La duplice tragedia

domenica 29 Ottobre, 2023

Cacciatore ucciso, dopo un anno caso ancora irrisolto. Celledizzo è sospeso

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Morte di Max Lucietti, per ora non c’è un responsabile. La famiglia: «Vogliamo la verità, dolore bruciante». Il figlio di Maurizio Gionta, l'ex forestale suicida: «Papà non c'entra, qui però sono ostili verso di noi»
Massimiliano Lucietti e Maurizio Gionta

Un giovane cacciatore, Massimiliano Lucietti, ucciso alle spalle, raggiunto da un proiettile alla nuca, mentre è appostato nel bosco, steso a terra, e imbraccia il fucile. Il forestale in pensione Maurizio Gionta che lo trova senza vita e si uccide il giorno dopo, lasciando scritto di non attribuirgli responsabilità che non ha. E indagini serrate coordinate dalla Procura di Trento, passate anche attraverso l’analisi di decine di fucili, al coinvolgimento degli esperti del Ris di Parma, che hanno sì fornito alcune risposte ma non la soluzione del caso. Indagini che, nonostante gli sforzi, non sono arrivate appunto ad individuare il responsabile dell’uccisione del 24enne operaio e vigile del fuoco volontario, registrata la dannata mattina del 31 ottobre 2022. Un anno esatto martedì. Celledizzo, paesino di poco più di 330 anime della val di Pejo, da allora è come se vivesse sospeso. In apnea. Le chiacchiere sussurrate sono state ormai smorzate dal silenzio che sembra portare quasi il peso della rassegnazione. E si respira impotenza. E dolore, che a tratti trascende in rabbia. Per un destino dannatamente beffardo che ha stravolto la vita di due famiglie ma anche di un’intera comunità. Per quella doppia tragedia legata da un filo sottile su cui non è stato ancora possibile accertare le responsabilità: una matassa che sembra non volersi proprio sbrogliare. E i parenti delle vittime, il paese intero, rimangono appesi. Aggrappati ad una grande sofferenza. In balia dell’attesa. Aspettando una sentenza sulla verità dei fatti che tarda ad arrivare, nonostante le indagini su più fronti e i tanti accertamenti svolti anche in laboratorio. E chissà se si arriverà mai a risolvere il caso o rimarrà invece un cold case.

Il sindaco: «È una ferita ancora più che aperta», il dolore delle famiglie 
«È una ferita ancora più che aperta — sospira il sindaco di Peio, Alberto Pretti — Il fatto che non si sia ancora arrivati a individuare il responsabile non aiuta a rielaborare il lutto in modo definitivo. Sospetti ce ne possono essere e ipotesi se ne possono fare ma aspettiamo la fine delle indagini della Procura per chiudere questo doloroso capitolo».
A parlare è anche l’avvocato Giuliano Valer, legale dei parenti del giovane cacciatore, che riferisce del loro stato d’animo. «La famiglia Lucietti continua a mantenere un atteggiamento di speranza e di fiducia nell’operato della Procura e dei carabinieri. Anche se è passato un anno il dolore è ancora bruciante e noi tutti ci auguriamo che si giunga presto al raggiungimento di un punto fermo che provi a rimarginare la ferita ancora aperta».
Toccanti anche le parole di Michele Gionta, figlio del forestale suicida, che parla a nome di tutta la famiglia, anche per la mamma e la sorella (ad assisterli l’avvocato Andrea de Bertolini). «Anche ora che è passato un anno il nostro pensiero, la nostra vicinanza, va ai parenti di Massimiliano: siamo accomunati a loro dalla sofferenza per la perdita del nostro caro. Da parte nostra siamo sempre stati convinti che papà non centri nulla con la morte di Massimiliano, eppure ancora oggi nella valle abbiamo la sensazione che ci siano degli atteggiamenti ostili nei nostri confronti, dei giudizi morali su papà, considerato il responsabile della tragedia, ma non è così, ne siamo certi».

Gli sforzi investigativi, anche i Ris in campo
Sulla morte del ragazzo, conosciuto come Max «Luce», il pm Davide Ognibene aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti. E disposto una serie di accertamenti, senza lasciare nulla di intentato. I carabinieri del Ris di Parma, nell’arco di settimane, hanno analizzato uno ad uno i ventisei fucili calibro 270 acquisiti lo scorso autunno da cacciatori della zona di Celledizzo, effettuando test e prove di sparo e procedendo al confronto con il malconcio frammento di ogiva (parte del proiettile che può essere equiparato al dna), trovato sul cadavere del giovane Lucietti, raggiunto da una distanza di almeno mezzo metro stando agli esiti dell’autopsia, anche se chi ha esploso il colpo potrebbe essere stato anche ad alcuni metri. Ma tutti gli sforzi degli specialisti del reparto balistico di Parma, a quanto trapelato, non hanno portato ad individuare con certezza l’arma da cui è partito il colpo che quel lunedì mattina poco prima delle 7.30 ha ucciso il 24enne che abitava con la famiglia in paese. Non sarebbero infatti emersi riscontri scientifici certi, di compatibilità piena, capaci cioè di tenere la prova dell’aula, tra le ventisei carabine su cui gli esperti si sono concentrati. E tra queste c’era anche quella di Gionta, il 59enne che aveva rinvenuto il ragazzo ormai senza battito, dando l’allarme, e che il giorno, all’alba del primo novembre, si è ucciso vicino casa. A trovarlo la moglie. Accanto al corpo la fede e un biglietto con scritto: «Non attribuitemi colpe che non ho». A scagionare il pensionato, stabilendo che non poteva essere stato lui a sparare al 24enne, le analisi del Ris: non sono infatti state trovate tracce di polvere da sparo sulle mani e neppure sui vestiti dell’ex forestale, sottoposto alla prova dello stub nel pomeriggio del 31 ottobre, quando era stato anche sentito dai carabinieri come persona informata sui fatti. Ris che più di recente sono stati chiamati ad effettuare ulteriori verifiche, nuovi accertamenti balistici, su altri fucili, con calibri simili a quello già vagliato, il 270 Winchester, usato per la caccia in montagna. Quello del proiettile che ha raggiunto il giovane operaio alle spalle, lo stesso del fucile di Gionta: circostanza che ad oggi è solo una mera, dannata, coincidenza. E anche dagli apparecchi elettronici in uso al giovane non sarebbero emersi elementi utili. Di certo c’è che in due riprese almeno i carabinieri della compagnia di Cles hanno convocato in caserma i cacciatori di Celledizzo e delle aree limitrofe per chiedere loro di fornire i fucili in loro possesso che potessero essere d’interesse. Trovando piena collaborazione da parte dei cittadini, che sperano a loro volta che gli inquirenti arrivino quanto prima all’agognata svolta, a definire quegli ultimi, determinati tasselli capaci di dare finalmente un senso ai due lutti che continuano a segnare l’intera comunità.