L'opinione
giovedì 28 Novembre, 2024
di Viola Ducati&Roberto Barbiero
Di Viola Ducati*
e Roberto Barbiero **
Si sono dovute attendere le prime ore di domenica mattina perché dalle sale di Baku fosse annunciato il tanto atteso accordo in tema di finanza, essenziale per dare credibilità a un’azione troppo lenta e per ora inadeguata per affrontare l’emergenza climatica.
Dopo giorni di maratona negoziale e dopo aspre divisioni e critiche tra Stati ricchi e più poveri, si è trovato un accordo che prevede che entro il 2035 i Paesi in via di sviluppo riceveranno almeno 1300 miliardi di dollari all’anno in fondi per essere aiutati a passare a un’economia a basse emissioni di carbonio e a far fronte agli impatti di condizioni meteorologiche estreme.
Il punto della discordia è tuttavia il fatto che solo 300 miliardi di dollari di questa cifra arriveranno nella forma di cui hanno più bisogno: sovvenzioni e prestiti a basso interesse dal mondo sviluppato. Il resto dovrà provenire da investitori privati e da una serie di potenziali nuove fonti di denaro, come possibili tasse sui combustibili fossili e altre misure che devono ancora essere concordate.
Scontro tra Nord e Sud
Due fronti contrapposti si sono trovati a discutere duramente durante le due settimane di difficili negoziati alla Cop 29 di Baku. Da una parte i Paesi perlopiù del Sud del mondo hanno lottato per ottenere un contributo di denaro decisamente superiore direttamente dai Paesi sviluppati. Hanno anche chiesto di dirottare una quota maggiore di finanziamenti disponibili ai Paesi più bisognosi, invece di dividerla con economie emergenti più grandi, come l’India.
Dall’altra il fronte dei Paesi sviluppati, Unione europea, Gran Bretagna e Stati Uniti in testa, che certo devono fare i conti con le proprie responsabilità di attori che maggiormente hanno contribuito alle emissioni di gas serra, ma che devono anche considerare le non poche incertezze future. Dalle forti spaccature interne tra i Paesi dell’Ue che vivono disagi sociali ed economici crescenti, alle conseguenze che potrebbe portare la rielezione a presidente di Donald Trump. Quest’ultimo, infatti, ha già dichiarato che intende ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi quando entrerà in carica a gennaio, ed è probabile che sarà ostile a fornire qualsiasi finanziamento per il clima al mondo in via di sviluppo. Non ultime, infine, le ingenti e incerte sorti dei conflitti in corso in Ucraina e Palestina, che assorbono enormi risorse finanziarie e distolgono dalla priorità che dovrebbe avere l’azione per il clima.
Proprio l’incertezza delle conseguenze delle azioni di Trump ha suggerito probabilmente di giungere a un accordo in tema di finanza, anche se ha lasciato scontenti i Paesi in via di sviluppo e la società civile, che non hanno esitato a definire il risultato raggiunto un tradimento e un disastro per persone ed ecosistemi. Particolarmente dure sono state le reazioni di Paesi come India, Bolivia, Cuba e Nigeria.
L’ostruzionismo dei petrolstati
I risultati della Cop 29 sono stati condizionati dalla gestione molto criticata da parte del presidente della Cop, il ministro dell’ambiente dell’Azerbaijan Mukhtar Babayev. Il Paese ospitante non ha mancato di suscitare dubbi sin dall’inizio, dato che petrolio e gas costituiscono il 90 per cento delle esportazioni dell’Azerbaijan. Gli interessi sui combustibili fossili sono stati molto visibili ai negoziati e sono stati difesi dall’Arabia Saudita e da altri Paesi produttori di gas e petrolio. Proprio l’Arabia Saudita ha svolto un ruolo fortemente ostruzionistico, tentando ripetutamente di rimuovere (e infine riuscendoci) i riferimenti alla «transizione dai combustibili fossili» e di indebolire quanto concordato al vertice Cop 28 dell’anno scorso, ponendo anche forti critiche a temi legati ai diritti umani e alla questione di genere. Non sono mancati anche i tentativi di mettere in discussione il mondo scientifico e in particolare il ruolo dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc). Su questo tema sarà necessario essere vigili nei prossimi mesi, visto che questi attacchi non diminuiranno.
