L'anniversario
giovedì 27 Ottobre, 2022
di Tommaso Di Giannantonio
Che sarebbe arrivata una bufera di pioggia e vento, si sapeva. Ma non ci si aspettava un’ondata con un’intensità così distruttiva. A quattro anni dalla tempesta Vaia il ricordo è ancora vivido in chi, quella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2018, si trovò a gestire in prima persona l’emergenza. «Il momento più brutto è stato quando abbiamo dovuto percorrere una strada in mezzo alle piante che ci cadevano addosso: sembrava il braccio della morte», racconta il presidente della Federazione dei vigili del fuoco volontari (Vvf) del Trentino, Tullio Ioppi, allora ispettore distrettuale della val di Fassa, uno dei territori più colpiti dalla furia di Vaia.
Dalla sera fino al primo mattino si registrarono raffiche di vento superiori a 120 chilometri orari, con punte di 190 a passo Manghen. Il bosco (e non solo) ne uscì sconvolto: ventimila ettari rimasero pesantemente lesionati. A terra quattro milioni di metri cubi di legname: in molti casi le piante furono totalmente sradicate. Oltre 360 milioni, invece, i danni a strutture e infrastrutture. E 550 persone furono costrette a lasciare le loro case. Tra queste alcune famiglie di Canazei. «Dove ci fu l’evento più grave per la val di Fassa – ricorda Ioppi – Un torrente di fango invase due abitazioni, in particolare nella frazione di Alba: la colata entrò da una parte ed uscì dall’altra parte delle case». Quando arrivò la segnalazione i vigili del fuoco volontari erano già fuori. «Eravamo stati allertati perché dovevamo tenere sott’occhio il torrente Avisio, che rischiava di esondare», spiega il presidente della Federazione dei Vvf.
In settantadue ore sul Trentino caddero mediamente 275 millimetri di pioggia, un quarto della pioggia che si calcola in media in un intero anno. Durante la tempesta, in particolare lunedì 29 ottobre, morirono anche due persone: Michela Ramponi, geometra di 45 anni, madre di due figlie, fu inghiottita dal fango nella sua casa a Dimaro (val di Sole) dopo l’esondazione del Rio Rotian e Denis Magnani, agricoltore di 34 anni, fu colpito da un fulmine mentre lavorava insieme al padre nel suo capanno a Dardine (val di Non). In quelle ore il panico serpeggiò in quasi tutto il Trentino. «Ci sono stati momenti di grande apprensione – ripercorre Ioppi – Vedere le piante muoversi in quella maniera non fu simpatico. Il rumore, nel silenzio della sera, fu impressionante. Il ricordo peggiore – prosegue – è quando ci siamo trovati a percorrere la strada che porta dall’abitato di Mazzin a quello di Pozza di Fassa in mezzo alle piante che ci cadevano addosso».
Quella notte i centralini delle caserme furono intasati da centinaia di chiamate. In azione quasi quattromila vigili del fuoco, che furono impegnati in circa tremila interventi, di cui 300 per frane e smottamenti. Tra le segnalazioni anche casi di persone che avevano accusato malesseri. «Ci siamo trovati a dover affrontare un paio di casi e siamo riusciti a risolvere percorrendo strade alternative perché gli schianti ci avevano isolati». Era tutto così straordinario. «Con i protocolli si pensa di simulare tutte le situazioni possibili, ma quella non era una situazione ipotizzabile – dice Ioppi – Tutti i ragazzi sono stati bravi nel riuscire a gestire in modo impeccabile la situazione». E in qualche modo l’emergenza Vaia ha fatto scuola. «Quando in estate c’è stata la bomba d’acqua in val di Fassa siamo stati sicuramente più preparati – osserva – Durante Vaia i piani di allertamento hanno tenuto ma ci sono stati piccoli e inevitabili inconvenienti, che invece ora abbiamo corretto».