cronaca

venerdì 12 Aprile, 2024

Demenza senile, la sperimentazione di Pinzolo che crea una rete assistenziale attorno all’ospite: «Si replichi altrove»

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La direttrice: «Il valore aggiunto è stata l’esperienza di consulenza dei servizi dell’Azienda sanitaria, con la presenza in struttura di due dottoresse che venivano periodicamente più volte al mese per visionare insieme i casi con la nostra equipe»

«Mirava a fornire supporto al territorio, sempre più alle prese con un aumento della popolazione affetta da demenza, sia a domicilio che nelle case di riposo, spesso sprovviste di risorse specifiche per affrontare i correlati disturbi comportamentali». Questa la finalità del progetto pilota per la revisione del modello di nucleo destinato alle persone con demenza nelle Rsa portato avanti dalla Rsa Aberardo Collini di Pinzolo. Una sperimentazione che si è conclusa pochi mesi fa. «Aveva anche l’obiettivo di sviluppare e diffondere buone pratiche da condividere con altre strutture simili», spiega la direttrice della residenza Valeria Giovannini.
A distanza di quattro mesi dal termine del progetto, la direttrice esprime un parere positivo sul lavoro svolto, mostrandosi favorevole all’introduzione di nuove risorse e figure professionali specializzate nella cura della demenza all’interno delle Rsa. Nonostante alcune criticità riscontrate. Ad esempio, in riferimento «alla sfida della ricerca di personale altamente specializzato, come terapisti occupazionali e terapisti della riabilitazione psichiatrica: con quest’ultima figura che risulta essere più facilmente reperibile».
Il progetto, avviato ad aprile 2022, è stato realizzato in collaborazione con il tavolo di monitoraggio del Piano sulle demenze, composto da rappresentanti della Provincia, dell’Azienda sanitaria, dei medici di medicina generale, delle Comunità di valle, di Consolida, di Upipa e delle associazioni Alzheimer. Uno degli obiettivi è stato quello di definire e coordinare le attività condotte da diversi professionisti della salute, sia interni che esterni all’Azienda sanitaria, al fine di pervenire alla diagnosi e alla terapia delle demenze. «Il valore aggiunto è stata l’esperienza di consulenza dei servizi dell’Azienda sanitaria, con la presenza in struttura di due dottoresse che venivano periodicamente più volte al mese per visionare insieme i casi con la nostra equipe», spiega la direttrice Giovannini.
Questo progetto è stato il risultato di un lavoro collaborativo concepito non solo per il benessere del paziente, ma anche per quello dei suoi familiari e dei caregiver, i quali rivestono un ruolo cruciale nell’assicurare l’assistenza necessaria e che spesso si trovano ad affrontare situazioni complesse. Per questo motivo è stata istituita una rete assistenziale con l’assegnazione di un referente principale, incaricato di coordinare azioni preventive per anticipare, nella misura del possibile, le esigenze e le richieste delle famiglie.
È proprio sulla prevenzione e la comprensione delle problematiche della malattia, spiega la direttrice, che bisogna intervenire: «Gradualmente, attraverso il consolidarsi della fiducia reciproca, abbiamo osservato il comportamento delle persone in varie situazioni, il che ci ha permesso di individuare le possibili origini dell’acuirsi di disturbi. Comportamenti scatenati da qualcosa che li irrita, una sorta di spina irritativa che spesso non sono in grado di esprimere verbalmente, ma che fornisce indizi sulle loro problematiche. Inoltre, il loro disagio viene acuito dalla permanenza nell’ambiente che li stressa».
Dopo la sperimentazione, Giovannini indica un ulteriore aspetto importante per contrastare il peggioramento e migliorare la vita delle persone con malattie degenerative. Si tratta della previsione di uno o due posti di transito, funzionanti come una sorta di «polmone», per coloro che entrano o escono dal nucleo demenze. «Per far funzionare al meglio il discorso che avviene in struttura, quindi avere questi spazi di transito in cui le persone poco alla volta entrano o poco alla volta escono dal centro».