Passi indietro sulla mitigazione
Proprio in tema di mitigazione si sono osservati i passi indietro più critici, o comunque di stallo. L’Emissions gap report 2024, pubblicato poco prima della Cop dall’Unep, ha mandato un segnale allarmante mostrando chiaramente che, con gli attuali impegni nazionali, si rischia di provocare un riscaldamento fino a 3 °C rispetto al periodo preindustriale, fallendo l’obiettivo di Parigi di non superare la soglia di 1,5 °C e con conseguenze potenzialmente catastrofiche. Nonostante queste premesse, nei documenti relativi agli impegni di mitigazione sono scomparsi i riferimenti a una rapida e sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra, così come all’uscita dai combustibili fossili.
Via libera al mercato di carbonio
Un successo inatteso dopo diversi anni di negoziati si è ottenuto invece con la chiusura dell’accordo sulle misure che riguardano il mercato di carbonio (articolo 6 dell’Accordo di Parigi), sia per la cooperazione bilaterale tra Paesi, che per il regolamento del meccanismo di credito. Si tratta però di strumenti spesso criticati per l’assenza di sufficienti garanzie sulla credibilità del contributo di mitigazione dei crediti emessi. Molti osservatori hanno evidenziato anche la carenza di garanzie sulla tutela dei diritti umani nei progetti che saranno selezionati e finanziati.
E la Cina? Gli Stati Uniti e la Cina, che sono le due maggiori economie mondiali e i maggiori emettitori di gas serra, hanno avuto comunque un ruolo chiave alla Cop 29, pur agendo dietro le quinte e lasciando ad altri Paesi il compito di guidare i negoziati. Mentre sugli Usa, la cui delegazione era ancora composta da funzionari dell’amministrazione di Biden, pesa l’imminente arrivo di Trump, la Cina ha ottenuto un importante risultato. A differenza dei Paesi ricchi, che sono obbligati a fornire finanziamenti, la Cina potrà contribuire in maniera volontaria ai finanziamenti per il clima per il mondo povero. Dunque senza vincoli formali.
Provando a guardare il bicchiere mezzo pieno, si può dire che, nonostante le difficoltà, i negoziatori a Baku abbiano raggiunto un accordo che almeno triplica i finanziamenti per il clima destinati ai Paesi in via di sviluppo, passando dall’obiettivo di 100 a 300 miliardi di dollari. Una cifra non sufficiente, ma che pone le basi per un percorso verso finanziamenti più adeguati. Rimane aperta una serie di questioni legate alle modalità di erogazione dei fondi, alla loro gestione, al controllo del loro reale utilizzo e al ruolo dei privati.
Appuntamento in Brasile
Tutti questi temi saranno oggetto di discussione nei mesi a venire, in attesa della prossima tappa alla Cop 30 in Brasile. La Conferenza di Belém avrà il compito di definire i nuovi impegni volontari dei Paesi in tema di mitigazione e adattamento, per la realizzazione dei quali è imperativo disporre delle adeguate risorse finanziarie. Ma non basta. Per accelerare l’azione climatica e riuscire a contrastare il riscaldamento globale sarà cruciale coinvolgere la società civile, ascoltando la voce e le richieste dei popoli indigeni, delle comunità più vulnerabili alla crisi climatica e delle nuove generazioni, con l’obiettivo di disegnare insieme una trasformazione che sia giusta e inclusiva. Proprio la Cop 29 appena conclusasi in Azerbaigian ha mostrato, nonostante tutte le restrizioni imposte a ong, associazioni e attivisti, il ruolo chiave della società civile nel promuovere la giustizia climatica e difendere il bene delle persone e del pianeta, contro gli interessi economici e di potere.
Ora che il summit mondiale è finito, è tempo di iniziare il lavoro concreto a livello nazionale e locale, creando alleanze sui territori, con le comunità, migliorando la partecipazione e il dialogo sociale. Perché se c’è una cosa che la Cop 29 ha dimostrato, è proprio che la società civile può spingere la politica ad agire.
* Rete climatica trentina
** Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente