L'editoriale

domenica 22 Ottobre, 2023

Il primato conteso e gli equilibri

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Nella chiusura della campagna elettorale di Lega e di FdI c’è uno dei leit motiv che ha attraversato la campagna elettorale. Ossia il primato nel voto che sarà forgiato nelle urne oggi che, evidentemente, il centrodestra (autonomista) ritiene essere il cuore della partita

«Saremo il primo partito». Nella chiusura della campagna elettorale della Lega (per voce del vicepremier Salvini) e di Fratelli d’Italia (per voce del commissario Urzì) c’è uno dei leit motiv che ha attraversato questa campagna elettorale. Ossia il primato nel voto che sarà forgiato nelle urne oggi dagli elettori e dalle elettrici che, evidentemente, il centrodestra (autonomista) ritiene essere il cuore della partita. Non c’è dubbio che la campagna elettorale sia stata alimentata molto da questo dualismo interno e dalla scelta del presidente uscente, Maurizio Fugatti, di eludere il confronto pubblico, disinnescando la polarizzazione del dibattito su due o tre proposte e garantendosi uno spazio di azione superiore nella base sociale.

Il centrosinistra (autonomista) e soprattutto il suo primo rappresentante, Francesco Valduga, hanno preferito allo scontro acuto – un’altra modalità di radicalizzazione del dibattito – una narrazione ragionata, immaginando che fosse il modo opportuno per proporre un’uscita ordinata dal quinquennio a trazione leghista. Il popolo (trentino) è sovrano e si esprimerà. Nell’affluenza troveremo già un’indicazione del traino politico delle proposte formulate. Il passaggio di quinquennio in quinquennio non è stato confortante e la partecipazione si è vaporizzata con il dissolversi del sistema politico e partitico. Nel 1993 votava ancora l’87,03% degli aventi diritto (nel 1973 il 91,9%) che sono scesi al 62,82% nel 2013 e risaliti lievemente (64,05%) nel 2018. Sotto una certa soglia il rischio è la delegittimazione politica, l’erosione silenziosa e indifferente delle istituzioni.

Tornando alle sfide politiche, il centrodestra cerca conferma in un quadro di valori assai mutato. Fratelli d’Italia ha provato la vertigine della primazia nazionale e del governo (lato Palazzo Chigi) e acceso la competizione con la Lega. Dalla quale è divisa dai numeri e dagli argomenti. I mesi di tensione sulla riconferma di Fugatti hanno annullato anche i rapporti: nessuna uscita pubblica insieme nella campagna elettorale, nessuna chiusura condivisa tanto che anche la presidente del Consiglio Meloni nel suo videomessaggio si è limitata a sponsorizzare il voto per FdI. Ecco perché l’esito delle urne, in caso di successo (il centrodestra è sempre stato avanti nei sondaggi), è essenziale per stabilire le nuove gerarchie e le rotte della continuità/discontinuità. La Lega sa di non poter arrivare al consenso del 2018 (27,09%, 69.116 voti) ma conta di compattare intorno alla sua linea i tre partiti territoriali (Patt, La Civica e lista Fugatti guidata dall’assessore Spinelli) e Forza Italia. Il vicepremier e segretario del Carroccio, Matteo Salvini, ha girato il territorio in modo meticoloso, dedicando giornate intere a questo voto. Il che ne lascia anche trasparire il rilievo politico perché la Lega non può accettare di perdere né, soprattutto, di lasciare un ampio divario tra sé e Fratelli d’Italia. A pochi mesi dal voto delle Europee sarebbe la spia di un insuccesso. Per Fugatti e le forze «lealiste» non è indifferente nemmeno chi sarà eletto di Fratelli d’Italia. Il carro fiorente dei meloniani si è riempito di candidature eterogenee, alcune più vicine al governatore che all’ortodossia della destra storica.
L’obiettivo di coalizione (dichiarato) è di veleggiare oltre il 40% (46,7% cinque anni fa) perché un risultato inferiore avrebbe il senso di una mezza bocciatura e non garantirebbe i 21 consiglieri per controllare il Consiglio provinciale. Fratelli d’Italia gioca sulle contraddizioni: continuità di governo, discontinuità tematica su sanità, scuola, università, grandi carnivori. Deve essere il primo partito per non rimanere accerchiata nell’alleanza e per imporre parte dell’agenda politica. Avrà, dalla sua, l’ascendente di Giorgia Meloni (nel 2018 fu lo stesso per la Lega sospinta da Salvini, all’apice della sua popolarità).

