l'analisi

sabato 21 Ottobre, 2023

Manifesti elettorali ormai relitti di un’epoca lontana: le elezioni ora sono «social»

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Sempre più vuoti i pannelli lungo vie e viali delle nostre città e nei paesi. Son finiti anche i tempi in cui le locandine venivano strappate, boicottate, coperte per motivi politici

L’impressione è che nessuno li guardi più. Fantasmi dimenticati di una politica che si è trasferita totalmente sul digitale. Relitti di un’epoca sociale e politica che sembra preistorica. I manifesti elettorali sono in crisi da decenni, ma queste elezioni provinciali trentine del 2023 ne hanno sancito forse l’irreversibile coma. Trento, ma anche Rovereto e Pergine, per restare ai tre centri maggiori della provincia: poco cambia, gli spazi per i manifesti per le strade sono sempre più vuoti.

Reperti del passato

Pannelli metallici (davvero brutti e antiestetici) fanno brutta mostra di sé, in lunghe e spoglie sequenze, lungo vie e viali delle nostre città e nei paesi. Quando va bene, da manifesti è occupata solo la metà degli spazi. Quel faccione del candidato che ti guarda ieratico dal manifesto mentre vai al lavoro o a fare la spesa è uno sguardo non richiesto, che imbarazza. Non suscita ammirazione né fastidio. Son finiti anche i tempi in cui quei manifesti venivano strappati, boicottati, coperti per motivi politici. Anch’essi sono ridotti, al massimo, alla mercé della noia vandalica o del dispetto fine a se stesso. Ma non a contesa politica vera.

In cerca di originalità anche nel 2023

I manifesti elettorali di queste provinciali, però, qualche spunto per un’analisi sociologica, estetica, semiologica, lo offrono ancora. Qualche guizzo c’è. La palma dell’originalità va all’Udc, il partito centrista erede (non unico) dello storico scudo crociato democristiano e oggi nettamente su posizioni di destra. La campagna elettorale che spinge sui giovani è costata poco, economicamente, a livello creativo (parola di Cesare Scotoni, candidato capolista) perché tutta fatta in casa: le facce dei vecchi politici diventano musi da dinosauro, i giovanissimi hanno il costume di Superman. Non passano inosservati. Come il manifesto di Emilio Giuliana, oggi Udc, un tempo Fiamma Tricolore, che preme sul messaggio «Dio, Patria e Famiglia» molto ideologicamente orientato. «Vota chi vale» e «Il valore dei fatti» il messaggio scelto da Forza Italia. «Scegli la tua terra» lo slogan territoriale de La Civica, «La nostra squadra» il claim collettivo del Patt. Casa Autonomia (gli ex Patt che preferiscono il centrosinistra) indirizzano gli elettori tramite il colore di lista: il giallo. Alcuni manifesti evidenziano il simbolo, qualche altro uno o due candidati (in coppia, uomo-donna) oppure le fotine di tutti i candidati. Tra gli aspiranti presidenti, Marco Rizzo (Democrazia sovrana e popolare) opta per un ingresso in scena da sinistra (la sua storica posizione politica), giacca in spalla e sguardo determinato. Anche Sergio Divina sceglie di dare un’immagine  giovanile e disinvolta, con giacca sulla spalla retta da dito a uncino. Più rassicuranti i due candidati destinati, secondo le previsioni, a giocarsi la presidenza della Provincia: l’uscente Fugatti (Lega, front man del centrodestra autonomista) ha impostato la campagna su un’immagine regolare, sorridente ma senza eccessi. Valduga per il centrosinistra autonomista, guarda gli elettori dai manifesti elettorali con una mano sotto il mento e con volto molto rassicurante. La forza tranquilla. Stessa posa scelta dal forzista Giorgio Leonardi.  Molto classica l’immagine sui manifesti di Elena Dardo, candidata presidente di Alternativa. Infine due ex colleghi di partito: Filippo Degasperi, candidato sostenuto da tre liste, tra cui Onda, ha lo sguardo sorridente e orientato un po’ di lato. Alex Marini, del Movimento 5 stelle, punta sul futuro e su uno sguardo che guarda avanti. Mentre il Pd ha concepito una comunicazione basata sul fare insieme, privilegiando il simbolo.

I manifesti, sempre figli del proprio tempo

Lasciamo i magnifici sette che domenica se la vedranno nelle urne trentine, per fare un breve excursus sui manifesti elettorali che hanno lasciato il segno, in Italia, nel nostro quasi ottantennio repubblicano. Perché le sorprese e le contraddizioni sono tante. Anno 1951: siamo alle amministrative. Il Comitato civico disegna due guantoni da pugile: uno tricolore, l’altro con falce e martello. L’invito è «Vota anticomunista» e lo slogan «Forza Italia». Oltre quarant’anni dopo diventerà il nome del partito fondato da Silvio Berlusconi. Anno 1958: la Dc mutua dalla tedesca Cdu lo slogan per i suoi manifesti: «Progresso senza avventure». Iniziavano gli anni del boom (parola inglese importata da noi per la prima volta). Un salto negli anni sessanta: nel 1963 il Partito socialista invita gli elettori a votarlo: una foto di ceto proletario e la scritta «Loro non fanno la dolce vita. Per questo votano socialista». La pellicola di Federico Fellini era di tre anni prima. Manifesto del Partito comunista del 1976 (e siamo così saltati al decennio del terrorismo e delle battaglie per aborto e divorzio): «Noi abbiamo le mani pulite. Chi può dire altrettanto?». Nessuna immagine: si punta solo sul «lettering» e non su faccioni o immagini. La questione morale era entrata nel dibattito politico e quelle «mani pulite» diventeranno l’etichetta di una stagione politica che vivremo circa 15 anni dopo. Gli anni ottanta, forse, possono essere sintetizzati dall’ingresso nella comunicazione politica dei temi ambientali. C’è il raggiante sole che ride dei Verdi a dire, in un manifesto del 1987: «Stop al nucleare civile e militare». Eravamo in campagna referendaria e il disastro della centrale nucleare sovietica di Černobyl aveva cambiato paradigma. Ed eccoci alla stagione del secessionismo: la Lega Nord, con ancora nel simbolo l’icona della Lega Lombarda, nella campagna elettorale del 1992 sceglieva un manifesto molto popolare e poco curato esteticamente: la gallina dalle uova d’oro del Nord che viene depredata da una matrona romana: «Paga e taci, somaro del Nord» il provocatorio slogan. Ma i Novanta sono anche gli anni della pubblicità, del marketing e del linguaggio d’impresa sbarcato in politica: «Per un nuovo miracolo italiano» è la frase che accompagna il sorriso e la cravatta regimental di Silvio Berlusconi nel 1994. Il nuovo millennio apre la stagione dei diritti anche sui manifesti elettorali. Nichi Vendola corre a presidente della Puglia evidenziando in maiuscolo un aggettivo: «Diverso». Per poi aggiungere «da quelli che oggi governano la Puglia». C’è anche un’ironia che il Novecento non aveva saputo regalarci. Dieci anni fa la comunicazione sui manifesti è tornata basica, meno sofisticata: «Mandiamoli tutti a casa» recitava la campagna elettorale del Movimento 5 stelle. L’anno scorso, per le politiche di settembre 2022, Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni ha scelto lo slogan che evidenziava la parola «Pronti» (a governare l’Italia). Ed è stata la prima volta di un governo di destra-centro.