Il caso
sabato 15 Novembre, 2025
Alberto Trentini, la mamma denuncia: «Un anno di silenzio e attese. Il governo intervenga davvero»
di Redazione
Armanda Colusso stigmatizza ritardi e scarsi contatti istituzionali sulla detenzione del cooperante in Venezuela: «La pazienza è finita»
Armanda Colusso, madre del cooperante Alberto Trentini detenuto da un anno in Venezuela, ha espresso preoccupazione e insoddisfazione durante un incontro pubblico a Palazzo Marino, a Milano. Davanti ai giornalisti, la donna ha contestato la gestione istituzionale della vicenda, sostenendo che i primi contatti tra il governo italiano e le autorità venezuelane sarebbero arrivati solo diversi mesi dopo l’inizio della detenzione. «Fino ad agosto il nostro governo non aveva avuto alcun contatto col governo venezuelano. Fino ad agosto. E questo dimostra quanto poco si sono spesi per mio figlio», ha dichiarato Colusso, spiegando di ritenere insufficienti le azioni finora messe in campo per la situazione del cooperante.
La madre ha ricordato come, in questi dodici mesi, abbia ricevuto tre telefonate dalla premier Giorgia Meloni e due incontri con il sottosegretario Alfredo Mantovano, con cui afferma di avere un dialogo costante. «In 12 mesi ho avuto tre telefonate dalla premier Giorgia Meloni e ho avuto due incontri con Mantovano con cui c’è costante contatto. Siamo in contatto con l’inviato speciale per gli italiani in Venezuela che è sempre disponibile», ha aggiunto. Secondo Colusso, all’inizio della vicenda alla famiglia sarebbe stato chiesto di mantenere riservatezza per non compromettere la posizione del cooperante.
«Dai rappresentanti del governo, da subito, ci è stato imposto il silenzio per non danneggiare la posizione di mio figlio. Ci siamo fidati e abbiamo operato in silenzio. Ma non potendo continuare a essere ignorati, con il nostro benestare è stata fatta un’interrogazione parlamentare», ha spiegato. La donna afferma ora di avere esaurito la pazienza dopo un anno di attesa senza, a suo giudizio, risultati concreti. «Sono qui dopo 365 giorni a esprimere indignazione. Per Alberto non si è fatto ciò che era doveroso fare. Sono stata troppo paziente ed educata ma ora la pazienza è finita», ha dichiarato.
La sua prigionia «è un’ingiustizia di cui non sappiamo darci pace. Alberto ci è mancato e ci manca ogni giorno», ha aggiunto Armanda Colusso. «Voglio dirvi quanto difficili siano stati questi 12 mesi per me e la mia famiglia. Mio marito non sta bene. Abbiamo vissuto notti insonni a immaginare come sta Alberto, cosa spera, di cosa ha paura. A mio figlio è stato tolto un anno di vita in cui non ha potuto godere dell’affetto della famiglia. Si è perso Natale, Pasqua, il compleanno, fare passeggiate, ascoltare musica, la possibilità di leggere. Ha trovato un paio di occhiali lì perché voleva leggere e cercare di essere tranquillo».
Alberto lavora per la Ong francese Humanity and Inclusion, che aiuta persone disabili, ed è in carcere senza accuse formali: il processo non è mai stato avviato e l’accusa parla solo di una generica «cospirazione». Come ricordano gli organizzatori dell’evento milanese, «ha un’esperienza pluridecennale nel campo della cooperazione internazionale, ha operato in più occasioni in zone di crisi e vari territori del mondo portando le sue competenze». Davvero una vita per gli altri, dunque, e ora è giusto che «gli altri» si mobilitino per salvargli la vita.
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