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giovedì 14 Agosto, 2025
Il mito della perfezione e il senso di inadeguatezza, l’esperta: «Smettiamo di vivere per un voto, una medaglia, un like»
di Stefania Santoni
La counsellor Beatrice Monticelli: «Viviamo in una società della performance. Arriviamo a un traguardo e, invece di potercelo godere, subito ne spunta un altro. Possiamo dirci: “oggi va bene così”, anche se non siamo al massimo»

Care ragazze, cari ragazzi, a volte capita: stiamo bene, eppure dentro di noi c’è una vocina che sussurra «non basta». Può succedere dopo un voto buono ma non «perfetto», guardando foto sui social o paragonandoci a chi sembra avere sempre la vita in ordine. È quella sensazione che ci fa stringere le spalle, abbassare lo sguardo e pensare di non essere “abbastanza”. In una società che premia solo la parte brillante e vincente di noi, imparare a dare spazio anche alle fragilità diventa un atto di coraggio. In questa puntata di «PsicoT», ne abbiamo parlato con Beatrice Monticelli, counsellor esperta di emozioni e apprendimento in natura, per capire come nasce la vergogna e come possiamo trasformarla in una compagna meno ingombrante e più utile nel nostro percorso di crescita.
Beatrice, viviamo in un mondo dove sembra che dobbiamo sempre fare bene, essere forti, brillanti. Cosa succede dentro di noi quando ci sentiamo «sbagliati» rispetto a queste aspettative? È lì che nasce la vergogna?
«Sì, esattamente. La vergogna è quell’emozione che si accende dentro di noi quando iniziamo a pensare: “chi sono, come sono, non va bene”. È diversa dal semplice imbarazzo: è più intensa, più invadente e può farci sentire piccoli e inadeguati. Alla base c’è quasi sempre la sensazione di non essere all’altezza di un’idea o di uno standard. Viviamo in quella che molti definiscono “società della performance”: un ambiente in cui sembra che ci siano sempre nuove asticelle da raggiungere. Arriviamo a un traguardo e, invece di potercelo godere, subito ne spunta un altro, più alto, più impegnativo. Questo meccanismo ci porta a vivere in una costante pressione e a percepirci come “mai abbastanza”».
Molte persone, soprattutto giovani, si vergognano di mostrarsi fragili o di dire che stanno male. Da dove viene questa vergogna e come si può iniziare a scioglierla?
«Siamo immersi in quella che potremmo chiamare “società della dimostrazione”: viviamo in un flusso continuo di immagini e racconti che mostrano solo il lato bello delle cose. Sui social, ad esempio, vediamo corpi perfetti, sorrisi smaglianti, viaggi incredibili, frasi motivazionali. Tutto sembra scintillante e quando guardiamo la nostra vita reale — fatta di momenti di stanchezza, rabbia, tristezza o confusione — ci sembra di essere fuori posto. Il disagio, se compare, viene spesso nascosto perché temiamo di essere giudicati, esclusi o non approvati. Il punto di partenza per sciogliere questa vergogna è creare spazi sicuri: amici, amiche, gruppi o persone di fiducia che sappiano accoglierci senza pretese, anche nei nostri momenti no. Poi serve un atto di coraggio: iniziare a condividere — anche solo un pezzetto — di come stiamo veramente. Può fare paura, certo, ma è proprio nell’aprirci che troviamo supporto e scopriamo di non essere soli. Possiamo dirci: “oggi va bene così”, anche se non siamo al massimo».
Nel mondo della società della performance, dove tutto è valutato e mostrato (sui social, a scuola, ovunque), come possiamo proteggerci dall’idea che valiamo solo se otteniamo ottimi risultati?
«La chiave è cambiare prospettiva: non fissarsi solo sul traguardo, ma dare valore a tutto quello che accade durante il percorso. Chiediamoci: “Cosa voglio portarmi a casa da questo percorso, indipendentemente da come andrà?”. In questo modo, anche se il risultato non sarà perfetto o diverso da quello sperato, avremo comunque guadagnato qualcosa di importante per noi. Questo ci aiuta a trasformare l’idea di fallimento in apprendimento. E ci permette di costruire aspettative nostre, interne, e non solo quelle che la società, la scuola o gli altri vogliono imporci. In pratica, smettiamo di vivere solo per un voto, una medaglia, un numero di like, e iniziamo a vivere per ciò che sentiamo di voler diventare».