L'intervista

martedì 5 Settembre, 2023

Diodato, la sua musica e il suo mondo: «Le emozioni? I concerti. La felicità è condivisione»

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Oggi il live a Torbole nel Parco pavese. «Come repertorio porteremo tutti i brani più noti ma anche quelli meno conosciuti, cercando di dare una visione completa del mio percorso»

Elegante, introspettivo, a tratti poetico. Senza però rinchiudersi in una bolla, anzi, mostrandosi consapevole di come fondamento della musica sia l’incontro tra anime diverse. Cita Baudelaire e Christopher McCandless, noto al pubblico per la trasposizione del suo personaggio nel film «Into The wild». «La felicità è reale solo se condivisa», dice. «Condivisione» è la parola che ripete più volte, come fosse un mantra. Parla di concerti, di scrittura, di cinema. Antonio Diodato è arrivato alla piena maturità artistica e racconta sé stesso nell’album «Così speciale», uscito lo scorso 24 marzo. Si tratta di una raccolta di dieci brani che si muovono tra la riflessione interiore e l’attenzione per la coralità, evidente nelle sezioni orchestrali ma soprattutto nel sound da band, ricercato in tutto il disco. L’album dà il titolo anche al tour estivo del cantautore, che stasera farà tappa sul Garda trentino. Il concerto di Diodato si terrà alle 21 al Parco pavese di Torbole, a chiusura della rassegna Musica Torbole 2023. Accanto al nuovo album, il cantante eseguirà i suoi più grandi successi da «Fai rumore», canzone vincitrice del festival di Sanremo 2020, a «Che vita Meravigliosa», brano incluso nella colonna sonora del film «La dea fortuna» di Ferzan Ozpetek, che gli è valso, tra gli altri premi, la vittoria del David di Donatello come miglior canzone originale.
Diodato, sono passati quasi dieci anni da «E forse sono pazzo», suo primo album. Si aspettava che sarebbe arrivato dov’è oggi?
«Non so bene nemmeno io dove sono arrivato (ride). Posso affermare, però che è stato un viaggio continuo sin dall’inizio, a volte moto tempestoso, a volte quiete piacevole. Ho sempre sperato che la musica diventasse parte del mio vissuto. Sono felice di incontrarne sempre di più sul mio cammino. Mi offre una dimensione di collettività che per me è vitale. Mi ha aiutato ad uscire da un isolamento anche un po’ emotivo in cui mi ero ritrovato».
L’essere stato, anche se in poche occasioni, autore di brani anche per altri interpreti oltre che per sé stesso, l’ha aiutata a mettersi meglio a fuoco come artista?
«Ho scritto poco per altri, anche perché mi sono concentrato su me stesso e sull’approfondire con la musica il rapporto col mio essere. Però allo stesso tempo, è stato molto importante scrivere per altri. Mi ha dato la possibilità di mostrare qualcosa di mio che forse non sarei riuscito a collocare nei miei album, una maggiore spensieratezza, leggerezza. C’è anche una dimensione di gioco di ruolo. Serve mettersi nei panni dell’altro, quasi come se si usasse un punto di vista esterno».
Lei ha scritto il brano «Che vita meravigliosa» per la soundtrack del film «La dea Fortuna» di Ferzan Ozpetek e ora si ripete con la canzone «Se mi vuoi», pensata per Diabolik de Manetti Bros. È un gioco di ruolo anche scrivere per il cinema?
«Assolutamente sì. Il cinema consente di provare nostalgia per qualcosa che non si è mai vissuto. È un’altra grande passione che ha influenzato molto la mia arte e la materia che tocco con i miei testi. Scrivere per il mondo del cinema è stato un esercizio molto importante che mi ha concesso di unire queste due passioni e di mettermi ulteriormente nei panni altrui».
Qual è stata l’emozione più grande della sua carriera fin qui?
«È difficilissimo scegliere un momento. Ci sono state tante emozioni diverse. Le più intense, credo me le diano palchi e concerti, in cui posso sentire la connessione con il pubblico».
Anche più di Sanremo ed Eurovision?
«Anche queste rientrano nel novero. L’Eurovision è stato un momento speciale. Nel momento in cui ho sentito il pubblico cantare con me il ritornello ho avuto i brividi. Le cose migliori che ricordo di quei momenti, anche rispetto a Sanremo, sono i tanti messaggi che ho ricevuto da persone che mi vogliono bene e dicevano non tanto ce l’hai fatta ma ce l’abbiamo fatta, come se fosse una vittoria collettiva. Insisto molto su questo concetto. La musica mi permette di incontrare altre anime. È come se sentissi qualcosa di compiuto. Credo che la felicità sia davvero tale solo nel momento in cui la condividi con qualcuno. È un modo di guardare la vita che mette al centro la condivisione e la parola noi al posto del tu».
Lei ha molto a cuore anche il fatto che la musica venga suonata da musicisti in carne ed ossa. Vede un ritorno al live negli ultimi anni e a questo tipo di concezione?
«Io lo spero, sono da sempre innamorato della musica live. Amo anche l’elettronica e non mi pongo limiti. Nel momento in cui ci fosse un ritorno forte al suonato sarei felicissimo e accoglierei la cosa con entusiasmo, però. Anche perché questa è la strada che ho scelto. Girare con nove musicisti è una soluzione faticosa sotto tanti punti di vista. Non semplifica, ci sono tanti aspetti da conciliare e tante anime diverse da far dialogare tra loro. Però è anche qui che risiede la bellezza. È la somma di tante emozioni e sensibilità tra loro, un rito che si ripete ogni volta che suoniamo dal vivo».
Quello di Torbole che concerto sarà?
«Un po’ per tutto quello che ho detto, ogni concerto è un’esperienza a sé. Mi faccio molto trasportare dalla location, dal contatto col pubblico e dal momento. Mi piace cambiare anche i miei pezzi in base a questo. A volte sottopongo gli altri musicisti a delle modifiche un po’ brusche e allo stress che queste comportano. Come repertorio porteremo tutti i brani più noti ma anche quelli meno conosciuti, cercando di dare una visione completa del mio percorso e di tutti gli album fino ad oggi».
Ha parlato molto di condivisione ma nel suo ultimo video, quello del brano «Ci vorrebbe un miracolo», è evidente la critica all’alienazione da social network.
«Purtroppo, quello dei social è un filtro che trasforma le cose sotto una luce distorta e crea una barriera tra le persone, invece di unirle. Si vede tutto attraverso questo filtro e spesso si giunge alla mancanza di empatia».