l'intervista
lunedì 6 Ottobre, 2025
Cancellieri, il coach motivatore dell’Aquila: «Squadra giovane? È un vantaggio. Il nostro obiettivo è la salvezza»
di Stefano Frigo
L’ex Paok Salonicco: «Mi avevano detto che i trentini sono persone chiuse. Invece, ho trovato grande disponibilità e accoglienza dentro e fuori dal club»

«Siamo pronti, ovviamente abbiamo ancora dei margini di miglioramento notevoli ma questo mese e mezzo di lavoro è stato davvero proficuo sotto tutti i punti di vista».
Massimo Cancellieri, nuovo coach dell’Aquila Basket, è pronto a condurre i suoi ragazzi attraverso una lunga stagione che li vedrà impegnati nella massima serie nazionale e in EuroCup. Di fatto, si giocherà sempre una volta ogni tre giorni per almeno cinque mesi, saranno dunque settimane intense e faticose. Tutti i tifosi bianconeri sperano ovviamente possano risultare anche ricche di soddisfazioni.
Coach cominciamo dalla Supercoppa Italiana andata in scena lo scorso fine settimana al Forum di Assago. Che indicazioni ha tratto dalla sconfitta maturata in semifinale contro Brescia?
«Abbiamo fatto vedere i due volti che al momento ci caratterizzano. Siamo stati in grado di stare bene in campo per più di metà partita, poi ci sono venuti a mancare i giusti equilibri e abbiamo commesso errori che alla fine ci sono costati davvero cari. Credo comunque che siamo usciti dalla competizione a testa alta facendo capire che abbiamo dei grossi margini di miglioramento e delle individualità di livello».
Avete iniziato a lavorare insieme subito dopo ferragosto, come sono trascorsi questi 45 giorni?
«Bene direi, iniziamo con il dire che non abbiamo sofferto particolari problemi fisici e questo, soprattutto in fase di preparazione, è un aspetto assolutamente centrale. I ragazzi si sono dimostrati capaci di ascoltare e immagazzinare, li ho avuti a disposizione quasi tutti sin dall’inizio e anche questo è importante. L’unico ad essere arrivato un po’ dopo è stato Khalif Battle, ma si tratta di un giocatore piuttosto semplice da collocare e la sua disponibilità è stata massima. In sintesi posso dire che siamo esattamente dove avrei voluto essere il giorno del primo allenamento di squadra».
Al di là delle qualità tecniche che tipo di gruppo sta guidando?
«Un gruppo di ragazzi in gamba, positivi e propositivi. Spesso si dice che all’interno di uno spogliatoio qualche testa calda non fa male, tendenzialmente posso essere d’accordo se però il resto dei giocatori è in grado di metabolizzarlo. Non credo molto ai leader che parlano troppo, penso piuttosto che il ruolo di leader la squadra te lo riconosca soprattutto in base a quanto riesci a far vedere sul campo. Quando questo status arriva dall’interno e non viene imposto dall’esterno, magari per il tuo passato più che per il tuo presente, è un valore aggiunto assoluto».
Il suo roster ha un’età media giovane e sostanzialmente neppure troppa esperienza di Serie A e di EuroCup. Come vive questa situazione?
«Come un vantaggio. Quando un contenitore ha grandi spazi tendenzialmente è più semplice da riempire rispetto ad uno già colmo. Questo non significa che sarà semplice farlo né tanto meno automatico ma i buoni presupposti di certo non mancano. Ai ragazzi ho chiesto da subito solidità mentale, i cali di tensione, gli scoramenti anche passeggeri non devono far parte del nostro Dna. Oltre a questo vorrei vedere un basket veloce, di corsa, di ripartenze, di possessi palla rapidi, il concetto di spettacolo è ovviamente personale. Questa però è la pallacanestro in cui credo e che mi piace».
Dal rendimento di due rookie come Dj Steward e Khalif Battle con ogni probabilità dipenderà parecchio della vostra stagione. Come è stato il loro impatto con questo nuovo «mondo»?
«Ovviamente prima di dare una risposta definitiva preferirei vederli all’opera per un certo periodo in sfide ufficiali, allo stesso tempo però posso sicuramente dire che si sono calati benissimo nella dimensione in cui si trovano al momento. Non ho notato particolari difficoltà né tentennamenti, certo avranno bisogno di qualche partita vera per capire tutto al cento per cento, ma nei sei anni che ho guidato Biella ho avuto a che fare con rookie che erano molto più indietro».
Allargando gli orizzonti: che tipo di campionato si aspetta? Qual è la sua griglia di partenza?
«A questa domanda preferirei non rispondere, semplicemente perché ho allenato lontano dall’Italia per quattro anni e non ho sempre seguito con costanza per ovvi motivi di impegni concomitanti. Tutti sanno quali sono le squadre che, per lo meno sulla carta, partono più avanti e quelle che invece probabilmente dovranno affrontare qualche difficoltà in più, ma poi le sorprese, in positivo e in negativo, non mancano mai».
L’obiettivo dichiarato dai dirigenti dell’Aquila sin dal suo arrivo è quello di mantenere la categoria, possibilmente senza troppi patemi d’animo. Anche lei la pensa così?
«Assolutamente sì. Avere una società di questo tipo alle spalle rappresenta un valore aggiunto dalla rilevanza inestimabile che rende Trento davvero un posto speciale. Alzare troppo l’asticella durante l’estate può indirettamente significare non rispettare il lavoro degli altri. Il nostro focus reale dovrà essere la salvezza poi staremo a vedere cosa accadrà».
Chiudiamo con una domanda più personale: il suo ambientamento in città come sta procedendo?
«Bene, vivo qui con mia moglie e mia figlia undicenne. Qualcuno mi aveva detto che i trentini erano tendenzialmente persone chiuse e in tal senso sono stato sorpreso in positivo, ho trovato grande disponibilità e accoglienza dentro e fuori dal club. Sino ad ora i locali che hanno attirato la mia attenzione sono una trattoria di Piedicastello e un’osteria del centro. Ma conto di scoprirne altri quanto prima».
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