Giustizia
lunedì 6 Ottobre, 2025
Due colpevoli per lo stesso omicidio (commesso da una sola persona): l’odissea di Monica Busetto a «Le Iene» e la decisione del tribunale di Trento
di Davide Orsato
Il caso è sorprendente e fa ancora discutere. La Corte di appello di Trento a marzo 2024 ha tuttavia rigettato l'istanza di revisione della condanna a Monica Busetto per l'omicidio di Lida Taffi Pamio

È una storia che inizia inizia undici anni fa, nel 2012, in una via di Mestre. E che è transitata anche a Trento per confrontare due condanne per il medesimo omicidio. In una si dice che lei, Monica Busetto, operatrice sanitaria, ha ucciso l’87enne la vicina di casa Lida Taffi Pamio nell’appartamento dove quest’ultima viveva. Movente: un banale furto. Nella seconda che la responsabile del delitto è un’altra donna, rea confessa e che pochi anni dopo ha commesso un delitto simile. Due sentenze, due condanne diverse per lo stesso reato: un’«incompatibilità» che la corte trentina è stata chiamata a dirimere.
La Corte di appello di Trento a marzo 2024 ha tuttavia rigettato l’istanza di revisione della condanna a Monica Busetto per l’omicidio di Lida Taffi Pamio, avvenuto a Mestre il 20 dicembre 2012. Per il delitto Busetto sta scontando 25 anni di carcere, pena stabilita con la sentenza del 2018. Una decisione confermata nel febbraio del 2025 dalla Cassazione ma che non ha spento i fari mediatici su un caso sorprendente, di cui si è occupata nella puntata di domenica 5 ottobre anche la trasmissione de Le Iene.
Il caso ha fatto discutere a lungo, non solo a Venezia e in Veneto, dove è nato, è stato dibattuto in tribunale, con tanto di sentenza (Monica Busetto è in carcere da anni, si trova attualmente nel carcere di Montorio, a Verona), ma anche nel resto d’Italia. Ii motivi sono tanti e hanno hanno a che fare con le indagini condotte, ma anche con una sentenze contro cui si è scagliato un altro giudice, un gup del tribunale di Venezia, definendola errata: caso di per sé molto raro.
La prova regina che incastrerebbe Busetto, ora 61 anni, cinquantenne all’epoca dei fatti è quella del Dna. Com’è noto, una prova difficile da rovesciare. Una quantità modesta del codice genetico della vittima (si parla di tre picogrammi: ovvero, se espresso in grammi, uno zero, seguito da una virgola, seguito da altri undici zeri e quindi a da un tre) è stato trovato su una collanina rinvenuta in casa dell’operatrice sanitaria veneziana. Ma ciò, ed è la tesi della difesa, solo alla terza analisi e solo dopo che la sopraddetta collanina era stata inviata a un laboratorio romano assieme ad altri reperti ritrovati sulla scena del crimine. L’ipotesi: contaminazione.
Si dice che il Dna «non vola né cammina», ma in questo caso, è il sospetto, potrebbe aver viaggiato in un altro modo, per contatto. Ci sono altre stranezze nel caso Busetto. Si è detto che c’è una seconda condannata, rea confessa. Quando è stato individuata lei ha raccontato di aver fatto tutto da sola in entrambi i casi. Il che ha portato a una temporanea scarcerazione di Busetto. Ma poi la versione è cambiata e Busetto è finita di nuovo in carcere, come complice. E in carcere ha scontato quasi un terzo della pena: otto dei venticinque anni che le sono stati comminati. I legali della 61enne veneziana, Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, sono riusciti a ottenere la revisione del processo.
Il fondamento è semplice: «Lo stesso delitto viene attribuito a due persone diverse». E proprio perché la questione sottoposta alla corte sarà di questa natura, c’è la possibilità che il pronunciamento sia rapido: se positivo per lei, Busetto potrebbe anche essere rimessa in libertà in tempi rapidi.
Nel corso degli anni, il caso Busetto ha avuto un’ampia risonanza mediatica. Alla veneziana sono stati dedicati lunghi approfondimenti da parte di giornali, parlano di lei podcast e minidocumentari che si possono trovare su Youtube e altre piattaforme. Un libro, «Lo Stato italiano contro Monica Busetto», scritto dal giornalista Massimiliano Cortivo e dal docente di statistica per l’investigazione criminologica Lorenzo Brusattin, analizza in oltre seicento pagine ogni aspetto della controversia giudiziaria. Nella stragrande maggioranza dei casi prevale la tesi innoncentista.
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