Volontariato

domenica 5 Novembre, 2023

Lifeline Dolomites, la missione è l’Africa

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L’associazione è nata nel 2001. Ora conta su un centinaio di volontari, 40 con esperienze sul campo

Tra le numerose associazioni di volontariato che, con fatica ogni giorno più grande, operano in provincia di Trento, Lifeline Dolomites, che annovera volontari delle valli di Fiemme e di Fassa, ha concluso un importante progetto di solidarietà internazionale. Grazie ai fondi raccolti tra i volontari e gli sponsor locali, ad un consistente contributo della Conferenza Episcopale Italiana (coi fondi dell’8 per mille) e della Regione Trentino-Alto Adige, è stata dotata di pannelli fotovoltaici una struttura che ospita le bambine orfane e ragazze violate di una sperduta regione dell’Africa subsahariana.
Il dottor Dario Visconti (classe 1953), già primario di radiologia e direttore sanitario dell’ospedale di Cavalese, è il vicepresidente di dell’associazione.
Che cos’è Lifeline Dolomites?
«Siamo una piccola associazione di volontariato della Val di Fassa, nata nel 2001 e costituita da un centinaio di volontari, di cui una quarantina con esperienze dirette in Africa. Negli oltre vent’anni di attività abbiamo curato progetti in Uganda, Zimbabwe, Zambia e Romania, tramite l’invio di attrezzature sanitarie (oltre 50 container) ma soprattutto curando la formazione del personale locale».
A chi ha fame non dargli un pesce, insegnagli invece a pescare. È così?
«In questo senso il nostro volontario è un attore con funzioni formative, di stimolo e di testimonianza, mentre l’azione concreta è principalmente nelle mani della popolazione locale. Ciò favorisce la stabilità nel tempo dei risultati dei progetti».
Oggi dove state operando?
«Attualmente siamo presenti in Zambia, dove da circa 6 anni sosteniamo le attività dell’Ospedale Missionario Mtendere a Chirundu (città al confine con lo Zimbabwe, sul fiume Zambesi) in diverse specialità e assicurando una consulenza radiologica dal Trentino tramite teleconsulto».
E poi?
«Oltre a fornire materiale sanitario estremamente necessario, abbiamo inviato attrezzature per aumentare il livello di prestazioni dell’ospedale, e soprattutto, perché questo è il fulcro della nostra associazione di volontariato, formare personale locale».
In questo, una mano è arrivata anche dalla famiglia?
«Certamente. Mia moglie (Alberta Spagnolli, infermiera) è venuta in Africa varie volte, soprattutto in Zimbabwe, per fare educazione sanitaria e corsi di rianimazione cardiorespiratoria».
Ma i vostri interventi non sono diretti solo all’ospedale.
«Nella stessa area di Chirundu abbiamo appena concluso felicemente il progetto di installazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica ed acqua calda presso il “Villaggio della Vita”, un centro di ospitalità per bambine e ragazze abusate, malate o provenienti da situazioni di alto disagio sociale. Questo progetto è stato realizzato grazie alla disponibilità di numerosi sponsor istituzionali e privati, a dimostrare che in Italia c’è ancora generosità e altruismo».
Nel dettaglio?
«La Regione Trentino-Alto Adige ha dato 90 mila euro; la Conferenza dei vescovi italiani, 102 mila euro, e tutto il resto, 95 mila circa, i nostri amici, sostenitori, persone alle quali siamo andati a chiedere. E in questo periodo non è stato facile».
Col cappello in mano per fare ancora che cosa?
Per cercare di cambiare la qualità della vita a persone che sopravvivono in un quarto mondo che è sulla nostra porta di casa».
«Aiutiamoli a casa loro», è l’impegno di chi, in Italia, è erede di un altro celebre slogan: «Armiamoci e partite». Di questi tempi, visto che i finanziamenti pubblici alla cooperazione internazionale si sono drasticamente ridotti, gira voce che Lifeline Dolomites stia per cessare la propria attività. È così?
«La risposta è “No”, anche se dovremo rivedere i nostri obiettivi. Ci occuperemo comunque di formare il personale africano in molti campi: da quello sanitario alla formazione di tecnici specializzati quali elettricisti o idraulici. Solo così possiamo pensare ad una buona tenuta dei progetti sul lungo termine, anche se le difficoltà sono aumentate, sia per i costi, sia nella raccolta di fondi».
Già. Ma non è sempre stato così…
«All’inizio della mia esperienza africana nello Zimbabwe, ricordo ancora con orgoglio le tante strutture create con fondi trentini. In Africa il Trentino era più conosciuto del resto d’Italia. La popolazione locale dimostrava grande gratitudine e la nostra terra era per loro sinonimo di vicinanza, generosità e partecipazione ai loro problemi».
Poi si è fatto largo lo slogan «aiutiamoli a casa loro».
«Nonostante questa fama di popolazione solidale, conquistata in tanti anni, la giunta provinciale, appena insediata, 5 anni fa ha dichiarato obsoleti i criteri fino ad allora seguiti per i finanziamenti riguardanti la solidarietà internazionale. Una revisione, probabilmente, era necessaria, visti i bilanci provinciali meno ricchi del passato. Tuttavia, da qualche anno abbiamo assistito al depotenziamento in modo scientifico degli interventi di solidarietà internazionale, di fatto bloccando quasi tutte le iniziative».
Salvo menar vanto di aver messo fine alla dispersione di sussidi.
«L’assessore Gottardi si è detto soddisfatto dell’aver rinnovato, dopo 5 anni, i criteri per erogare i fondi riguardanti situazioni di emergenza. Ma sui finanziamenti ordinari, la Provincia di Trento è tuttora ferma. Non si sono disturbati nemmeno a fissare le regole teoriche! E questo in contrapposizione al costante attivismo nell’erogazione a pioggia di contributi in tutti gli altri settori del volontariato, evidentemente remunerativi in termini di voti».
Già, le persone «di colore» non votano.
«Il limitarsi a rincorrere le emergenze, ad affrontare i problemi dopo che si sono manifestati, è l’esatto opposto di prevenire e governare una progettazione di prospettiva. Denota, a mio parere, una miopia politica. La soluzione adeguata è gestire insieme ai protagonisti locali le situazioni alla base dei problemi, non le conseguenze. Mi chiedo se lo slogan spesso citato “Aiutiamoli a casa loro” non significhi invece “Respingiamoli a casa loro”».
Perché fare volontariato?
«Perché fa bene all’animo, perché ti fa sentire utile, perché la tua piccola opera può fare la differenza».