L'intervista
sabato 3 Maggio, 2025
Don Ciotti: «Papa Francesco è tornato alla radicalità della Parola. Dopo di lui? Spero in un messaggio di continuità e in una Chiesa per i poveri»
di Marika Damaggio
Il fondatore di Libera a Trento. «La mafia è oggi “presentabile”, col volto di un attore economico fra gli altri. Accanto ai suoi traffici di morte – droga, armi, rifiuti tossici – che fruttano parecchio,
si muove con disinvoltura»

La fatica si assomiglia. La salita impervia, a tratti pericolosa, alla fine è speculare esercizio di libertà, di riscatto fisico e etico insieme. Alpinismo e resistenza, montagna e impegno. È anche per questo che la presenza di don Luigi Ciotti al Trento Film Festival è ulteriore inno alla libertà. «La montagna è metafora della fatica ma anche della gioia grande che l’impegno ci dona» dice il fondatore di «Libera», presidio contro tutte le mafie, che a Trento ha presentato il libro dedicato alla memoria di Pier Giorgio Frassati. Un’occasione per discutere dell’urgenza di scelte (anche) radicali, in un tempo – ricorda don Ciotti – segnato da disuguaglianze, precarietà, conflitti e crisi climatica. Una chiamata all’impegno coerente, dice, con il lascito di papa Francesco. Un papa «radicale» a cui, spera, faccia seguito un messaggio coerente.
Don Ciotti, partiamo dall’evento: Pier Giorgio Frassati è stato definito «il santo della porta accanto» da Papa Francesco. Lei, che ha fatto della prossimità agli ultimi una vocazione, che significato personale attribuisce alla figura di questo giovane beato e quale la sua attualità?
«Pier Giorgio Frassati mi è caro perché da bambino, a Torino, ho frequentato la sua stessa parrocchia. E lui, morto pochi anni prima, era già indicato a noi ragazzi come un esempio di coerenza fra la fede e le opere. Un giovane che non si limitava ad andare in chiesa, pregare, seguire le regole: faceva quel passo in più che ci chiede il Vangelo. Accorgerci di chi accanto a noi soffre e semplicemente tendergli una mano, fare ciò che è nelle nostre possibilità per alleggerire i suoi problemi. E non per sentirci dire “grazie” o bravo”, ma perché ci sentiamo sorelle e fratelli tutti, con-sorti dentro lo stesso destino. Un’altra cosa che mi avvicina alla figura di Pier Giorgio è l’amore per la montagna: metafora della fatica ma anche della gioia grande che l’impegno ci dona».
La montagna, le terre alte, l’ascesa nella sua fatica e nel suo percorso impervio raccontate in questi giorni dal Trento Film Festival diventano manifesto di resistenza, impegno e libertà (e non a caso l’inaugurazione è stata il 25 aprile). In un tempo segnato da profondi conflitti cosa la preoccupa maggiormente?
«È difficile fare una “classifica” delle preoccupazioni, perché davvero in questi tempi sembra che tutto stia “precipitando”. E allora ci sentiamo come alpinisti che salgono a fatica in cordata, mentre la montagna frana sotto i loro piedi. Dal cambiamento climatico ai conflitti armati nel mondo, dalle ingiustizie sociali che crescono, alla precarietà del lavoro e dei diritti in generale che aumenta, la criminalità che ovunque rialza la testa, le democrazie minacciate da autocrati senza scrupoli… Ma non si può rinunciare a guardare la vetta! Perché comunque dipende da noi invertire questo processo di smottamento etico, sociale e culturale».
Lei che dell’impegno ha fatto missione rendendolo anche sacrificio personale ha assistito a diverse stagioni nella lotta alla mafia: le bombe, i maxi processi, i collaboratori di giustizia. Ma «come sta» oggi la mafia? E come si presenta?
«La mafia sta benissimo, è in grande forma. Ed è una mafia “presentabile”, col volto di un attore economico fra gli altri. Accanto ai suoi traffici di morte – droga, armi, rifiuti tossici – che continuano a fruttare parecchio, si muove con disinvoltura anche ai livelli più alti della finanza ed è in grado di influenzare le decisioni pubbliche. Dobbiamo chiederci: questo perfetto mimetismo è frutto soltanto dell’abilità criminale a infiltrarsi dentro il sistema? Oppure è anche il sistema che somiglia sempre più alle mafie, nella spregiudicata ricerca del profitto e del potere a ogni costo? Purtroppo è così: fra le mafie e certi settori della politica e dell’economia ormai c’è una perfetta sovrapposizione: si studiano, si favoriscono e si copiano a vicenda».
In Trentino con due sentenze di primo e di secondo grado è stata confermata la presenza della ‘ndrangheta nel settore del porfido. Quali sono gli antidoti, civili e giuridici, per evitare che la mano lunga della criminalità organizzata si allunghi altrove?
«Dobbiamo tenerci care le leggi approvate in passato per garantire maggiori controlli contro le infiltrazioni criminali, leggi che purtroppo invece si tende oggi a smantellare, come ad esempio con l’abolizione del concorso esterno in associazione mafiosa o dell’abuso di ufficio, e l’indebolimento degli strumenti a disposizione dell’Anac e della Corte dei Conti. Bisogna restare al passo dell’innovazione tecnologica, che le mafie sono bravissime a sfruttare. E andrebbero potenziati strumenti come la confisca e il riutilizzo sociale dei beni, capaci di lanciare un messaggio chiave ai cittadini dei territori che si credono meno vulnerabili: le mafie ci sono e sottraggono ciò che è vostro, vi fanno un danno che è nel vostro interesse contrastare! A livello civico serve monitoraggio, servono antenne tese a captare il malaffare e bocche pronte a denunciarlo, anche assumendosene i rischi. Serve un’informazione indipendente e trasparente. Servono agenzie educative, prima fra tutte la scuola pubblica, che insegnino la bellezza della democrazia ma anche la responsabilità di difenderla dai suoi nemici, come appunto le mafie».
La mafia va dove ci sono margini di affari, ci sono settori che più di altri meritano attenzione? Qui in Trentino come altrove?
«Le mafie stanno dovunque ci siano possibilità di lucro: dalle grandi opere pubbliche – e oggi vediamo purtroppo una liberalizzazione degli appalti – al settore agroalimentare, a quello dei rifiuti o all’alta finanza. Nelle zone montane sono anche in azione le cosiddette “mafie dei pascoli”, che attraverso truffe raffinate frodano lo Stato e l’Unione europea rispetto alle sovvenzioni per la conservazione delle terre alte».
Ha mai sentito il peso dell’impegno e della denuncia, della vita sotto scorta?
«Certo che l’ho sentito. Ma insieme a quel peso ho sempre sentito una grande spinta in avanti. Me l’hanno data i volti e le storie delle persone che sono riuscito ad aiutare. Mi sono sentito spinto in avanti a volte dalla fede e dalla Parola radicale del Vangelo. Altre volte dalla bellezza dei risultati ottenuti. E sempre, sempre, dalla gioia della condivisione: perché impegnarsi è un verbo che si declina soltanto al plurale, e senza i tanti amici, le tante realtà con le quali ho potuto collaborare nel tempo, so che il mio impegno non sarebbe arrivato lontano».
Le destre europee sovraniste esibiscono spesso la fede cristiana. Eppure, papa Francesco disse di essere preoccupato dal sovranismo perché, disse, porta alle guerre. Quando vede agitare rosari sul palco, come spesso accade nella Lega di Salvini, che effetto le fa?
«Non voglio criticare questo o quel partito o esponente politico. Ognuno gestisce la sua fede come crede. Ma l’incoerenza fra l’esibizione di simboli cristiani e scelte politiche in profondo contrasto con la Parola evangelica salta all’occhio. “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 35) dice Gesù. Lo vediamo invece cosa fanno l’Italia e l’Europa: piuttosto che accogliere persone in fuga da guerre e miseria le lasciano morire ai confini, oppure scendono a patti con Paesi non democratici perché si occupino di tenercele lontane, a qualsiasi costo».
Questi sono i giorni del lutto per la morte di Papa Francesco, il profeta degli ultimi e della fratellanza l’ha definito il nostro vescovo Tisi. Quale per lei il suo lascito?
«Un lascito di profonda umanità e di assoluta coerenza col Vangelo. Il pontificato di Francesco è tornato alla radicalità della Parola di Cristo. Non si è limitato a predicare il Regno di Dio ma ci ha mostrato come realizzarlo già qui sulla Terra, questa Casa comune minacciata, insieme a tutte le creature viventi, dall’avidità umana. Ci ha trasmesso l’urgenza di un cambio radicale di paradigma, non solo per garantire dignità a chi oggi vive oppresso, ma proprio per consentire a noi tutti di sopravvivere».
In questi giorni di Conclave cresce l’attesa sul nuovo Pontefice. Che figura serve oggi alla Chiesa? Quale messaggio serve al mondo?
«Io spero in un messaggio di continuità con Papa Francesco. Quindi qualcuno che sappia a sua volta incarnare una Chiesa povera e per i poveri; una Chiesa dalle porte aperte per chiunque chieda di essere accolto, e per chiunque da quelle porte voglia uscire, a portare nel mondo il Vangelo come credo e soprattutto come pratica di vita, come pratica di giustizia».
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