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In un mondo che vede un'alternanza sempre più drammatica di siccità e alluvioni, la lotta alla privatizzazione dell'acqua e per la conversione ecologica devono andare di pari passo. A sostenerlo Corrado Oddi, storico attivista e referente del Tavolo di lavoro sulla siccità del Forum italiano dei movimenti per l’acqua. Negli scorsi giorni, è stato in Trentino, ospite dell’incontro «Acqua tra siccità e diritti», convegno che ha aperto il Festival d’Altra Quota, al parco Santa Chiara di Trento. Corrado Oddi, mai come quest'anno l’acqua è stata al centro dell’attenzione. Prima la siccità record, e ora le alluvioni in Emilia Romagna. Cosa c’entra con il vostro movimento, che si batte contro la privatizzazione dell'acqua? «Le drammatiche alluvioni e frane di questi giorni sono certamente eccezionali, ma non si può non vedere come abbiano a che fare con il cambiamento climatico, che alterna fenomeni siccitosi a eventi alluvionali estremi, con l’incuria del territorio e lo scriteriato consumo di suolo. L’acqua sarà una risorsa sempre più scarsa, e quindi da utilizzare fuori da logiche predatorie e di mercato. La lotta alla privatizzazione del servizio idrico e quella per la conversione ecologica contro il cambiamento climatico sono due facce della stessa medaglia». Molti italiani vi hanno conosciuto nel 2011, ai tempi della storica vittoria ai referendum contro la privatizzazione dell’acqua. Cosa è cambiato da allora? «Il referendum ha rallentato i processi di privatizzazione, ma non si è andati verso la ripubblicizzazione del servizio idrico come chiedeva il voto degli italiani. L’abolizione della cosiddetta remunerazione del capitale investito, cioè il profitto garantito per il gestore del servizio idrico, non c’è mai stata, le si è semplicemente cambiato denominazione nome in “riconoscimento degli oneri finanziari”. Siamo in presenza di un totale azzeramento della volontà popolare». Come è cambiato il Forum dopo il 2011? «Negli anni siamo andati avanti nella battaglia per la ripubblicizzazione del servizio idrico sia a livello nazionale che dei territori, però abbiamo anche incrociato due temi emersi con forza negli ultimi anni: i cambiamenti climatici e la salvaguardia ambientale». Cosa risponde a chi sostiene che nella gestione dell'acqua il privato è più efficiente del pubblico? «Che è una leggenda metropolitana. I privati ragionano in termini di profitti e dividendi, non in una logica di risparmio e utilizzo efficace della risorsa. A livello nazionale, ad esempio, abbiamo più del 40% di perdite dalle reti idriche, però non si sono mai fatti grandi investimenti per ristrutturarle. Per i soggetti gestori non è conveniente investire in infrastrutture che dovranno restituire al termine delle concessioni». Eppure quest’anno, con la siccità, l’acqua è diventata all’improvviso una priorità. Qualcosa si muove? «Purtroppo no: non si vuole ragionare sul fatto che siamo in presenza di fenomeni strutturali e ormai costanti. Il Decreto siccità, invece, si muove ancora una volta in una logica emergenziale. Come se bastasse nominare un Commissario straordinario e riproporre la logica delle grandi opere come dighe e grandi invasi, una ricetta vecchia e superata che in realtà si traduce soprattutto in favori ai costruttori». Cosa proponete invece? «Bisognerebbe andare esattamente in direzione opposta rispetto a questo decreto. Ragionare sulla conversione ecologica dell’agricoltura e dell’industria, eliminando o convertendo produzioni e coltivazioni fortemente idroesigenti, come mais e allevamenti intensivi. E investire nella ristrutturazione delle reti idriche. Abbiamo stimato che ci vorrebbero circa 10 miliardi nell'arco di 5 anni per ridurre le perdite a un livello fisiologico attorno al 10%, da finanziare con le risorse del Pnrr e con i profitti realizzati dai gestori. E poi affrontare il grande tema del dissesto idrogeologico, procedendo non a ulteriori interventi di artificializzazione ma alla rinaturalizzazione di fiumi e laghi e arrestando il consumo di suolo. Spesso sono iniziative previste dalle Direttive europee, su cui l’Italia è fortemente inadempiente. Sembrano proposte articolate su tempi lunghi, ma quelli per le grandi opere non lo sono di meno». Nel mondo si è tenuta la prima Conferenza Onu sull’acqua da quasi cinquant’anni. Un segnale incoraggiante? «È stata senz’altro un elemento positivo, però questo genere di conferenze si conclude con grandi obiettivi, ma poi nei fatti poi si va da altre parti. A livello mondiale un miliardo di persone non ha accesso all'acqua potabile. Già oggi nel mondo molti conflitti coincidono con situazioni in cui c’è scarsità d'acqua, eppure si interviene ancora con la privatizzazione del servizio idrico. L’alternativa tra considerare l’acqua come bene comune o come merce al pari di tutte le altre diventa sempre più urgente». Il Trentino si era sempre sentito immune a queste dinamiche: da una parte è ricchissimo d’acqua, dall’altra la sua gestione è gestita quasi sempre a livello locale. «Sulla gestione ci sono certamente differenze rispetto alle multiutility quotate in borsa che gestiscono altri territori, ma credo che nessuna situazione sia immune dalla logica del profitto. Sulla supposta abbondanza di acqua, basta guardare a quello che succede ai ghiacciai. Siamo in presenza di un fenomeno che modifica gli ecosistemi dappertutto, anche se in modo differente. Occorre prenderne coscienza perché è a rischio la vita sul pianeta e anche anche nel nostro Paese».

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