L'INTERVISTA
giovedì 25 Settembre, 2025
Il comandante Ederle lascia Trento: «L’esercito in città? Presidio utile, non è militarizzazione. La storia di Papi mi ha segnato»
di Patrizia Rapposelli
Dopo 3 anni di servizio, il colonnello tira le somme: «Non c’è un aumento di criminalità, preoccupa la percezione di insicurezza generale»
«In Trentino la sicurezza è partecipata, la comunità sa fare squadra per tutelare il bene comune, a tutti i livelli. L’esercito in città? Una risorsa aggiuntiva». Da lunedì della prossima settimana, il comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Matteo Ederle, raggiungerà Roma, dove andrà a guidare le scuole del Comando generale occupandosi di quello che riguarda addestramento e formazione. A Trento dal febbraio del 2022, ha imparato ad apprezzare «la vocazione naturale all’aiuto gratuito», i «livelli di vivibilità elevati che vanno preservati e incrementati», e un sentimento comune di «comunanza di intenti di tutti, cittadini e cittadine, istituzioni e associazionismo». Il colonnello Ederle, veronese di nascita e gardenese di adozione, lascia con dispiacere: affezionato a questa terra e alla sua gente, a tutti i carabinieri, le stazioni e le compagnie provinciali con i quali in questi tre anni e mezzo ha lavorato giorno dopo giorno.
Comandante Ederle, le chiedo un bilancio di questi anni.
«Più che positivo. Lascio una terra aperta al dialogo e al confronto. Valori non scontati. In Trentino ruotano tante energie che hanno come obiettivo comune il bene collettivo. Questo elemento è sempre stato uno stimolo per noi dell’Arma. Nel perseguire questo scopo ho sentito la vicinanza della comunità e delle istituzioni. Questo rappresenta un valore prezioso e, proprio perché la qualità della vita è alta c’è una maggiore sensibilità sul tema della sicurezza».
A questo proposito, quale è la situazione sicurezza in Trentino e su quali fronti bisognerà fare attenzione in futuro?
«Per garantire sicurezza occorre scientificità e collaborazione. Non c’è un aumento di criminalità, preoccupa la percezione di insicurezza generale».
Una sensazione alimentata dalla raffica di spaccate dell’ultimo periodo.
«Sì, ma a livello statistico, rispetto ad altri anni, non c’è stato un aumento di furti, piuttosto picchi registrati in alcuni periodi che hanno creato allarmismo. Soprattutto, per le modalità utilizzate».
Ci spieghi.
«I furti sono messi a segno da spregiudicati. Arrivano sul posto, raccolgono un tombino in ghisa e lo scaraventano sulla vetrina. Azioni violente che lasciano segni profondi nella comunità. Per questo motivo, dobbiamo continuare ad adattarci e cambiare strategie per ridurre al minimo queste dinamiche».
Il dibattito pubblico peggiora la percezione di insicurezza o è un’enfatizzazione che non incide sullo stato d’animo della società?
«Se il tema della sicurezza è usato strumentalmente come argomento di scontro politico o in maniera impropria, c’è il rischio di dare una visione sbagliata della realtà. Il rischio è di compromettere la qualità della vita seminando paura senza fare distinzioni oggettive e squalificando il territorio».
L’esercito, l’operazione «Strade sicure», anima il dibattito. Lei cosa ne pensa?
«Il dibattito si fonda su presupposti sbagliati. Detto questo, io sono favorevole: sono osservatori in contatto con le forze dell’ordine che avviseranno e potenzieranno la percezione di sicurezza sul territorio. Non avranno compiti di polizia giudiziaria. L’esercito sarà posto di vigilanza davanti alla stazione e piazza Dante, zone animate che presentano alcune criticità. Poi, in tutta onestà, ogni giorno 40-50 auto di carabinieri, polizia, finanza e polizia locale si muovono in città, cosa cambierebbe con la presenza di una camionetta dell’esercito?».
Uno dei fronti su cui i carabinieri sono maggiormente impegnati è quello della droga. Sono intensi i controlli e i ritrovamenti di sostanze nei parchi cittadini. Come analizza il fenomeno sul territorio?
«C’è una forte preoccupazione rispetto a tale tendenza e l’attenzione rimane alta. Occorre partire dal presupposto che dove è diffusa la droga – prevalentemente hashish, marijuana ma anche cocaina – c’è una comunità che ne ha bisogno. Il consumo è sempre più diffuso e trasversale a ogni generazione, tale da attirare costantemente anche nelle valli personaggi che male si conciliano con la genuinità delle nostre genti. La droga viaggia dappertutto, ma non ci arrendiamo e lavoriamo per arginare il fenomeno».
La sicurezza sulle strade è un altro dei settori su cui i carabinieri impegnano le proprie forze con progetti mirati. Quali sono i risultati raggiunti?
«Quest’anno gli incidenti mortali sulle due ruote sono stati frutto di errori di valutazioni, non legati alla spericolatezza. Le iniziative avviate iniziano a dare buoni risultati. In particolare, il progetto “Due ruote sicure”, avviato già nel 2024 per contrastare la parte patologica del motociclismo che frequenta questo bellissimo territorio».
Altro tema caldo, l’uso smodato di sostanze alcoliche. Come valuta la situazione anche alla luce delle nuove leggi?
«Riferendoci alla guida in stato di ebrezza, l’andamento è più che positivo. Le nuove leggi hanno sicuramente contribuito a creare un grande deterrente. Oggi, le conseguenze in termini economici, quindi pecuniari, ma anche in termini di perdita punti e patente sono importanti. I controlli capillari sul territorio hanno avuto l’effetto sperato. Anche se, negli ultimi dieci anni in questa terra il tutto ha favorito un evoluzione culturale. I conducenti sono più responsabili che bevono prima di mettersi alla guida e questo si riscontra, soprattutto, nei giovani. Lo definirei un successo di natura istituzionale. Siamo soddisfatti».
Quali sono le immagini che le sono rimaste più impresse in questi tre anni e mezzo?
«Ci sono episodi che mi hanno segnato come persona prima ancora che da carabiniere. Quando mi sono messo nei panni di una famiglia che ha subito una perdita violenta, tragica, drammatica complessa di un famigliare. L’episodio di Andrea Papi, rappresenta un precedente per tutti singolare e doloroso. L’altro, quello della Marmolada. Poi, nel nostro lavoro quotidiano affrontiamo mille altri momenti che hanno la stessa gravità e intensità, ma che sono meno noti alla collettività. Anche una madre che si suicida con un bambino in braccio, così come il suicidio di un giovanissimo o l’omicidio in un parco come quello di Iris Setti. Fatti che vanno a caricare il nostro bagaglio di esperienze. Non per questo, però, non proviamo dolore».
Con quale sentimento ci saluta e con quale sentimento intraprende il nuovo incarico?
«Sentimento di nostalgia e consapevolezza. Sarà difficile trovare qualcosa di analogo altrove in termini di sinergia, sentimento popolare, voglia di sostenere un territorio e la sua comunità. Il nuovo che avanza: c’è entusiasmo nell’andare ad affrontare un settore che non ho mai curato. Sono pronto a questa nuova sfida, è stimolante, ma compensa solo in parte il dispiacere di lasciare un posto e un incarico così bello».
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