Il film

martedì 29 Agosto, 2023

I boschi della Vallarsa al festival di Venezia con «Nina dei lupi»

di

il film di ambientazione fantasy è stato realizzato con il supporto delle Trentino Film Commission dal regista Antonio Pisu: «Al centro della storia, post apocalittica, c'è un piccolo paese montano. Ecco, quel luogo, così come le zone boschive in cui Nina si muove, calzavano perfettamente con gli ambienti naturali del Trentino»

È uno dei due film sostenuti dalla Trentino Film Commission che saranno presenti alla prossima Mostra del Cinema di Venezia, al Lido dal 30 agosto al 9 settembre, Nina dei lupi di Antonio Pisu, prodotto e distribuito da Genoma Films. Accanto a Lubo di Giorgio Diritti, che gareggerà nel Concorso, il lungometraggio di fantascienza distopica, tratto dal romanzo di Alessandro Bertante, vedrà quindi una proiezione speciale alle Giornate degli Autori, mercoledì, per poi uscire nelle sale di tutta Italia il giorno successivo. Da questo spaccato del nostro territorio sul grande schermo, si avvia la conversazione con il regista nato a Carrara.
Partiamo dall’inizio. Come nasce il film e come arriva a lei?
«Nasce proprio dalla mia lettura del libro di Bertante, di cui mi sono innamorato all’istante. Da lì, è cominciato il lavoro di scrittura della sceneggiatura, e poi, a seguire, tutti i vari passaggi. Si tratta di un film tecnicamente complicato per una piccola casa di distribuzione indipendente come Genoma, pertanto dall’idea alla realizzazione sono passati tre anni».
L’ambientazione è per gran parte legata al Trentino, dove avete girato per sette settimane tra Ala e la Vallarsa. Perché la scelta di questa location?
«Al centro della vicenda c’è una tempesta solare che pone fine al mondo come lo conosciamo, facendo smettere di funzionare qualsiasi tecnologia. È l’avvio di una serie di barbarie, fatta eccezione per un piccolo paese montano che si isola e si auto-sostenta. Ecco, quel luogo, così come le zone boschive in cui Nina si muove, calzavano perfettamente con gli ambienti naturali del Trentino».
Ma «Nina dei lupi» ha avuto da Trentino Film Commission anche il riconoscimento di Green Film. Ci spiega meglio?
«Si tratta di una serie di protocolli ambientali da rispettare nel corso della realizzazione del film, come ad esempio l’assenza di plastica sul set, l’uso di auto elettriche negli spostamenti, ecc».
Perché cimentarsi con un genere così poco presente in Italia come la fantascienza?
«In realtà il distopismo voluto dalla trama limita molto la presenza di tecnologie, rendendola una fantascienza “particolare”, anche se ci sono comunque degli effetti speciali, dovuti a poteri di Nina. La scelta di questo genere viene puramente dalla mia passione, o forse dal fatto che mi piace indagare gli esseri umani in condizioni estreme, poiché trovo che solo così si comportino come realmente sono».
Potremmo pensarlo un filo conduttore della sua produzione?
«Non ci avevo mai pensato! Il mio primo film (Nobili bugie, ndr) era una commedia in tempo di guerra, il secondo (Est – Dittatura Last Minute, ndr) una storia vera legata alla dittatura in Romania, quindi generi e linguaggi sono molto diversi tra loro. Però sì, credo che inconsciamente ci sia questo legame».
Tre film, tre volte a Venezia. Speranze e aspettative?
«Sono felicissimo di tornare, ma per me il Festival non è che un trampolino di lancio. L’unica vera speranza che ho è che venga visto e apprezzato dal pubblico».
Farà poi altri festival?
«Sicuramente. Est ne ha girati moltissimi, vincendone 25. Mi piacerebbe gli toccasse la stessa sorte».
Figlio d’arte, nel cinema ha fatto e fa di tutto – l’attore, lo sceneggiatore, il regista -. Qual è la dimensione che sente più sua?
«Indubbiamente la scrittura, perché mi permette di fare ciò che voglio, di immaginare, di sognare. Realizzare un film come regista è forse la massima espressione artistica perché si crea qualcosa che prima non esisteva, ma è anche faticoso, è un processo che sottostà a tempi precisi. Scrivere invece è purezza, è tempo con se stessi, è libertà di cambiare, riflettere, stravolgere».
Cresciuto col cinema, quando ha capito che sarebbe stato la Sua vita?
«Quando ho capito che non me ne fregava niente di nient’altro, che mi sentivo un pesce fuor d’acqua in tutto ciò che non è il mondo artistico».
Crede di avere dei maestri? In «Nina dei lupi» ci sono ispirazioni precise?
«Questo lavoro è fatto di “copiare”, di guardare, non solo film ma anche molto backstage. Non saprei nominare qualcuno in particolare. Però sì, per il film ho avuto delle reference precise: “The Road” di John Hillcoat con Viggo Mortensen e “I figli degli uomini” di Alfonso Cuarón. Non sono riferimenti registici però, bensì di fotografia, di costumi».