Usanze
martedì 6 Dicembre, 2022
di Alberto Folgheraiter
Dicembre era il mese delle nespole. Infatti, quel frutto dimenticato e perduto, era legato ai «portatori di doni». Le nespole si trovavano nel piatto dove la nonna o la mamma lasciavano qualche altro piccolo regalo: due fazzoletti, una matita, una gomma da cancellare. Accadeva mezzo secolo fa o poco più. Poi le tradizioni sono state assorbite dai «riti pagani» dei centri commerciali e dei mercatini di Natale.
In talune valli del Trentino orientale (Fassa, Fiemme, Primiero e Mocheni) si cominciava il 6 dicembre (san Nicolò) e si finiva al 6 gennaio (l’Epifania). In mezzo c’erano. S. Lucia e il Bambinello, poi trasformato in «babbo Natale».
Nel territorio della diocesi di Trento, S. Nicolò è il titolare di quattordici parrocchie: Carano di Fiemme, Carisolo, Castelfondo, Centa S. Nicolò, Chizzola di Ala, Fai della Paganella, Ranzo di Vezzano, Sevignano, Termenago, Terzolas, Terragnolo, Toss di Ton, Ville di Giovo, Vò Sinistro d’Avio.
In val di Fassa, dove il turismo non ha ancora anestetizzato la tradizione, la sera del 5 dicembre va in scena il grandioso spettacolo di S. Nicolò e dei Krampus, i diavoli dell’area tedesca.
I Krampus, con maschere di legno e corna da caproni, precedono l’Angelo, che porta una gerla carica di doni, seguito dal santo Nikolaus. Quest’ultimo interroga i bambini, chiede loro se, nel corso dell’anno, sono stati buoni. In un angolo della stanza, i Krampus urlano e strepitano per spaventare i più piccoli. I quali, invitati da S. Nicolò a inginocchiarsi e a dire orazioni, ricevono i balocchi levati dalla gerla dell’Angelo. Ha scritto l’etnoantropologo Renato Morelli (1998): «Il peregrinare notturno di San Nicolò ha precedenti che risalgono ai miti delle culture germaniche. Un tempo infatti era Odino a cavalcare le notti del solstizio d’inverno per distribuire doni e punizioni ai suoi devoti».
Oggi, da «liturgia della paura e del sollievo», del premio o della punizione, la ricorrenza di S. Nicolò si è fusa e confusa con un globalizzato «Babbo Natale».
Tuttavia, nella maggior parte dei paesi del Trentino l’appuntamento con i doni è fissato al 13 dicembre: S. Lucia. Il tempo dell’attesa durava un anno intero perché non c’erano altre occasioni da regalo. Nemmeno al compleanno.
Per Trento, il 13 dicembre era il giorno della fiera. Non si sa quando cominciò il mercato cittadino. Già nei primi decenni dell’Ottocento è documentata un’esposizione di «banchetti» nelle vie attorno alla chiesa di S. Pietro nella quale c’è una statua della patrona dei ciechi.
Nel 1828 l’imperial Regio Capitanato del Circolo di Trento sollecitò il Magistrato politico economico della città (l’attuale sindaco) «a toglimento di sussurri e schiassi molesti ai pacifici cittadini, che il giorno 12 [dicembre] destinato per la fiera di S. Lucia la medesima debba cessare, rispettivamente ai banchetti, all’Ave Maria [alle 18] in modo che nissun proprietario di banchetti possa far uso del lume». L’anno seguente (1829) la fiera di S. Lucia si tenne il lunedì 14 dicembre poiché «secondo le sovrane disposizioni [erano] proibite fiere e mercati nei giorni festivi». Quell’anno, la fiera sarebbe caduta di domenica. La fiera di S. Lucia, a Trento, cominciava di solito la mattina del 12 dicembre. Le bancarelle occupavano tutto il centro storico. Un tempo, per la fiera, dalla Val di Cembra e dal Pianetano arrivano i venditori di oggetti di legno. Le donne di Albiano scendevano in città portando al collo lunghe collane di marroni infilati in uno spago («le sfilze de castègne») che vendevano come prodotto tradizionale. Le donne di Albiano incitavano l’acquisto gridando «Castègne, castègne bòne de Albiàn; prevaléven (approfittatene) chè l’è le pu bòne». La sera del 12 dicembre, i piccoli mettevano sul davanzale un piatto (el piatèl) con farina gialla e un pugno di sale per l’asinello di S. Lucia. L’indomani avrebbero trovato: un paio di calzettoni o di babbucce di lana, alcune carrube, un quaderno, due matite, le nespole, un grappolo d’uva rinsecchita, noci, castagne.