Nel centrodestra si colloca anche uno degli altri elementi d’interesse del voto. Quello relativo al mondo autonomista e al Patt che, dopo l’avventura solitaria del 2018 con Ugo Rossi e il sostegno al centrosinistra e Franco Ianeselli su Trento, ha completato la sua transizione. È evidente che un exploit darebbe sostanza alla scelta e la cementerebbe anche in vista di futuri passaggi elettorali.
Il centrosinistra, dopo cinque anni di opposizione complicata (soprattutto durante il Covid), si affida all’ex sindaco di Rovereto, Francesco Valduga, per provare a risalire la china. Il quale ha svolto un lavoro carsico, lontano dai diagrammi della politica odierna e proprio per questo non da tutti condiviso. Il tema è se basterà a recuperare il consenso degli indecisi e degli astenuti che possono cambiare la struttura del voto o a far smottare il consenso di un avversario che unisce le sue caratteristiche al vento nazionale. Nella ricostruzione di una proposta politica dopo le macerie del 2018 ci sono almeno tre elementi potenzialmente interessanti: il consenso del Partito democratico che potrebbe anche competere per il primato dei voti; la ricostruzione di un’area popolare e riformista andata dissolta dopo la Margherita (quindi Campobase e il riformismo di Azione e Italia Viva, seppure inspiegabilmente divisi); il tentativo molto complesso di allestire un campo autonomista alternativo (Casa Autonomia.eu) con i consiglieri uscenti ex Patt, Paola Demagri e Michele Dallapiccola. A ciò si aggiunge la sfida in equilibro in valle di Fassa dove Fascegn contende il seggio a Fassa (posizionato nel centrodestra).

Fuori dai due blocchi si muovono le alternative di sistema. Sergio Divina (Alleanza per il Trentino) da mentore di Fugatti si propone come suo archivista, per riuscirci deve penetrare nell’elettorato leghista e muovere gli scontenti del centrodestra. Operazione non semplice. Filippo Degasperi (Onda popolare) e Alex Marini (Movimento 5 stelle), due consiglieri provinciali tra i più attivi anche nel denunciare le disfunzioni del modello Trentino, correranno divisi dopo essere stati eletti insieme sotto le insegne del M5s (7,2%) nel 2018. Presidiano un’area di critica, delusa che in provincia continua ad avere una sua densità, si rivolgono in parte allo stesso elettorato ed entrambi hanno buone chance di conferma. Rispetto al M5s il centrosinistra ha rinunciato ad ogni velleità di alleanza e sarà un ulteriore dato di analisi. Marco Rizzo (Democrazia sovrana e popolare) si muove in un’area grigia (e a volte nera) che parte dall’ortodossia comunista (i «cossuttiani» in Italia) e si spinge a interpretare le nuove aree di dissenso radicale (no vax, no grandi opere, sovranismo) che hanno connotazioni politiche diverse. È un po’ il popolo di riferimento di Elena Dardo (Alternativa) che per riuscire nell’impresa dovrebbe inserirsi tra l’elettorato pentastellato e quello di Rizzo.
Lunedì, con l’avvio dello spoglio, scopriremo la nuova mappa politica dell’Autonomia: votare rimane sempre l’unico strumento per partecipare alla sua stesura.