L'incontro
martedì 23 Settembre, 2025
Sima (palestinese) e Mayan (israeliana) danno l’esempio: «La pace è ancora possibile»
di Vincenzo Acerenza
In Sala della Cooperazione le due donne hanno raccontato l'attività dell'associazione «The Parents Circle», che raccoglie chi ha perso almeno un parente nel conflitto tra Palestina e Israele

Un momento di dialogo in un’era di conflitti. È quel che è successo ieri a Trento, nella Sala inCooperazione, in un incontro che ha visto confrontarsi la palestinese Sima Awaad e l’israeliana Maayan Inon. L’appuntamento, dal titolo «La Pace possibile», ha costituito un primo appuntamento del ciclo di iniziative dell’Happening 2025 ed è stato promosso proprio dal Comitato Happening, dal Centro Culturale Il Mosaico e da varie enti e associazioni cittadine come l’Arcidiocesi, diesse e NoiTrento. Una serata che ha avuto il proposito di cercare una speranza nelle testimonianze di chi è vicino ad un conflitto che in realtà dura da decenni. Entrambe le due protagoniste della serata sono membre dell’Associazione The Parents Circle – Families Forum, associazione che raccoglie chi ha perso almeno un parente nel conflitto tra Palestina e Israele. Per l’occasione numerosi i cittadini che sono accorsi, riempiendo l’intera sala.
Il 7 ottobre
Mayaan ha vivido nella mente il ricordo dell’inizo del genocidio: «La mattina del 7 ottobre, mio padre mi ha scritto parlando di missili e sparatorie, non sapeva di cosa si trattasse. Io ho provato a contattarlo ma il telefono dei miei non prendeva. Da lì il panico, erano solo le 8 del mattino». La storia di Sima, invece, è iniziata molto prima, più di dieci anni fa: «Mio fratello Mamhoud aveva solo diciassette anni. Mia madre ha sentito uno sparo nel nostro paese e subito si è allarmata perché mio fratello non era a casa. Mio fratello. In realtà, in quel momento stava proteggendo una casa dall’esercito israeliano che la stava attaccando e ha ricevuto il colpo di un proiettile. Io avevo solo tre anni e non potevo capire la situazione ma potevo capire la sofferenza che c’era in casa. Da quel giorno abbiamo perso il legame come famiglia, parlavamo dolo di quel giorno che non riuscivamo più a superare. Io non ho altri ricordi d’infanzia di mia madre se non lei che piangeva con i mano i vestiti di mio fratello. Sono cresciuta con quel lutto e ogni volta che mi sento felice ho paura perché non ne sono abituata».
«Imparare a gestire il dolore»
Sia Sima sia Maayan sono state contattate e integrate nell’associazione del Parents Circle dove hanno capito che «tutte le persone vivono il dolore allo stesso modo, non esistono razze. Dobbiamo ricordarci come amare», come ha sottolineato Sima. L’incontro ha costituito anche un occasione per riflettere sulla possibilità di una riconciliazione. «Riconciliarsi richiede la capacità di ascoltare l’altro e capire che anche lui ha dei desideri come noi. Penso che la cosa più importante per fare questo sia capire quanto forte sia il trauma che ogni persona delle nostre zone si porta con sé» ha detto Maayan. «La riconciliazione non è un traguardo ma un processo quotidiano, non finirà fino al nostro ultimo giorno. È una pratica di comunicazione quotidiana e non è una cosa che si impara a scuola, dobbiamo capirlo con la vita quotidiana come si fa. Con l’associazione io e Sima stiamo imparando a conoscere e gestire il dolore tutte assieme. La giustizia può esserci nel mondo reale solo rendendoci conto del dolore delll’altro e cercando di individuare un cammino comune», ha proseguito. «Noi stiamo provando davvero ad ascoltare e a condividere. La nuova generazione deve imparare le regole del come parlare e come ascoltare, come essere gentili con le altre persone» ha aggiunto Sima.
«Vedevo gli israeliani come non umani»
Un percorso lungo e complesso che parte da una perdita di certezze e da un cambio di prospettive, come è emerso ancora dalle parole di Sima. «La prima volta che ho conosciuto degli israeliani per me è stato molto difficile. «Avevo un’altra idea di loro, pensavo che volessero uccidermi, li percepivo come non umani. Ma poi condividendo lavori ed esperienze all’interno del Circle Parents ho capito, io per prima, che i miei pensieri non andavano bene, dovevo rinnovarli», ha raccontato la giovane. «Questa condivisione certo non è facile», ha ammesso Maayan, «il mio corpo si stressava al solo ascolto dell’arabo. Ero arrabbiata e confusa. Non riuscivo a provare compassione per quanto stava succedendo a Gaza. Ci ho messo un bel po’ prima di aprirmi con gli altri familiari delle vittime. Il primo passo? Un incontro con un’altra donna davanti ad un pubblico di donne e bambine di entrambi i paesi. Ho visto negli occhi di quella donna gli stessi sentimenti che provavo io in quel momento».
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