Personaggi
venerdì 23 Maggio, 2025
Gloria Salvadori, l’apicoltrice che rappresenterà il Trentino: «Il mio miele “stanziale” è una fotografia del territorio»
di Manuela Crepaz
La donna di Sagron Mis è stata premiata dal progetto Apinrosa: «Le api tengono viva la montagna»

Gloria Salvadori, di Sagron Mis, è una donna che ha fatto dell’apicoltura un gesto d’amore per la montagna e le sue comunità. La sua scelta coraggiosa fatta di tenacia gentile l’ha portata a essere tra le venti apicoltrici italiane premiate il 19 maggio a Roma nell’ambito del progetto nazionale APInRosa, ideato dalla giornalista Valentina Calzavara. Il riconoscimento valorizza il contributo delle donne all’apicoltura e alla salvaguardia dell’ambiente. Gloria ha scelto di restare nell’alto di una piccola valle montana abbracciata da catene montuose imponenti: il gruppo del Cimonega da una parte, il gruppo dell’Agner dall’altra, in un paese di neanche duecento anime, dove porta avanti la sua attività tra api, alpaca e tanta determinazione, con una visione rurale e sostenibile. L’abbiamo intervistata.
Gloria, cosa significa per lei questo premio?
«È un riconoscimento importante, perché dà voce alla figura femminile nell’apicoltura italiana. Ogni regione è rappresentata da una sola apicoltrice, quindi essere scelta per il Trentino-Alto Adige è per me un onore. Credo che abbiano valorizzato il mio impegno in una zona marginale e il desiderio di mantenere viva la montagna».
Il suo miele è molto legato al territorio. In che modo?
«Le mie arnie sono tutte stanziali, non pratico il nomadismo. Questo significa che le api raccolgono il nettare esclusivamente nell’ambiente di Sagron Mis, offrendo una vera fotografia del luogo. Vivono in un contesto ancora integro, poco inquinato e silenzioso, fattori che secondo me contribuiscono alla qualità del miele».
Com’è nato il suo percorso da apicoltrice?
«Nel 2019 ho frequentato un corso e poi acquistato le prime sei arnie. Ma l’interesse c’era da tempo: nonno e bisnonno allevavano api per uso familiare. Non li ho conosciuti, ma le loro storie hanno sempre fatto parte della mia memoria. Da consumatrice abituale di miele, ho deciso di fare il passo e diventare produttrice».
Quali tipologie di miele ottiene?
«Principalmente millefiori. Non abbiamo grandi estensioni floristiche che consentano un monoflora “puro”, anche se dopo Vaia, con la ricrescita del sottobosco, si intravedono possibilità interessanti, per esempio sul lampone. Tuttavia, ottenere un monoflora richiede un controllo rigoroso della fioritura, arnie forti e condizioni ideali, cosa non semplice in montagna».
Parallelamente, alleva alpaca. Com’è nata quest’idea?
«Sono animali che ben si adattano all’ambiente montano. Produco lana non tinta, lavorata a chilometro zero per realizzare accessori invernali fatti a mano. Gli alpaca mi hanno insegnato a rallentare: si fermano, osservano, contemplano. È qualcosa che abbiamo disimparato a fare. E sto avviando anche attività di trekking con i maschi addestrati, esperienze rilassanti e molto apprezzate».
Oggi questa è la sua occupazione principale?
«Sì. Lavoro a tempo pieno con le api e con gli alpaca. Le giornate sono intense, tra produzione, controlli, lavorazioni e gestione quotidiana. Ma è una scelta che rifarei».
Avete problemi con i lupi nella zona?
«Sì, i lupi ci sono, anche se finora non ho avuto attacchi diretti. So che girano e quindi tengo gli alpaca sempre protetti: recinti elettrificati attivi 24 ore su 24 e animali chiusi la sera. Non mi fido a lasciarli all’aperto di notte, sarebbe troppo rischioso. Anche se il movimento turistico estivo un po’ li tiene lontani, non bisogna mai abbassare la guardia. Presidiare significa anche questo: conoscere l’ambiente e prevenire i problemi».
Come si svolge una giornata tipo da apicoltrice nel pieno della stagione?
«Serve preparazione: tutto comincia dall’inverno, quando si deve garantire la salute delle famiglie. Poi si aspetta la primavera, sperando in un clima favorevole. Se le api si sviluppano bene, si posizionano i melari e si avvia la raccolta. Ma oggi, tra sbalzi di temperatura, piogge insistenti e fioriture più povere di nettare, è sempre più difficile. Serve attenzione costante e un lavoro continuo, anche per prevenire la sciamatura e controllare le malattie».
E con i cambiamenti climatici?
«Stanno complicando molto le cose. Le api si disorientano, le regine si fermano, il nettare cala. Gli apicoltori sono diventati veri e propri custodi, intervenendo in caso di bisogno con alimentazione di soccorso. È un equilibrio delicatissimo».
Parla spesso di senso di comunità. Quanto conta per lei?
«Tantissimo. Le api sono un esempio perfetto: ognuna ha un compito e tutte collaborano per il bene dell’alveare. La nostra società dovrebbe ispirarsi di più a questo modello. Anche in montagna: vivere e lavorare qui richiede aiuto reciproco, rete, condivisione. Nessuno può farcela da solo».
Ha trovato difficoltà nel tuo percorso?
«Tutti i giorni. Ma cerco sempre di trovare un lato positivo. Penso spesso a chi è rimasto qui prima di me, in tempi ben più duri, e lo ha fatto con dignità e coraggio. Oggi abbiamo tecnologie, strade, possibilità. Bisogna sapersi adattare, reinventare, mettersi in gioco.»
Vede un futuro per la montagna?
«Sì, ma serve una svolta. Ci vuole un ritorno alla responsabilità e all’attaccamento ai luoghi. Molti giovani vanno via, anche per mancanza di stimoli. Ma credo che piccole attività quali l’artigianato, l’agricoltura, turismo dolce, possano contribuire a mantenere vive le nostre valli».
Cosa le dà la forza di restare?
«L’amore per questo territorio. Senza un legame autentico, non sarei rimasta. Ma qui c’è tutto quello che mi serve: silenzio, natura, spazio, valori. È una scelta di vita. Faticosa, certo, ma piena di senso. E poi, le cose belle succedono a chi ci crede fino in fondo».
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