la rubrica
giovedì 11 Settembre, 2025
Dal ritorno di «The Conjuring» agli accordi commerciali che superano l’amore di «Material Love»: cosa vedere al cinema
di Michele Bellio
Tra le perle da recuperare per piccini (ma non solo) «Inside Out» disponibile in streaming su Disney+

THE CONJURING – IL RITO FINALE
(Gran Bretagna/USA 2025, 135 min.) Regia di Michael Chaves, con Vera Farmiga, Patrick Wilson
VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI
Decimo lungometraggio appartenente al cosiddetto «The Conjuring Universe», franchise horror di enorme successo iniziato nel 2013, il film è diretto dal regista che aveva già firmato altri tre titoli della saga. Nel bene e nel male, «The Conjuring – Il rito finale», ha prima di tutto il pregio di aver riportato il pubblico italiano in sala dopo un mese di agosto disastroso dal punto di vista delle presenze. La trama ruota attorno ad un antico specchio, trovato dai coniugi Ed e Lorraine Warren, investigatori del paranormale realmente esistiti, in un negozio di antiquariato dove cercavano di documentare il loro primo caso. Siamo nel 1964 e Lorraine è incinta. Il contatto con la presenza demoniaca nascosta nello specchio quasi le fa perdere la bambina. Ma il debito di sangue va pagato e nel 1986 lo specchio trova il modo di farsi portare nell’umile casa di una numerosa famiglia operaia in un sobborgo della Pennsylvania. Qui iniziano macabri eventi, legati anche a qualcosa avvenuto decenni prima. Inevitabile che prima o dopo i coniugi Warren, con Ed ormai debole di cuore, si rechino sul posto per risolvere la situazione. Ma non hanno calcolato che il demone volesse proprio attirarli lì, e soprattutto voleva che con loro ci fosse la figlia, ormai prossima alle nozze. Abbastanza sconclusionato sotto il profilo narrativo, con alcune buone intuizioni (la presenza di elementi sovrannaturali di disturbo che il demone sfrutta per nascondersi) sviluppate malamente e un plot che appare raffazzonato, il film porta tuttavia a casa il risultato, soffrendo più che altro a causa della durata, a tratti eccessiva. L’intera saga, frutto del genio del produttore James Wan, non ha mai brillato per originalità, anzi, lavora proprio sulla riproposizione e l’accumulo di svariati cliché del genere, ma ormai il meccanismo è talmente oliato che il film sostanzialmente si sostiene da sé, garantendo comunque un paio di spaventi ben assestati ed una messinscena iper professionale. A questo va aggiunto l’affetto che ormai si prova per la coppia di coniugi, la cui componente umana, relazionale e famigliare funge da collante emotivo della saga. Più discutibile la loro parziale riabilitazione professionale tramite i documenti proposti sui titoli di coda. In definitiva: per gli amanti della saga, un sufficiente passatempo senza particolari guizzi (con strizzatine d’occhio tipo: «Ti piacciono le bambole?», «Direi di no»), per gli altri un prodotto lontano dalle ambizioni e dai risultati di titoli ben più radicali, come «Weapons».
MATERIAL LOVE
(Materialists, Finlandia/USA 2025, 116 min.) Regia di Celine Song, con Dakota Johnson, Chris Evans, Pedro Pascal
Nella New York di oggi, Lucy svolge con successo un lavoro molto particolare: aiuta le persone a trovare l’anima gemella. Lo fa tramite un’agenzia di lusso, alla quale single benestanti di ambo i sessi si rivolgono con un elenco di caratteristiche che dovrebbe avere il partner ideale. L’agenzia combina i primi incontri, poi la speranza è che le cose si evolvano ad un livello tale da portare alle nozze. Ma il romanticismo non è esattamente il fulcro della faccenda. L’amore finisce in secondo piano, contano gli stipendi, gli stili di vita, il tipo di ristorante in cui si vuole cenare insieme, la matematica compatibilità di una serie di parametri. Triste? Forse, ma anche innegabilmente contemporaneo. Prendendo di petto un genere che sembrava tramontato, ma forse ha solo bisogno degli sguardi giusti, la regista affronta la commedia romantica calandola in un contesto cinico e superficiale. Incastonato in un’ironica cornice, che mette in scena il primo matrimonio di convenienza ai tempi della preistoria, il film non ha paura di definire le nozze come «un accordo commerciale» e si riferisce ai clienti della protagonista in termini di «valore di mercato», determinato dall’aspetto fisico, dall’età, ma soprattutto dal potenziale economico. In tal senso funziona che la stessa Lucy si trovi ad affrontare la propria situazione relazionale trovandosi combattuta fra due estreme alternative: da una parte l’affascinante milionario Harry, perfetto sotto ogni punto di vista e attratto dalla consapevolezza che Lucy ha delle regole del gioco, dall’altra la vecchia fiamma John, amore mai sopito, ma anche eterno adolescente squattrinato, aspirante attore, ma cameriere per necessità. Come andrà a finire? Davvero ciò che crediamo di desiderare è ciò che può renderci felici? Retto da una cura nella messinscena decisamente superiore alla maggior parte dei prodotti che si muovono in ambiti simili, con un trio di protagonisti di notevole e inaspettata bravura (Evans è ricco di sfumature impensabili), il film è costruito con eleganza, soprattutto nella prima parte, dove dialoghi e situazioni hanno ritmo e divertono (notevole l’inquadratura fissa al ristorante nel dialogo faccia a faccia tra Lucy e Harry). Proseguendo, però, il film sembra non riuscire a mantenere la sana cattiveria che dovrebbe essere il suo elemento distintivo e lo snodo narrativo legato ad una cliente, attorno al quale ruota la storia, per quanto affrontato con sobrietà non riesce ad essere realmente incisivo al punto da rendere credibile l’evoluzione della protagonista. Rimane un prodotto d’intrattenimento in parte più intelligente della media, ma non per questo completamente riuscito. Piccola notazione sociologica: studenti e studentesse in coda in biglietteria hanno più volte involontariamente modificato il titolo del film in «Eternal Love», che tra le nuove generazioni ci sia, dopotutto, ancora spazio per il romanticismo?
