. […] L’Europa dovrebbe imparare da questo modello concentrato ed estenderlo ad altre tecnologie avanzate, combinando investimenti pubblici e privati per innovazioni dirompenti e progetti industriali su larga scala.

 

Il secondo riguarda la proposta di riservare negli appalti pubblici una quota per i produttori europei.Il successo dipenderà dall’armonizzazione tra gli Stati membri. Senza di essa, gli appalti pubblici, come gli aiuti di Stato, rischiano di scivolare nel protezionismo nazionale e di non riuscire a raggiungere una scala adeguata.”

Le implicazioni della centralità della scala sono drastiche.

L’auspicato finanziamento comune delle politiche industriali non servirebbe se le misure degli Stati continuassero a proteggere i singoli interessi nazionali.L’emissione congiunta [di debito, ndr] non amplierebbe magicamente lo spazio fiscale. Tuttavia, consentirebbe all’Europa di finanziare progetti più ambiziosi in settori che aumentano la produttività – innovazioni rivoluzionarie, tecnologie su larga scala, ricerca e sviluppo nel campo della difesa o reti energetiche – dove la frammentazione della spesa nazionale non è più in grado di garantire risultati.” Senza unità gli eurobond non servirebbero a crescere.

Le risorse pubbliche non dovrebbero essere disseminate su imprese in difficoltà e settori maturi, ma concentrate su “investimenti diretti in poche grandi iniziative strategiche nel campo delle tecnologie avanzate”.

La regolamentazione dei dati, la politica energetica, quella ambientale e quella di concorrenza dovrebbero essere riviste per favorire progetti industriali di larga scala, anche a scapito della concorrenza intra-Ue. “L’Europa rimane invece divisa tra molteplici campioni nazionali e basi industriali sovrapposte.

Anche se queste indicazioni riguardano un limitato numero di settori e tecnologie strategiche in cui la scala è importante, l’implementazione delle ricette di Draghi non può che condurre a un consolidamento industriale e finanziario, alla rimozione degli ostacoli all’integrazione in tutti i settori, a una revisione delle politiche europee e a una ridefinizione delle risorse nel bilancio pluriennale dell’Ue 2028-34.

Date le grandi conseguenze redistributive di questi cambiamenti, mi aspettavo commenti politici con sfumature assai diverse. Per esempio, pensavo avrei letto di qualche preoccupazione (auto-interessata) delle imprese nei settori tradizionali (recentemente lusingate dal ‘ritorno dello Stato’), delle attività anacronisticamente protette dalla competizione europea (specie nei servizi) o dei beneficiari (pubblici e privati) dei fondi strutturali. Invece, l’attenzione è stata principalmente riservata ad altre parti del discorso, accolte con entusiasmo: la proposta di eurobond, le critiche all’eccesso di regolamentazione, le stoccate alla strategia di decarbonizzazione, le preoccupazioni per l’alto costo dell’energia.

E’ possibile che il monito di Draghi sulla necessità di sfruttare la ‘scala’ non sia stato compreso fino in fondo. Questo sarebbe un problema perché l’Italia dovrebbe prepararsi adeguatamente per beneficiare a pieno della trasformazione evocata da Draghi. In certi settori e ambiti (quali per esempio difesa, energia, spazio, IA e cloud, materiali avanzati, microprocessori, salute), ci si dovrà preparare a più frequenti fusioni e acquisizioni, consorzi e partnership pubblico-privato. Oltre a una crescita dimensionale delle imprese in salute. Una sfida per tutti, anche per un territorio avanzato ma di piccole dimensioni come il Trentino.

 

*Professore ordinario di Politica economica alla Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento