la rivista
giovedì 5 Gennaio, 2023
di Mattia Pelli
Nel 2014 Matteo Zola si trovava casualmente in Ucraina: di fronte al movimento di Euromaidan che contestava il presidente Viktor Janukovyč si lasciò andare a una previsione. Che il popolo ucraino non ce l’avrebbe fatta e che gli oligarchi attorno al presidente sarebbero riusciti a conservare il potere. “Da allora – spiega ridendo – ho deciso che pronostici non ne faccio più”. La rivoluzione ucraina di quell’anno riuscì infatti a destituire il presidente filorusso e portò al ripristino della costituzione del 2004, così come a segnalare la volontà del popolo ucraino di volersi avvicinare con decisione all’Europa.
Tutte cose che «East journal» (www.eastjournal.net) la rivista online creata nel 2010 da questo piemontese trapiantato a Trento, ha cercato di raccontare, con coinvolgimento umano ma senza concessioni alla semplificazione. La complessità è del resto ben rappresentata nella redazione, con collaboratrici e collaboratori ucraini di lingua russa.
La posizione di sostegno a un popolo che si batte contro l’invasione è chiara, anche se, come dice Matteo Zola, «Non abbiamo semplicemente deciso di sventolare una bandiera» e l’atteggiamento senza concessioni nei confronti dei governi dell’Est Europa è evidente in tutti gli articoli di East Journal. Vale anche per quello ucraino: «Il primo articolo apparso sulla rivista era proprio dedicato a questo Paese, che prima della rivoluzione del 2014 era conosciuto per la sua violenza e la sua corruzione», spiega il giornalista. «Da Euromaidan le cose hanno cominciato a evolvere, quantomeno il popolo ucraino ha mostrato la sua rabbia e la sua volontà di cambiamento». Ma poi è arrivata l’elezione di Petro Poroshenko: «Su East Journal scrivemmo che il Paese era passato da un’oligarchia a un’altra: purtroppo in Ucraina c’è sempre stata questa capacità del potere di scippare al popolo le rivoluzioni», spiega Matteo Zola con un po’ di tristezza.
Tutto questo, naturalmente, non giustifica l’invasione russa: a guidare la redazione di East Journal c’è un principio inalienabile, quello della autodeterminazione dei popoli e del loro diritto di opporsi all’oppressione, chiedendo aiuto a chiunque sia disposto a darglielo, interessato o disinteressato che sia.
Un principio dimenticato da molti commentatori in Italia e anche da tanti esponenti dell’intellettualità di sinistra: «I vari Canfora e Barbero – dice Matteo Zola con amarezza – restano ancorati a una visione della Russia come alternativa alla NATO».
In Trentino le cose sono in parte diverse, secondo il fondatore di East Journal: «Ero alla prima manifestazione contro la guerra che si è svolta a Trento: qui c’è sempre stata la volontà di coinvolgere anche la comunità ucraina».
E il rapporto della rivista con Trento ha radici piuttosto salde: Matteo Zola, dopo essersi formato all’Università di Torino e aver lavorato come giornalista per il mensile dell’Associazione Libera «Narcomafie» (così come per numerose altre testate), si è stabilito sei anni fa nel capoluogo. Ora è Professore di Lettere presso le Scuole medie di Albiano e collabora con l’ISPI (Italian Institute for International Political Studies) e l’Osservatorio Balcani e Caucaso.
Ma anche la strada di un altro collaboratore di East Journal ha portato a Trento: Davide Denti, oggi impegnato con la Commissione europea nell’integrazione della Bosnia Erzegovina, ha ottenuto il dottorato in Studi internazionali all’Università di Trento.
Per tutto il collettivo di collaboratrici e collaboratori che gira attorno alla rivista, e in particolare per quelli di origine ucraina come Ilona Babinka, Oleksiy Bondarenko e Andrea Braschayko, quello iniziato il 24 febbraio scorso con l’invasione russa è stato un anno molto impegnativo e anche drammatico dal punto di vista umano. Alcuni di loro sono infatti stati investiti in prima persona dalla guerra. Ma non hanno rinunciato a scriverne: «Su East Journal – spiega Matteo Zola – pubblichiamo in media due articoli al giorno, tra i 20 e i 30 articoli alla settimana», una mole di lavoro importante che ne ha fatto un punto di riferimento per chi è interessato a capire quanto succede in Europa dell’Est. Un risultato significativo, soprattutto se si pensa che collaboratrici e collaboratori scrivono gratuitamente: «East Journal è un progetto completamente non profit, nessuno viene pagato e non riceviamo nessun finanziamento», racconta con un certo orgoglio il direttore.
Ora questa mole di competenze e di analisi è confluita in un libro intitolato «Ucraina. Alle radici della guerra», pubblicato da Paesi edizioni, con la prefazione della giornalista e analista dell’ISPI Anna Zafesova. «Questo volume – spiega Matteo Zola che ne è il curatore – nasce dal fatto che con l’inizio della guerra ho cominciato ad essere chiamato qua e là a parlare. E mi sono accorto della confusione di molte persone sui motivi dell’invasione russa, anche a causa dei media che tendono a dividere l’opinione pubblica in pro e contro». Erano sempre le stesse domande a ricorrere con insistenza: «È colpa della NATO?», «Ci sono i nazisti al governo?», «E allora il Donbass?». Così il collettivo attorno a East Journal ha deciso di metterne in fila 15, le principali, e provare a rispondere.
L’ultima, la più pressante è: «Come andrà a finire?». Matteo Zola ha imparato a non fare previsioni. Ma non può non dirsi molto preoccupato, in particolare per un aspetto: «Il nazionalismo ucraino non è mai stato a carattere etno-linguistico. Questa guerra rischia di fare perdere il connotato multiculturale del Paese e questa sarebbe una sconfitta».
Ma se ogni soluzione diplomatica che preveda l’amputazione territoriale dell’Ucraina gli pare una ingiustizia foriera di futuri conflitti, il direttore di East Journal non esita a sostenere che la soluzione della guerra non possa essere semplicemente “schiacciare la Russia”: «Anche se ora è un tema molto lontano, sono convinto che comunque vada si tratterà di ricostruire un’architettura di sicurezza europea che coinvolga in qualche modo anche la Russia».
L'intervista
di Tommaso Di Giannantonio
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