ELISA
(Italia/Svizzera 2025, 105 min.) Regia di Leonardo Di Costanzo, con Barbara Ronchi, Roschdy Zem, Valeria Golino
Elisa vive da dieci anni nel penitenziario femminile di Moncaldo, isolato tra i boschi svizzeri. È stata condannata a vent’anni per il brutale omicidio della sorella, della quale ha bruciato il corpo, evitando l’ergastolo solo grazie a una riconosciuta amnesia: da allora sostiene di non ricordare nulla di quanto accaduto. La collaborazione tra l’istituto e l’università la porta a conoscere il professor Alaoui, criminologo francese deciso a scrivere un libro sulle motivazioni dei reati violenti compiuti da persone “insospettabili”. Il loro confronto, diretto e intenso, spinge la donna ad affrontare la propria colpa e a intraprendere un percorso doloroso e complesso. Proseguendo la riflessione sull’ambiente carcerario iniziata con lo splendido «Ariaferma», Di Costanzo lascia le atmosfere geometriche e chiuse del film precedente per seguire la protagonista nei boschi che circondano il penitenziario, trovando un magico equilibrio tra spazi aperti e libertà (auto)negate. Girato in buona parte al Passo della Mendola, in Trentino Alto-Adige, all’interno di storici hotel oggi in disuso, il film vive di un’ambientazione suggestiva (corridoi, infissi scrostati, erbacce sui gradini, tornanti innevati), resa quasi metafisica dalla fotografia di Luca Bigazzi. L’uso straniante della musica, affidata in parte all’Ensemble Corale C. Eccher, rafforza l’immersione nella psiche della protagonista. Sorretto quasi interamente dall’interpretazione maiuscola di Barbara Ronchi, «Elisa» è una grande riflessione sui temi della colpa e della memoria. Il film si apre con un incipit potentissimo, in cui Alaoui pone lo spettatore davanti al piacere di vedere punito un colpevole: da qui parte la riflessione sulla necessità di andare oltre il mostro, per capire ciò che muove una persona a compiere un delitto e verificare se esista ancora qualcosa su cui lavorare per il futuro. Tema difficile, intento nobile, che Di Costanzo mette costantemente in discussione anche attraverso la voce opposta di una madre segnata dal dolore (Valeria Golino). Cinema intelligente, maturo, essenziale: la conferma di un regista tra i migliori oggi in Italia.
STREAMING – PERLE DA RECUPERARE
INSIDE OUT
DISPONIBILE SU DISNEY+
(USA 2015, 94 min.) Regia di Pete Docter e Ronnie del Carmen
Sono passati dieci anni esatti dall’uscita italiana di «Inside Out», il film Pixar che più ha incassato nel nostro Paese, superato soltanto dal suo sequel nel 2024. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes, ha poi conquistato il mondo con oltre 850 milioni di dollari al box office e l’Oscar come miglior film d’animazione. Alla base di un simile trionfo c’è l’equilibrio perfetto tra straordinaria ricerca tecnica (visivamente è tra i titoli più belli dello studio) e potenza narrativa, capace di emozionare e commuovere grandi e piccoli. Il tema è delicato: la gestione delle emozioni, affrontata con una profondità rara al cinema, specie se rivolta alla preadolescenza. Protagonista è Riley, undicenne costretta a trasferirsi in una nuova città, lontana dagli amici e dalle sue abitudini. La sua vita interiore ci viene mostrata dall’interno della mente, dove agiscono cinque entità che incarnano le emozioni: Gioia, Rabbia, Paura, Disgusto e Tristezza. Quest’ultima, incapace di capire il proprio ruolo e ostacolata da Gioia, che non ammette ricordi infelici, finisce per provocare un incidente che la trascina, insieme a Gioia, fuori dalla sala di comando, causando una grave crisi emotiva in Riley. Il viaggio per ritornare al centro della mente porta alla scoperta che anche la tristezza è indispensabile nella formazione del carattere, permettendo alla bambina di crescere e maturare. Una sinfonia visiva di rara poesia, da vedere e rivedere con tutta la famiglia per affrontare, in bilico tra leggerezza e profondità, il tema delle sfide che la vita pone quando si diventa grandi.
cultura
«Pioniere. Le donne che hanno fatto l’Europa» dal Trentino a Roma: la mostra ospite nel Parlamento europeo della capitale
di Redazione
L'esposizione è stata prodotta nel 2024 dal Centro per la Cooperazione Internazionale a partire da un’idea del Comune di Rovereto. Sarà visitabile fino al 22 settembre